Stato legittimo, ante 67 e prove della preesistenza: interviene il Consiglio di Stato
di Redazione tecnica - 19/03/2025

Un fabbricato accatastato nel 1939 può essere considerato legittimo anche in assenza di un titolo edilizio? Il catasto è sufficiente per dimostrare la preesistenza di un immobile? E cosa succede se il Comune ritiene che gli interventi realizzati non siano una semplice manutenzione ma una trasformazione sostanziale?
Domande certamente molto interessanti soprattutto alla luce di uno dei più grandi e diffusi falsi miti in materia edilizia, secondo cui basta dimostrare che un immobile sia stato costruito prima del 1967 per ritenerlo automaticamente legittimo dal punto di vista urbanistico ed edilizio. Un’idea errata che trae origine dalla Legge 6 agosto 1967, n. 765 (la cosiddetta Legge Ponte), che ha esteso a tutto il territorio nazionale l’obbligo della licenza edilizia anche per le costruzioni fuori dai centri abitati.
Tuttavia, questa estensione non significa che prima del 1967 in Italia non esistessero già norme urbanistiche vincolanti. Molti territori, infatti, erano già regolati da piani regolatori generali (PRG) e regolamenti edilizi comunali, che richiedevano il rilascio di titoli abilitativi anche prima dell’entrata in vigore della Legge Ponte. Di conseguenza, sostenere che un immobile è legittimo solo perché costruito prima del 1967 è un errore: è sempre necessario verificare quale fosse la normativa vigente nel Comune e se fosse richiesto un titolo edilizio all’epoca della costruzione.
Stato legittimo e prove della preesistenza: la sentenza il Consiglio di Stato
Ciò premesso, alle domande iniziali ha risposto il Consiglio di Stato con la sentenza 12 marzo 2025, n. 2047 che ha affrontato il tema della legittimità di un immobile, confermando alcuni principi ormai consolidati e ribadendo alcune questioni fondamentali su cui spesso si scontrano i privati e le amministrazioni locali.
Il caso esaminato dal Consiglio di Stato riguarda un immobile situato a Roma, per il quale il Comune aveva annullato le Denunce di Inizio Attività (DIA) presentate dai proprietari nel 2008 e 2009, ritenendo gli interventi edilizi in esse descritti privi di titolo edilizio, oltre che di titolo edilizio legittimante la relativa consistenza e destinazione d’uso.
In primo grado, i ricorrenti avevano contestato il provvedimento sostenendo che la consistenza dell'immobile era documentata dalle planimetrie catastali del 1939, a dimostrazione del fatto che le opere eseguite erano meri interventi di manutenzione su parti già esistenti. Tesi non ritenuta sufficiente dal TAR.
Quindi il ricorso al Consiglio di Stato che ha confermato il principio secondo cui l’iscrizione in catasto non è prova sufficiente per dimostrare la legittimità edilizia di un immobile. Il catasto ha infatti una finalità fiscale e non edilizia, quindi non può costituire un titolo abilitativo.
Tralasciando le vicende processuali (e penali) legate alla veridicità delle schede catastali, il punto chiave ribadito dal Consiglio di Stato è che gli immobili devono essere provvisti di un titolo edilizio oppure, per quelli costruiti prima dell’introduzione dell’obbligo, il proprietario deve fornire prove certe e inconfutabili della data di realizzazione.
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