Superbonus 110% e asseverazione video: lettera aperta di un tecnico professionista
di Pietro Francesco Nicolai - 23/09/2022
Mai avrei pensato di fare regista e l’attore di un documentario! Alla veneranda età di cinquantacinque anni mi si presenta questa occasione: girare un film nei miei cantieri, con tanto di copione scritto e con il ruolo supplementare di direttore di produzione. Io, PIETRO Francesco Nicolai! Io, il nuovo PIE(T)RO Angela! Io, PIETRO Germi mentre gira “Il testimone”! Io, PIETRO Castellitto, che recita nel film “I Predatori”!
E così, mentre penso alla mia sceneggiatura, mi immedesimo nel personaggio di Trevor in “Un sogno per domani”, un film del 2000 diretto da Mimi Leder: il professor Eugene, chiede ai suoi alunni “Cosa vuole il mondo da noi?” Questa domanda spinge il piccolo Trevor, appena undicenne, a cercare una pratica risposta; Trevor decide così di lottare per cambiare il mondo e, per attuare questa sua volontà, stabilisce di compiere delle buone azioni, chiedendo, a chi le riceve, di compiere a loro volta un favore a tre persone differenti.
Trevor vive con la madre Arlene, ex alcolizzata che lavora come cameriera in un locale di strip-tease; il padre è un tossicodipendente e lo vede raramente. La sua vita si svolge in una sorta di idealismo incoerente, che contribuisce a rafforzare la sua caparbia ricerca.
Come primo favore, Trevor decide di ospitare nella propria casa Jerry, un tossicodipendente che, per sdebitarsi, aggiusta l’automobile di Arlene.
Arlene, a sua volta, decide di passare il favore a sua madre, anch’essa alcolizzata e senza fissa dimora.
Trevor, nel compiere la seconda buona azione, decide di far incontrare la madre con il professor Eugene, il quale, avendo trascorso anch’egli un’infanzia infelice, a causa di un padre violento, si dimostra inizialmente restio ad intraprendere un legame con la donna.
Nel frattempo, il padre di Trevor ritorna a casa dando sfogo al suo carattere violento; Arlene lo caccia via e torna in scena Eugene, che ricomincia a frequentare la casa insieme a Trevor e a sua madre.
Il sistema “passa il favore” ideato da Trevor si espande oltre i confini del suo quartiere, nelle grandi città dell’America. Un giornalista decide di indagare per ricostruire la storia di Trevor e per documentare la catena delle buone azioni. Andando a ritroso nel tempo, intervistando i personaggi coinvolti, il giornalista ricostruisce l’intera storia, individuando in Trevor il primo componente della catena. Trevor viene intervistato in un programma televisivo per raccontare la sua storia. Nel frattempo si creano le condizioni favorevoli per un riavvicinamento tra Eugene ed Arlene; i due sugellano la loro comune scelta con un primo bacio, e si realizza così la seconda buona azione di Trevor.
Continuando nelle sue buone azioni, durante una rissa, Trevor prende le difese di un compagno di classe, viene accoltellato e muore. La notte seguente migliaia di persone, con le fiaccole accese, circondano la casa del piccolo Trevor, con la madre e Eugene presenti, come segno di dolore e di accoglimento dei suoi ideali. La terza buona azione di Trevor si conclude tragicamente, ponendo fine al suo progetto, a quella ostinata volontà di rimuovere gli eventi sfavorevoli che ciascuno di noi può riconoscere, a quelle ingiustizie che qualcuno dovrà pur combattere per tentare di raggiungere, anche nella pura utopia, una dignità personale e per dare un valore alla propria esistenza.
Il Video Asseveratore
Avrete già capito – specialmente voi tecnici professionisti, che in questi giorni convulsi state cercando di prevedere quali saranno le prossime mosse del governo, per risolvere le innumerevoli emergenze sociali ed economiche del nostro Paese – qual è l’oggetto di questo articolo. Mi riferisco naturalmente alla richiesta, avanzata dalla Società Deloitte – una nota azienda di servizi e di consulenza di cui si servono i principali gruppi bancari del nostro Paese per gestire le cessioni dei crediti fiscali (Superbonus 110% ed altri bonus edilizi) – riguardante l’obbligo di produrre un filmato ad ulteriore comprova dell’esistenza del cantiere e dell’esecuzione effettiva dei lavori che vengono asseverati dal tecnico responsabile.
Sulla piattaforma telematica di Deloitte, in occasione del caricamento della documentazione richiesta per l’istruttoria bancaria di cessione dei crediti fiscali (Stato di Avanzamento Lavori con importo superiore al 30% dell’importo complessivo dell’opera) compare un avviso che richiede espressamente che «Il tecnico che rilascia le asseverazioni dovrà effettuare un breve video descrittivo dell’intervento…». Nella piattaforma viene inoltre specificato come dovrà essere strutturato il video e i suoi contenuti obbligatori.
In pratica, è necessario effettuare un video per ciascuno Stato di Avanzamento dei Lavori e per ogni asseverazione rilasciata; il video deve avere una durata non superiore ai cinque minuti (la durata del video è stata recentemente ridotta a “circa due minuti”, come risposta di Deloitte ai messaggi di protesta provenienti dagli ordini professionali e dalle associazioni di categoria) e deve essere strutturato secondo alcuni contenuti obbligatori riportati nelle “istruzioni”: deve essere presente una introduzione con inquadratura video del tecnico asseveratore che deve esibire il tesserino dell’ordine e il suo documento di identità (zoom sui rispettivi documenti); il tecnico asseveratore deve inoltre presentarsi, con nome, cognome e ruolo svolto, menzionare l’oggetto dell’intervento e le opere in esso previste (efficientamento energetico, riduzione del rischio sismico, bonus facciate, ristrutturazione edilizia, ecc.) con i rispettivi importi, i dati dell’asseverazione, il codice ASID fornito dall’ENEA (interventi efficientamento energetico) e il protocollo dell’asseverazione sismica (interventi riduzione del rischio sismico), il cronoprogramma dell’intervento con la descrizione e l’inquadratura dei lavori eseguiti e con la descrizione dei lavori ancora da eseguire, inquadramento del cartello di cantiere e del numero civico dell’immobile oggetto di intervento. Tutto questo prima era possibile, secondo Deloitte, in cinque minuti! Per soddisfare le legittime proteste, Deloitte che ha fatto? Ha ridotto solamente il tempo a disposizione in “circa due minuti” – circa 120 secondi per dire e fare tutto – riconducendo la sua iniziativa nell’ambito nell’interesse generale, nella “tutela erariale e dunque della collettività”! Possiamo immaginare lo scenario: tecnici professionisti che recitano a pappagallo il copione scritto da Deloitte, frustrazione ed imbarazzo per essere costretti a farlo ed esposizione al ridicolo, specialmente per coloro che decidono di divulgare pubblicamente i loro video; in definitiva, l’adesione passiva al “ricatto” di Deloitte crea senz’altro un pericoloso precedente che getterà discredito sulla nostra professione.
L’obbligo di produrre il video, per “rafforzare” l’asseverazione del tecnico professionista, è stato deliberatamente introdotto dalla società Deloitte da pochi giorni, in applicazione – con evidenti distorsioni – delle ultime modifiche ed integrazioni normative (Decreto cosiddetto “Aiuti-bis”) che hanno riguardato la responsabilità solidale tra cedente e cessionario, limitandola solamente nel caso di dolo o colpa grave; la condizione necessaria è rappresentata dall’obbligo, da parte del cedente, di acquisire il visto di conformità fiscale e le asseverazioni tecniche anche con effetto retroattivo. In pratica, viene alleggerita la responsabilità solidale dei cessionari dei crediti fiscali (banche, imprese di assicurazione e intermediari finanziari), che permane solamente in caso di dolo o colpa grave, ossia nel caso in cui vi sia la consapevolezza nel commettere un reato e/o il mancato rispetto degli obblighi di controllo e diligenza. In tal modo, nelle intenzioni del legislatore, gli acquirenti dei crediti verrebbero ad essere tutelati, reimmettendo sul mercato le risorse economiche finora ibernate.
L’obbligo “di prova”, imposto dalla società Deloitte, oltre ad essere dannoso e ridondante, pecca anche di ingenuità; se, da un lato, una prova video potrebbe rafforzare l’esistenza di un cantiere, la sua consistenza (operai, mezzi d’opera, stato dei lavori, ecc.) e l’assenza di qualsiasi incongruenza normativa (truffe, dichiarazioni mendaci, modifiche della cronologia dei lavori, ecc.), dall’altro lato tale obbligo risulta senz’altro lesivo di alcuni principi fondamentali del lavoro e della nostra organizzazione sociale. Senza andare troppo indietro nel tempo, per non tediarvi nel racconto di tutte le camaleontiche trasformazioni e i ripensamenti che hanno caratterizzato l’apparato legislativo e regolamentare dei crediti fiscali, come mezzi di finanziamento delle opere edilizie, occorre oggi sintetizzare quelli che sono i principali elementi di conflittualità sull’applicazione effettiva della ripresa video nei cantieri edili.
Negli ultimi periodi il settore edilizio è stato disciplinato, oltre che dalle norme imperative (cogenti), anche da innumerevoli circolari, linee guida, regolamenti, interpelli e FAQ di ogni genere; il nostro apparato burocratico non è risuscito a discriminare i vari ordini normativi, generando un “minestrone” che è l’inviluppo di tutto; in questo modo, il burocrate zelante si mette al sicuro, riducendo al minimo le sue responsabilità. Tale approccio scellerato, diffuso oramai in tutti i settori della Pubblica Amministrazione, ha di fatto congestionato il settore edilizio e quello dei lavori pubblici, esponendo gli operatori (tecnici professionisti, imprese, ecc.) a rischi vari dovuti al clima di incertezza e di caos in cui si è costretti ad operare. Un esempio recente è rappresentato dalla scelta politica di interrompere i lavori del superbonus relativi agli edifici unifamiliari – impropriamente definiti “villette” (definizione che denota un chiaro pregiudizio cognitivo, per non dire altro); tale scelta, fissando vigliaccamente una scadenza condizionata per il riconoscimento del beneficio fiscale (percentuale di avanzamento dei lavori superiore al 30% alla data del 30 settembre 2022) e una scadenza definitiva alla data del 31 dicembre 2022, ha, di fatto, precluso agli edifici isolati, che sono quelli presenti nei paesi e nelle periferie delle nostre città, la possibilità di usufruire dei benefici fiscali. Gli edifici unifamiliari, che possedevano le caratteristiche per l’accesso ai benefici fiscali, nella prima stesura della normativa erano stati trattati alla stessa stregua degli edifici condominiali; in corso d’opera (lavori già avviati o in corso di progettazione) il governo ha pensato (male) di punire i proprietari in quanto ideologicamente equiparati (scusa di stato) a ricchi aristocratici. In verità, sappiamo bene di cosa stiamo parlando, sappiamo bene che il caos e le forzature applicative della norma sono ben più rilevanti in un edificio condominiale rispetto a quanto può accadere in una semplice casa. D’altra parte, solamente uno stolto potrebbe pensare che, nell’attuale contesto in cui ci troviamo ad operare oggi (carenza di materiali, di manodopera ed attrezzature, prezzi alle stelle, ferie dei dipendenti pubblici, difficoltà nel reinserimento sul lavoro in ufficio, banche che vanno per i fatti loro, crediti fiscali congelati dallo stato, ecc.), si possa impiegare utilmente (senza interruzioni durante le giornate lavorative) il tempo a disposizione a cavallo del periodo estivo e fino al 31 dicembre; ci si mettono anche le bombe d’acqua e gli alluvioni di questi giorni, la guerra, il “fermo elezioni” e il Natale alle porte a complicare il tutto.
Conflitti e criticità normative
Già prima della “trovata” del video, la legittimazione dei lavori eseguiti veniva effettuata, per legge, mediante una “Asseverazione”; ricordo che “Asseverare” ha il significato di “Affermare con decisione e sicurezza”; per secoli è stato utilizzato questo mezzo, per rilasciare dichiarazioni solenni e veritiere, che, in virtù della legittimazione professionale e sociale di colui che le rilasciava, rappresentavano la realtà e non potevano essere smentite. Nella sua attuale forma, l’asseverazione costituisce una autocertificazione riconosciuta dalla legge, utile per dichiarare la genuinità e la verità di fatti e dei documenti in essa riportati; viene sottoscritta, nella fattispecie dei procedimenti di cessione dei crediti fiscali, da un tecnico professionista in possesso dei seguenti requisiti: laureato o diplomato nella disciplina tecnica adeguata al lavoro che svolge, abilitato all’esercizio della professione (superamento dell’esame di stato), iscritto ad un Ordine e/o ad un Collegio Professionale (Albo), iscritto inoltre ad una Cassa di Previdenza (in regola con il versamento dei contributi), correntemente aggiornato (possesso di un sufficiente numero di crediti formativi, per ciascun anno nel quale esercita la sua attività), contraente di un’assicurazione professionale generale e di un’assicurazione specifica per ciascun lavoro e per il rilascio delle singole asseverazioni (massimale assicurato di qualche milione di euro e massimale specifico per ciascun lavoro e/o asseverazione non inferiore a cinquecentomila euro, con garanzia della Postuma decennale), che si avvale di costosi software di cui detiene regolari licenze (da rinnovare con cadenze periodiche). Tutti questi requisiti devono essere posseduti, per legge, dal tecnico professionista che sottoscrive l’asseverazione.
Così come un notaio, per sottoscrivere un atto non necessita di rafforzare la sua firma con un video che lo inquadra per dire il suo nome, il suo cognome, la sua qualifica, la descrizione dell’atto che si appresta a validare, per fissare il suo tesserino professionale e la sua carta di identità sul tavolo nel quale avviene il “fatto”, così un qualsiasi tecnico professionista, in possesso dei requisiti richiesti, può, in virtù degli attuali principi normativi (di legge), sottoscrivere un’asseverazione valida e sostitutiva delle evidenze reali in essa riportate. Al limite, non volendo porre barriere alla fantasia, ed accettando anche le proposte sciocche, potremmo pensare di sostituire l’asseverazione con un video esplicativo, così come vuole Deloitte; tuttavia, prima di pensare a questo, occorre studiare e capire le implicazioni di tale scelta, correlando il tutto con l’apparato normativo vigente, senza creare conflitti ed ambiguità e, soprattutto, senza offendere la categoria dei tecnici professionisti (ingegneri, architetti, geometri, periti industriali, ecc.) con vessazioni continue e con proposte invasive e fuori luogo.
Occorre inoltre considerare, non per ultimo, un altro elemento importante: girare un video in un cantiere comporta molteplici implicazioni; le sintetizzo con un fatto realmente accaduto, e di cui sono stato il diretto osservatore e protagonista: qualche anno fa ricevetti un incarico per la ricostruzione di alcuni solai in legno, di separazione tra l’appartamento del mio committente e i sottostanti locali adibiti a magazzino; per restituire fedelmente il rilievo dei solai e delle strutture murarie di appoggio, fissai un appuntamento con la proprietaria dei locali magazzino, e pensai di completare le operazioni di rilievo con una ripresa video. Mentre riprendevo le murature e le orditure dei solai sentii gridare dalla proprietaria “Esci fuori! Chi ti ha autorizzato a filmare dento i miei locali! Conosci il concetto di privacy! Vai via o ti denuncio!”. Con lei c’era anche un altro tecnico, che accompagnava la signora assistendo alle operazioni di rilievo, il quale, forze per imbarazzo, forse anche per vigliaccheria, non proferì alcuna parola. Smisi di filmare, giustificandomi e scusandomi per l’invadenza attuata in buona fede, ed andai al piano superiore per continuare il rilievo nell’appartamento interessato dai lavori; mi seguì anche il tecnico della signora il quale cominciò anch’egli a scattare alcune fotografie nei vari locali dell’appartamento; il mio committente non gli disse nulla, mettendo in risalto la sua implicita autorizzazione rispetto alla reazione nevrotica ed impulsiva della signora sua amica.
Da questo racconto, riportandone l’esperienza nella realtà attuale, possiamo porci alcuni quesiti: chi deve effettuare la ripresa video obbligatoria conosce la struttura psichica del committente, dell’imprenditore, degli operai? È sufficientemente empatico per scongiurare reazioni avverse? Può essere denunciato per “interferenze illecite nella vita privata”? Per effettuare la ripresa video, occorre farsi rilasciare una specifica autorizzazione, ciascuna per ogni soggetto o per ogni oggetto che accidentalmente potrebbe essere immortalato? Il tempo per ideare il video (ruolo di regista) e per partecipare alle scene (ruolo di attore) chi lo rimborsa, se non venialmente come qualità di vita? Non è meglio impiegare utilmente questo tempo fare opere di bene e per coltivare il corpo e lo spirito?
Se pensate che per ottenere una planimetria catastale, che non è nient’altro che la pianta schematica di un appartamento, proprio per tutela della privacy, occorre farsi rilasciare, dal proprietario dell’appartamento, una apposita delega con il suo documento di riconoscimento allegato, possiamo comprendere quanto sia legalmente distante l’approccio di sufficienza messo in atto dalla società Deloitte che, senza porsi tanti problemi, in virtù di una prepotenza dominante di “mercato”, si sostituisce al Parlamento della Repubblica per legiferare a suo favore, calpestando tutto e tutti, senza alcun imbarazzo e senza nessuna scusa. Con un giusto e sacrosanto atteggiamento populista mi domando: dove sono le nostre istituzioni, i nostri ordini nazionali e provinciali? Dov’è il Garante della Privacy? Dove sono i cittadini?
Invito il lettore ad approfondire queste considerazioni, a consultare le innumerevoli sentenze della giustizia amministrativa e i numerosi provvedimenti del garante sulla Privacy di qualche anno fa (oggi tutti si sono eclissati), per comprendere i limiti e le criticità (esposizione al rischio di futuri contenziosi) della prepotente e vessatoria imposizione della società Deloitte di produrre “un breve video descrittivo dell’intervento”; una stolta proposta che va respinta con forza, mortificando la società Deloitte per l’invadenza di campo e per essersi permessa di prendere in giro i cittadini italiani e, in particolare, i tecnici professionisti!
Il “lamento” istituzionale
Come già detto, in realtà qualcuno si è mosso per dichiarare, seppure con toni morbidi e con aplomb semi-istituzionale, la propria contrarietà alla politica di Deloitte e alla sua singolare richiesta; hanno rilasciato dei comunicati stampa i seguenti soggetti: Ordine degli Architetti della Provincia di: Padova, Perugia, Catania, Agrigento, Arezzo, Ascoli Piceno, Avellino, Barletta-Andria-Trani, Benevento, Bolzano, Brindisi, Cagliari, Caltanissetta, Campobasso, Caserta, Catanzaro, Chieti, Cosenza, Cremona, Crotone, Cuneo, Enna, Fermo, Firenze, Frosinone, Genova, Gorizia, Grosseto, Imperia, Isernia, La Spezia, L'Aquila, Latina, Lecce, Livorno, Lucca, Macerata, Massa Carrara, Matera, Messina, Napoli, Nuoro, Oristano, Pescara, Pisa, Pistoia, Pordenone, Potenza, Prato, Ragusa, Reggio Calabria, Rieti, Roma, Rovigo, Salerno, Sassari, Savona, Siena, Siracusa, Taranto, Teramo, Trento, Treviso, Trieste, Udine, Varese, Venezia, Vercelli, Verona, Vibo Valentia, Prato, Catanzaro; Consiglio Nazionale dei Geometri; Rete delle Professioni Tecniche; Network delle Professioni Tecniche; Inarsind; AssoArchIng; Consiglio Nazionale degli Architetti; Fondazione Inarcassa; OICE; Ordine degli Ingegneri della Provincia di: Roma, Palermo, Torino; Confartigianato Firenze; Consiglio Nazionale dei Periti Industriali.
Dall’elenco sopra riportato, che potrà essere implementato con ulteriori comunicati che in questi giorni stanno pervenendo, anche se possono sembrare molte le voci di dissenso, c’è da osservare che mancano oggi all’appello molti ordini provinciali, specialmente gli ordini degli ingegneri. Posso pensare che questa mancanza di attenzione sia dovuta alla storica apatia che caratterizza gli ingeneri, abituati, più di quanto lo siano gli architetti, ad attendere passivamente le autonome soluzioni istituzionali; un atteggiamento, quello degli ingegneri, di rispetto reverenziale per le istituzioni, sia esse pubbliche che private, atteggiamento che oggi non trova più terreno fertile, per mancanza di qualità operativa e di validi ed efficaci interlocutori.
Cosa vogliamo noi dal mondo?
Dalla notevole massa di menefreghismo, di origine remota, e dall’aria che tira, non mi aspetto più di tanto; Deloitte potrebbe farla franca. Non vedo alleati validi all’orizzonte! Con questa rassegnazione dilagante, mi appresto, mio malgrado, a scrivere il copione del mio prossimo film; farò alcune prove di attore, con le scarpe antinfortunistiche e con il caschetto, forse anche con la tuta da operaio, per confondermi meglio nel cantiere e per non apparire un privilegiato, un possibile ladro che si è intrufolato in una casa altrui e che bisogna ammazzare, affinché le buone azioni, quelle scaturite dal pensiero critico, dal sudore e dal lavoro, non si espandano oltre misura, oltre quella terza possibilità che fu negata in un film di molti anni fa, all’alba del nuovo millennio. Oggi, più che domandarci “Cosa vuole il mondo da noi?”, occorre fornire la risposta alla domanda inversa: cosa vogliamo noi dal mondo?
Spero tanto di essere smentito, di liberarmi da questo progressivo disinganno e di svegliarmi ancora vivo, passando il “favore” ai colleghi tecnici professionisti, per uno scatto di orgoglio, per essere i veri protagonisti del nostro unico film.
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