Trasformazione tetto e chiusura portico: ci vuole il permesso di costruire
di Redazione tecnica - 26/06/2024
La sostituzione di una copertura a solaio con un tetto a falde è un intervento che necessita del permesso di costruire in quanto comporta sempre degli incrementi volumetrici rispetto alla condizione preesistente del fabbricato.
La stessa cosa vale quando si intende chiudere stabilmente un porticato originariamente aperto per realizzare un nuovo locale autonomamente utilizzabile; lavoro che determina senz’altro la creazione di nuova volumetria.
Trattasi infatti di interventi di notevole entità, che, se dovessero essere condotti senza titoli, sarebbero suscettibili di ordine di ripristino dei luoghi, oltre che soggetti all’applicazione di sanzioni pecuniarie.
Tetto a falde e chiusura portico: creano nuova volumetria
A spiegarlo è il TAR Lazio con la sentenza del 22 maggio 2024, n. 10300, con cui ha respinto il ricorso contro l’ordinanza di demolizione e le sanzioni pecuniarie per nuove opere abusive realizzate su un fabbricato precedentemente condonato, ai sensi del D.L. n. 269/2003 convertito nella Legge n. 326/2003 (c.d. "Terzo Condono Edilizio)".
I nuovi abusi - peraltro realizzati in zona agricola e sottoposta a vincoli di tutela (sismico e paesaggistico) – sono consistiti:
- nella sostituzione di una copertura a solaio, quindi piatta, con un tetto a due falde in elevazione, mediante la demolizione del solaio preesistente;
- nella chiusura integrale (in parte con opere murarie e in parte con vetrate) di un porticato - originariamente aperto su tre lati - con accorpamento al fabbricato principale, e con conseguente creazione di un nuovo ambiente autonomo, impiegato come locale cucina e provvisto di tutti gli impianti.
Entrambi gli interventi, chiariscono i giudici, hanno comportato la creazione di nuova volumetria e sono stati realizzati senza autorizzazioni né titoli edilizi, pertanto risulta corretto l’ordine di ripristino dei luoghi.
Fiscalizzazione abusi e sanzioni pecuniarie: quando e come si applicano?
In relazione alla possibilità di sostituire l’ordinanza di demolizione con la sanzione pecuniaria, mediante la “fiscalizzazione dell’abuso” di cui all’art. 33 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) per interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire o in totale difformità,il giudice ha fatto presente che l’attuazione di tale meccanismo non è in alcun modo un atto dovuto, ma una mera eventualità che può essere applicata nella fase esecutiva conseguente all’emissione dell’ordine di ripristino.
La misura può essere disposta esclusivamente per i casi nei quali la demolizione dell’abuso risulti impossibile; condizione che dev’essere oggettivamente provata mediante accertamento tecnico.
È bene chiarire dunque che la mancata valutazione dell’applicazione della fiscalizzazione non comporta alcun vizio in ordine alla validità dell’ordinanza di demolizione. Non si tratta, infatti, di due misure alternative tra loro, essendo che la fiscalizzazione può essere adottata solo qualora fosse attestata l’impossibilità a demolire.
Nel caso in esame, l’Amministrazione ha provveduto sia all’emissione del provvedimento demolitorio che all’ingiunzione al pagamento di sanzioni amministrative pecuniarie per mancata ottemperanza all’ordine di demolizione e per mancato invio della comunicazione obbligatoria per un ulteriore intervento di ridistribuzione degli spazi interni.
A tal proposito, il TAR non ha rilevato lcun illecito per sproporzionalità né alcuna violazione. Difatti, in ordine all’inottemperanza all’ordine di demolizione, l’art. 31 del TUE dispone sanzioni pecuniarie tra i 2.000 e i 20.000 euro, mentre l’art. 16 della Legge Regionale del Lazio n. 15/2008 che qui compete, prevede una forbice edittale tra i 2.500 e i 25.000 euro, oltre a stabilire la possibilità di applicare correttamente la doppia sanzione (demolitoria e pecuniaria).
Per ciò che concerne invece l’ulteriore sanzione disposta per mancato invio della comunicazione di inizio lavori obbligatoria, si fa presente che all’epoca dei fatti era vigente il comma 7 dell’art. 6 del TUE, che - nel disciplinare le attività ammissibili al regime dell’edilizia libera - imponeva per la mancata comunicazione una sanzione pecuniaria fissa pari a 1.000 euro, riducibile di due terzi se pagata spontaneamente quando l’intervento era ancora in corso di esecuzione.
Si ritiene in conclusione del tutto corretto l’operato dell’Amministrazione, non essendo inoltre risultata ammissibile l’ulteriore motivazione di ricorso (in quanto presentata tardivamente), in merito al fatto che la sanzione per inadempienza a demolire sia stata disposta prima che la stessa inadempienza fosse accertata. Il ricorso dev’essere dunque respinto.
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