Superbonus: come non fare scattare la tassazione delle plusvalenze
di Cristian Angeli - 29/07/2024
Il Superbonus è stato ed è ancora tante cose diverse. Soprattutto quando la sua aliquota era fissata al 110% e lo sconto in fattura era ancora pienamente praticabile, questo non è stato solo una semplice agevolazione fiscale per la realizzazione di fondamentali interventi di efficientamento energetico e sismico, ma un vero e proprio modo di eseguirli (almeno in teoria) a costo zero, conservando anche un quid in più.
Ebbene, proprio a causa di questo meccanismo, il Superbonus ha rappresentato anche uno strumento di speculazione, con committenti che hanno programmato di realizzare “gratis” i lavori su immobili dal valore irrisorio, così da aumentarlo e procedere a venderli a un prezzo molto più alto.
Si tratta di un’operazione finanziaria lecita, di per sé, ma che ha chiamato il legislatore a intervenire per evitare che il Superbonus fosse utilizzato per ragioni diverse da quella per cui era principalmente pensato: sostenere il rinnovo del patrimonio edilizio residenziale esistente.
Per questo motivo, dal primo gennaio 2024 è in vigore una disciplina specifica per la tassazione delle compravendite che hanno ad oggetto immobili efficientati beneficiando del Superbonus, che applica un’imposta sostitutiva del 26% al valore della plusvalenza, vale a dire l’importo ricavato dalla differenza tra il prezzo cui l’immobile viene venduto e quello a cui era stato comprato o costruito, aumentato dei costi di realizzazione degli interventi che hanno dato accesso al Superbonus.
A introdurla è stata la Legge di Bilancio 2024 (L. n. 213/2023, art. 1, co. dal 64 al 66), ma il modo in cui è scritta fa sì che non ogni vendita di immobili ristrutturati col Superbonus ricada sotto la sua scure.
Come funziona la tassazione
Innanzitutto, la tassazione della plusvalenza è tanto più onerosa quanto meno il contribuente ha pagato di tasca propria per gli interventi agevolati. In particolare, infatti, se egli ha fruito del Superbonus interamente in forma di detrazione dalle imposte in dichiarazione dei redditi, anticipando cioè egli stesso il costo dei lavori, la plusvalenza viene ridotta di un importo pari al 100% di detto costo.
Se invece ha usufruito dello sconto in fattura o della cessione del credito, il costo dei lavori Superbonus 110% non viene affatto considerato e la plusvalenza è “piena”, a meno che la vendita non avvenga dopo 5 anni dal termine degli interventi, caso nel quale il 50% del costo va a diminuire la plusvalenza tassata.
Ma vi sono alcuni casi che non sottostanno espressamente alla tassazione al 26% della plusvalenza. Si tratta della cessione dell’immobile per successione o della vendita dell’abitazione principale, o anche del caso in cui chi vende il bene a titolo oneroso lo fa una volta trascorsi 10 anni dalla conclusione dei lavori.
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