Verande e terrazze di collegamento senza titolo: quando è possibile?
di Gianluca Oreto - 27/06/2023
È possibile chiudere terrazze di collegamento, verande e balconi senza concessioni e/o autorizzazioni? La risposta, come sempre accade quando si parla di normativa edilizia, è "dipende". In Sicilia, ad esempio, è vigente la Legge Regionale n. 4 del 2003 che all'art. 20 consente, in deroga ad ogni altra disposizione di legge, la chiusura di terrazze di collegamento oppure di terrazze non superiori a 50 mq, così come la chiusura di verande o balconi con strutture precarie, senza alcun titolo abilitativo, ferma restando l'acquisizione preventiva del nulla osta da parte della Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali nel caso di immobili soggetti a vincolo.
Verande e terrazze di collegamento: la norma siciliana
Entrando nel dettaglio, tali chiusure non solo non sono soggette a concessioni e/o autorizzazioni ma non sono neanche considerate aumento di superficie utile o di volume né modifica della sagoma della costruzione. Occorre, però, fare molta attenzione ai contenuti della norma e alla lettura offerta dalla giurisprudenza.
Con la sentenza 1 marzo 2023, n. 8734 la Corte di Cassazione è intervenuta nuovamente per fare il punto di una norma tanto discussa e su cui probabilmente servirebbe qualche riflessione applicativa in più.
L'argomento era già stato trattato dalla Cassazione con la sentenza n. 3966 del 4 febbraio 2022 che aveva già messo in luce l'incidenza di una normativa edilizia regionale ai fini dell'esclusione della qualificazione dei fatti come penalmente rilevanti a norma dell'art. 44 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).
Con la nuova sentenza, la Cassazione si concentra sulla definizione di "opera precaria".
Il caso di specie
Nel caso oggetto della sentenza siamo di fronte alla realizzazione di una veranda, previa demolizione di una porzione del preesistente muro di tamponatura, sopraelevando i muri di parapetto della terrazza con pannelli di alluminio verniciato interamente rifiniti in cartongesso, con copertura leggermente inclinata e chiusura sul lato terrazza con parte vetrata, in assenza del prescritto permesso di costruire e, comunque, in totale difformità dall'autorizzazione comunale.
Secondo il ricorrente, l'intervento sarebbe stato realizzato in conformità all'art. 20 della Legge Regionale n. 4/2003 che consentirebbe la realizzazione, senza previo permesso, di coperture di terrazze non superiori a 50 mq.
Preliminarmente la Cassazione ha ricordato che, in materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale e, conseguentemente, devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi.
La Cassazione ha già avuto modo di affermare, in analoghe fattispecie relative alla realizzazione di una tettoia, come risulti necessario il permesso di costruire, ai sensi degli artt. 3, 10 e 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, essendo tali disposizioni destinate a prevalere su una interpretazione letterale della disciplina dettata dall'art. 20 della legge reg. Sicilia n. 4 del 2003, secondo cui, in deroga ad ogni altra disposizione di legge, non sono soggette a concessioni e/o autorizzazioni né sono considerate aumento di superficie utile o di volume né modifica della sagoma della costruzione la chiusura di terrazze di collegamento e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie.
La precarietà dell'opera
In tema di reati edilizi, la natura precaria delle opere di chiusura e di copertura di spazi e superfici per le quali l'art. 20 della legge Regione Sicilia n. 4 del 2003 non richiede concessione e/o autorizzazione va intesa secondo un criterio strutturale, ovvero nel senso della facile rimovibilità dell'opera, e non funzionale, ossia con riferimento alla temporaneità e provvisorietà dell'uso, sicché tale disposizione, di carattere eccezionale, non può essere applicata al di fuori dei casi ivi espressamente previsti.
La sentenza della Corte di Appello cui si chiede l'annullamento ha correttamente dato conto di come non sia possibile neanche rinvenire gli estremi di quella che la legislazione regionale definisce opera precaria, come si evince dei rilievi fotografici dove è evidenziata la presenza di laminati fissati con bulloni.
Nel caso di specie si tratterebbe della realizzazione, nella terrazza di pertinenza dell'immobile di proprietà dell'imputato, di un ampliamento di circa 35 mq, sopraelevando i muri di parapetto della terrazza con pannelli di alluminio verniciato interamente rifiniti in cartongesso, con copertura leggermente inclinata e chiusa sul lato terrazza, con parte vetrata, in assenza dei prescritti permessi di costruire e di ogni comunicazione alle autorità preposte.
Pertanto, contrariamente a quanto assunto nell'impugnazione, correttamente si è ritenuto di essere in presenza dell'integrazione di un reato e non di un mero illecito amministrativo, atteso che non ricorrono in concreto le caratteristiche della struttura precaria né secondo la legislazione regionale né secondo quella statale.
In definitiva, per l'applicazione dell'art. 20 della L.R. n. 4/2003 è indispensabile che l'opera sia classificata come "precaria", concetto sul quale esiste poca normativa e tanta giurisprudenza.
I criteri "strutturale" e "funzionale"
Astrattamente, per verificare la precarietà di un'opera si potrebbero considerare due criteri:
- quello strutturale per il quale è considerato precario tutto ciò che è facilmente amovibile;
- quello funzionale per cui è precario tutto ciò che è destinato a soddisfare esigenze contingenti e temporanee.
La precarietà strutturale di un'opera non impedisce di considerarla come nuova costruzione ai fini edilizi e quindi necessitante di un titolo autorizzativo. Lo ha affermato, ad esempio, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia con la Sentenza 7 febbraio 2018, n. 354 per la quale la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire postula un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo.
Ma se l'opera può essere considerata precaria, allora non avrebbe neanche senso l'art. 20 stesso della L.R. n. 4/2003, posto che ai sensi dell'art. 6, comma 1, lettera e-bis) del d.P.R. n. 380/2001 "le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all’amministrazione comunale" dovrebbero essere definite come interventi di "edilizia libera".
Insomma, un bel pasticcio che va avanti da anni e su cui al momento non sembra che nessuno si sia posto il problema di risolvere.
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