Il Virus del Superbonus
di Pietro Francesco Nicolai - 17/05/2021
Incipit “spirituale”. Nel mio studio c’è aria di rinnovamento! Dopo un lungo periodo di incertezze, di autocertificazioni giustificative, di traslochi improvvisati studio-casa e casa-studio, di mascherine filtranti, gel disinfettanti, termometri, quarantene, vaccini, distanziamenti sociali e bollettini medici, sembra che il popolo abbia imparato la lezione, attuando le direttive impartite dal governo e dalle regioni, con relativa prontezza e capacità di adattamento.
Al di fuori delle lectio magistralis degli esperti in materia, i veri elementi di riflessione - quelli che hanno smosso le coscienze, ponderando accuratamente le variabili in gioco - sono stati i continui cambi di giudizio sul reale pericolo del nuovo virus, con i conseguenti aggiustamenti delle norme e dei protocolli di attuazione. Illustri personaggi politici, ancorché accuratamente protetti e garantiti, sono stati anch’essi infettati dal virus, presagendo così la ricerca dell’immunità nel “gregge” della specie umana, riportando in auge la teoria darwiniana e le risoluzioni spartane di antica memoria.
Sembra di rivedere scene già vissute; riaffiorano eventi lontani nel tempo: le epidemie, le pesti e le carestie del passato, la condizione umana miseramente appesa al filo della speranza. Ci si affida alle persone di scienza, ai dottori, ai sociologi, agli economisti ed agli esperti di ogni ordine e grado. Nell’era contemporanea, come per le pesti del passato, si torna ad indossare la mascherina, a coprirsi il naso e la bocca con un “panno” o con uno schermo di plastica, all’isolamento e alla quarantena; l’uomo ritorna alla natura, si avviluppa su se stesso, si allontana dal gruppo e si rifugia nella sua “tana”, in attesa che tutto passi e che possa ritornare alla normalità della suoi giorni. Nel contempo si inventano nuovi modelli sociali; per esorcizzare, anche solamente nell’idea, la naturale sensazione di regressione, si giunge a rinnegare la nostra storia, le nostre tradizioni e persino la nostra lingua: una “Babele” al rovescio che condanna ogni diversità, un inno all’uguaglianza, all’ubbidienza istituzionale, al rispetto delle regole. Siamo sommersi da vocaboli di origine straniera, coniati per l’occasione, per restare comunque dentro la nostra contemporaneità: lockdown per chiusura, triage per smistamento, smart working per telelavoro, meeting per riunione, e molti altri termini che, scimmiottando le lingue straniere, finiscono solamente per mortificare la nostra lingua e la nostra cultura.
Durante la chiusura dell’intero Paese e, recentemente, delle varie Regioni, sono state intraprese delle scelte difficili, come quella di stabilire, con decreti ad hoc, quali attività di lavoro siano da ritenere “essenziali” rispetto a quelle non strettamente necessarie, almeno nel breve e nel medio periodo. Per le attività ritenute essenziali sono state inoltre stabilite delle regole specifiche per limitare la diffusione del virus e per garantire comunque l’espletamento dei servizi pubblici e sociali. Gli ospedali, le forze dell’ordine, alcuni esercizi commerciali ed altre attività essenziali sono state “in trincea”, lasciando tutti gli altri lavoratori a casa, molti di questi in smart working! Tra le attività ritenute essenziali ci sono anche i liberi professionisti - tra i quali anche noi, del settore tecnico - gli unici ai quali non è stato imposto alcun obbligo di chiusura, gli unici che possono scegliere se lavorare nel loro studio, a casa o dentro la propria automobile, gli unici ai quali viene consentito di lavorare liberamente anche se tutto il resto, intorno a loro, è ibernato, con molti cantieri ed uffici pubblici ancora chiusi per decreto, con la vigliacca disponibilità alternativa di numeri telefonici ed indirizzi e-mail dai quali non si riceve alcuna risposta; nessuno ha pensato di deviare le chiamate, anche solamente negli orari di ufficio, ai lavoratori smart! Nessuno ha cercato di onorare il proprio stipendio per rendere un servizio pubblico! Nessuno! E così, ahimè, il settore della Pubblica Amministrazione arranca con fatica, continua anche oggi ad evadere dagli impegni istituzionali senza alcun rimorso e senza orgoglio, generando così un divario sociale ed economico non più sostenibile. Gli alibi per non fare nulla, o per non fare abbastanza, sono molteplici; i contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulati in tempi di “pace”, si dimostrano inadeguati per la “guerra” che dobbiamo combattere, tutti insieme, per l’unico obiettivo comune, quello di salvare il salvabile, ciascuno con il suo ruolo, ciascuno nella sua “trincea”.
Il Lavoro esige Rispetto
Il lungo incipit di questo scritto - che a molti potrà sembrare inutile e prolisso, o addirittura fuori luogo - ha l’unico scopo di preparare “spiritualmente” il lettore distratto e di coinvolgerlo empaticamente nella lettura di un testo che può essere giudicato noioso, in quanto non genericamente riscontrabile nei consueti interessi personali. Chiudiamo così la parentesi introduttiva e veniamo al dunque: cercherò anzitutto di evidenziare alcune contraddizioni relative al rispetto delle attività umane - di qualsiasi natura esse siano - e alle funzioni sociali (ruoli) che ciascuno di noi è chiamato a svolgere a garanzia del suo diritto, quello del lavoro. La discussione si svolgerà nell’ambito delle professioni cosiddette tecniche - ambito al quale anch’io appartengo, e in cui sono titolato ad esprimermi liberamente e con senso critico - mettendo in rilievo alcune incongruenze, da sempre esistenti, che si sono rese evidenti già dai primi momenti di elaborazione del cosiddetto “Superbonus 110%”, relative al rispetto del diritto dei lavoratori, così come disciplinato dalla nostra Costituzione.
In particolare, la Costituzione Italiana, nei suoi “Principi fondamentali” (articolo 4), recita:
«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al
lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo
diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie
possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che
concorra al progresso materiale o spirituale della
società».
La Costituzione, tra i “Diritti e doveri dei cittadini”, disciplina i diritti dei lavoratori; in particolare l’art. 36 recita:
«Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata
alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente
ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e
dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla
legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali
retribuite, e non può rinunziarvi».
La nostra costituzione, nello spirito di libertà e di rispetto di ciascun lavoratore, con un giudizio riportato all’attualità, sembra comunque aver riservato un ruolo prioritario ai lavoratori subordinati; con tutti i naturali e necessari distinguo, i lavoratori autonomi sono stati bistrattati già all’origine della nostra “moderna” società, e tutto l’apparato di tutela dei lavoratori è stato concepito ed è stato implementato con questa ingiusta logica. Possiamo comprendere il perché ciò sia avvenuto, regredendo nel tempo e tornando allo spirito che caratterizzava la società di allora e i nostri “padri costituenti”; non dobbiamo tuttavia giustificare tutto quello che è avvenuto dopo e che rappresenta la nostra storia recente.
Torniamo a noi, ai lavoratori tecnici, alla nostra contemporaneità e alla nostra materia di discussione, in questo caso scevra, per facilità di comunicazione, da ogni aspetto di natura spirituale.
Ci siamo inventati il termine “professione” per rivendicare un’autonomia, una diversità e un distacco dei ruoli, dei diritti e dei doveri; in realtà anche noi “professionisti” siamo dei lavoratori come tutti gli altri (“stiamo nella stessa barca”), e dovremmo avere condizioni analoghe di considerazione e di tutela, in alternativa al “riposo settimanale” e alle “ferie annuali retribuite”.
Come già detto, in questo lungo e difficile anno, oramai trascorso, noi tecnici professionisti siamo stati lasciati “liberi”. Le nostre attività professionali sono state incluse tra quelle essenziali; insieme agli operatori delle forze dell’ordine, a quelli della sanità e del settore alimentare, c’eravamo anche noi! Che responsabilità, e che onore! Nessuna interruzione, nessun disturbo, tanta calma, strade sgombre e “parcheggio” assicurato. Mentre gli altri lavoratori iniziavano la sperimentazione del lavoro Smart, anche le imprese di costruzioni sono state “liberate” per farci sentire meno soli e per solidarietà di intenti. Per noi, le uniche restrizioni sono state rappresentate dal dovere di portarci appresso l’autocertificazione sempre aggiornata, come giustificazione dei nostri spostamenti. Nella realtà quotidiana, le nostre attività di lavoro - le professioni tecniche - si sono rivelate entità amorfe, emarginate ed energivore, efficienti soprattutto per la produzione di spesa: lavori pubblici ibernati, gare d’appalto sospese, edilizia privata rigettata al mittente per latitanza del personale addetto al controllo e all’approvazione delle istanze di autorizzazione, centralini telefonici che non rispondono, che avvisano gli utenti a rivolgersi altrove, con altre forme di contatto, con e-mail impersonali e spesso inefficaci. Naturalmente, non tutto il settore pubblico pecca di inefficienza; la “piega” che è stata seguita si è dimostrata comunque errata, sia negli intenti di chi l’ha imposta con forza, sia nei risultati finora conseguiti.
Un insospettabile, quanto autorevole esponente politico ed esperto del diritto del lavoro, il Professore Pietro Ichino, per il tramite della stampa e del suo sito internet, ha messo alla luce le criticità e le contraddizioni del Lavoro Agile (Smart), così come viene oggi concepito ed attuato nel nostro Paese; viene sottolineato il fatto che «tutta la sua “agilità” rischia di perdersi se essa viene fagocitata dal business della burocrazia giuslavoristica, incominciando così a essere appesantita da regole, verbalizzazioni, scartoffie e ricorsi […] Uno smart work promosso in questo modo non ha evidentemente più niente di smart: nasce con un imprinting contenzioso, quindi senza alcun rapporto di fiducia tra le parti, come una sorta di esonero parziale per persone che hanno dei problemi invece che come evoluzione organizzativa guidata dalle persone più motivate e professionalmente attrezzate ».
Secondo il Professor Ichino lo smart working per i dipendenti pubblici è una «vacanza retribuita al 100%»; egli ha inoltre dichiarato: «Si sarebbe potuto estendere al pubblico il trattamento di integrazione salariale, cioè la cassa integrazione che per i dipendenti pubblici non esiste, visto che il datore di lavoro è lo Stato, e destinare il risparmio ad altri settori. Si potevano premiare medici e infermieri in prima linea, oppure fornire pc agli insegnanti, costretti a fare la didattica a distanza con mezzi propri. Sarebbe utile se il ministero della Pubblica Amministrazione fornisse almeno un quadro attendibile di quanti dipendenti pubblici si sono davvero attivati per fare smart working e quanti no».
Le dichiarazioni del Professor Ichino, come tutte le voci fuori dal coro e dalle anacronistiche ideologie politiche, non sono state adeguatamente considerate, né per realismo né per demagogia. Al di fuori del Professor Ichino, e di pochi altri, nessuno propone nulla di concreto - neanche con analisi di giudizio - per analizzare e risolvere il problema del pubblico impiego ai tempi della pandemia. Si sta “sul pezzo” con lo Smart Working per apparire moderni, quando, nella realtà dei fatti, rimane sempre valida la celebre frase dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa: «Perché tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi».
Anche se può sembrare scontato, a scanso di equivoci, occorre comunque ribadire che non esistono lavori - e lavoratori - importanti ed altri meno importanti. Il lavoro è un complesso di azioni tra loro correlate e complementari l’una rispetto all’altra; come si suol dire: «Tutti siamo utili, nessuno è indispensabile». I lavoratori del pubblico impiego, i lavoratori del settore privato e i lavoratori autonomi, sono strettamente correlati, e si trovano oggi in un precario equilibrio che mostra tutti i sui limiti.
Per quanto riguarda la nostra posizione - quella dei professionisti tecnici - non possiamo che constatare lo stato dei fatti e rassegnarci, nostro malgrado, ad essere considerati lavoratori di secondo livello; non solo i dipendenti pubblici non vanno in cassa integrazione, come vorrebbe il Professor Ichino, ma qualcuno ha pensato bene, in questo periodo di confusione e di magra economica, anche di aumentare il loro stipendio, in occasione del canonico rinnovo dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro.
La verità, secondo il mio parere, è una sola, ed è questa: il mondo si è evoluto, nel bene e nel male, verso un’assurda globalizzazione, mentre il nostro Paese sta ancora alla finestra ad osservare i cadaveri che passano (il nostro sistema politico-sociale, le nostre industrie, le nostre istituzioni, ecc. ), scavandosi un fossato per una comune sepoltura; tutto questo per fierezza di posizione, per non voler rimodulare le promesse storiche, quelle dei nostri antenati, dei guelfi bianchi e neri, dei fascisti e dei partigiani. Difendere e salvaguardare la nostra memoria storica è certamente importante, ma non può essere un fardello che ci porterà a soccombere. Nella comune memoria, anche il nostro inno nazionale implora un sacrificio, uno scatto di orgoglio! L’Italia deve destarsi ancora e stare in prima linea, per combattere la sua battaglia e per tornare a vincere.
D’altra parte, c’è da fare un’ulteriore osservazione a difesa relativa della causa del pubblico impiego, in rapporto alle evidenti contraddizioni politiche; come ho già scritto in altre occasioni, nessun politico di alto rango ha pensato di ridursi veramente lo stipendio per contribuire fattivamente alla causa comune del Paese! Troviamo giustificazioni assurde, che all’azione (volontà potenziale di diminuzione dello stipendio) contrappongono una reazione ininfluente per la riduzione della spesa pubblica. Basterebbe solamente il gesto collettivo, di molti facoltosi politici, che fornisca il buon esempio, anche senza l’auspicata riduzione della spesa pubblica, per rasserenare le nostre menti e per guadagnarsi un po’ di rispetto.
Per dovere, e per completezza, occorre fare un’ultima riflessione che riguarda l’ambigua figura del dipendente pubblico che svolge anche la libera professione. Il tecnico professionista “amorfo” è l’unico, nel panorama delle libere professioni, ad essere un po’ tutelato; il suo stipendio - sicuro e garantito, ancorché in alcuni casi anche guadagnato - rappresenta un equo surrogato della “cassa integrazione”, che compensa i mancati utili di una professione ritenuta libera dallo stato, che oggi è in perdita per mancanza di attenzione e di terreno fertile.
In conclusione, per superare la crisi - nel senso più ampio del termine - occorre adeguarsi ai tempi che cambiano, rimodulando gradualmente il sistema del lavoro, dei suoi diritti e dei suoi doveri, in difesa di tutti i lavoratori, della nostra storia e della nostra costituzione. D’altra parte, fronteggiare l’attuale crisi economica con algoritmi sperimentali, che non tengono conto delle condizioni del mondo reale e del sistema organizzativo del lavoro, è deleterio per il nostro benessere, è un grave oltraggio alla nostra dignità. Da sempre la crisi si affronta con elasticità, con possibilità multiple di partecipazione, lasciando a ciascuno la libertà di scegliere le modalità per affrontare i problemi, ripartendo le risorse in maniera capillare, nei rispettivi territori e con le strutture organizzative già presenti (imprese e stabilimenti di produzione nazionali), senza velleità di globalizzazione e di esternalizzazione dell’approvvigionamento dei materiali e della manodopera, così come invece è stato scelto di fare. La promessa che lo stato ha fatto - quella di ristrutturare le case gratis a tutti - si scontra con la realtà, con noi, tecnici professionisti, che facciamo riunioni ogni giorno, che veniamo contattati al telefono in qualsiasi ora della giornata per pianificare gli interventi, con “google” che brulica di richieste di informazioni sul Superbonus, che vengono riportate a noi come un elenco di proposte, di confusione e di incertezza; noi tecnici ci siamo trasformati in docenti del Superbonus, dispensiamo consigli, cerchiamo di calare nella realtà attuativa quello che i veri “docenti” della materia hanno concepito a nostro discapito, senza tenere conto della crisi economica, del tessuto edilizio, della normativa disorganica, contrastante ed anacronistica, delle speculazioni che si stanno palesando per difficoltà di approvvigionamento dei materiali e della manodopera (l’Italia importa oramai tutto), della contrazione dei tempi previsti (scadenza del Superbonus) per l’esecuzione completa dei lavori e per l’espletamento delle pratiche burocratiche (elaborazione degli stati di avanzamento dei lavori, caricamento della documentazione, assurda e ridondante, sulle piattaforme telematiche dell’Agenzia delle Entrate e dell’Enea, rapporti multipli con i commercialisti per i visti di conformità, rapporti multipli con gli istituti finanziari per la gestione telematica delle cessioni di credito, ecc.); se illustriamo ad un bravo tecnico svizzero l’attuale modello del Superbonus, dice che siamo dei pazzi scatenati!
Un modo alternativo per gestire questi lavori, specialmente per i condomini, rimane quello di delegare il tutto a società ben strutturate che, con i loro General Contractor (factotum senza scrupoli), con i loro tecnici (orbi compiacenti) e con la loro disponibilità finanziaria (liquidità), riescono a superare gli scogli burocratici e legali senza troppi problemi; insomma, “occhio non vede e cuore non duole”, tanto ci sono i loro avvocati, pronti a difendere la società, sempre che sia ancora presente nello scenario dei futuri controlli. In altre parole, l’attuale sistema del Superbonus, qualora non si corra prontamente ai ripari, trasformerà il settore dell’edilizia, diffusamente presente nel nostro territorio (imprese, fornitori, ecc.), in un sistema polarizzato e globale, in una sorta di AMmaZzon dell’edilizia, nel boia della nostra economia. Rivolgo pertanto un appello ai nostri politici, ministri, sottosegretari e dirigenti: invertiamo la rotta, finché siamo in tempo, l’energia che manca dobbiamo ricercarla nelle nostre menti, la vera risorsa disponibile e veramente rinnovabile.
Il modello economico-finanziario del Superbonus
Con l’emanazione del Decreto Legge 18 maggio 2020, n. 34 - cosiddetto “Decreto Rilancio” - recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, convertito nella Legge 17 luglio 2020 n. 77, è stato introdotta un’agevolazione fiscale, cosiddetta “Superbonus”, consistente nella possibilità di detrarre dalle imposte dovute dal contribuente (committente dei lavori) il 110% delle spese sostenute per gli interventi di efficientamento energetico e di riduzione del rischio sismico dei propri edifici, con la possibilità di trasformare le suddette detrazioni in un credito d'imposta cedibile a terzi. Il Decreto Rilancio prevede, inoltre, la possibilità di trasformare in credito d'imposta cedibile anche le detrazioni fiscali del 50% relative ai lavori di ristrutturazione edilizia, per manutenzione ordinaria o straordinaria, finalizzate al recupero del patrimonio edilizio, nonché altri interventi di diversa natura.
Il Superbonus può essere utilizzato dal beneficiario, secondo tre modalità alternative:
- Mediante compensazione dei propri debiti fiscali su più quote annuali;
- Mediante “Sconto in fattura” operato dall’esecutore dei lavori (Impresa);
- Mediante “Cessione del credito di imposta”.
Nel caso di sconto in fattura, il credito di imposta scaturisce da uno sconto sull’importo della fattura emessa dal fornitore. Lo sconto può arrivare fino ad un massimo del 100% dell’ammontare da corrispondere. Il credito maturato dal fornitore è pari al 110% dell’importo dello sconto; l’importo eccedente tale credito, sempre incrementato del 10%, spetta invece al beneficiario, il quale può portarlo in detrazione ovvero può cederlo a terzi.
Nel caso di cessione del credito di imposta, il beneficiario liquida le fatture al fornitore, trasformando la detrazione di imposta in un credito che viene ceduto ad un terzo, ovvero ad una banca, ad un ente di assicurazione o ad un intermediario finanziario. La cessione del credito viene attuata al fine di ottenere “subito” la liquidità necessaria per il pagamento delle spese (i tempi sono in realtà incerti e molto lunghi), in alternativa ad un recupero diretto del beneficio fiscale sulla propria dichiarazione dei redditi nei successivi cinque anni.
Per operare la cessione del credito d’imposta è indispensabile aver pagato le fatture che hanno generato la spesa, in occasione dell’emissione dei rispettivi Stati di Avanzamento Lavori (S.A.L.); la normativa prevede un primo S.A.L. al raggiungimento di almeno il 30 % delle spese, un secondo S.A.L. è previsto al raggiungimento di almeno il 60% delle spese e il S.A.L. finale alla conclusione dei lavori. Si parla impropriamente di Stato di Avanzamento dei LAVORI, quando invece si dovrebbe parlare di S.A.S. - Stato di Avanzamento delle SPESE: questo aspetto, trascritto nella modulistica ufficiale di asseverazione, sta creando problemi interpretativi finora non chiariti, con conseguenti errori e rallentamenti per il rilascio del visto di conformità.
Come si può comprendere, le agevolazioni fiscali del Superbonus teorizzano la funzione di trasformare i crediti d’imposta in una sorta di moneta virtuale, che può essere utilizzata dagli operatori coinvolti (persone fisiche, condomìni, imprese esecutrici, ecc.) come mezzo di pagamento di beni e servizi, immettendo capacità finanziaria nel sistema economico senza incremento del debito pubblico (?), coinvolgendo gli operatori interessati a questo business, ovvero le banche, le assicurazioni e i grandi gruppi aziendali, che hanno una notevole disponibilità (capienza) fiscale. A tale scopo è stata creata un’apposita piattaforma telematica, gestita dall’Agenzia delle Entrate, che dovrebbe occuparsi della certificazione e della gestione dei crediti d’imposta.
Il procedimento tecnico-amministrativo del Superbonus prevede le seguenti figure: tecnici progettisti, direttori dei lavori, coordinatori per la sicurezza, tecnici commercialisti, imprese esecutrici, istituti intermediari e finanziari; c’è, inoltre, la figura ambigua del cosiddetto General Contractor (traduzione: Contraente Generale) che prepotentemente sta cercando di farsi spazio per avere anch’egli un utile riconoscimento. Essendo i lavori concepiti secondo un criterio gerarchico (interventi di riduzione del rischio sismico ed interventi di efficientamento energetico, interventi trainanti e interventi trainati), subordinati al rispetto di diversi ambiti normativi, si sono venuti a creare dei conflitti di correlazione per la loro attuazione pratica. Nel nostro apparato normativo convivono i regi decreti (per taluni aspetti sono anche le norme migliori), le norme della Repubblica e quelle europee; si può comprendere, in funzione anche della nostra cultura antropologia, quali siano le difficoltà di attuazione di un complesso eterogeneo di norme nella nostra comunità sociale. Non possiamo, dall’oggi al domani, trasformarci in tedeschi o in svizzeri, così come non possiamo modificare radicalmente la nostra struttura mentale per attuare linearmente ciò che si vuole.
Il Superbonus è piombato dall’alto come un meteorite impazzito, provocando uno tsunami che non sappiamo ancora dominare. Urge un intervento radicale per non trasformare quella che da tutti è riconosciuta come un opportunità di ripresa e di crescita in un pasto saporito per sciacalli senza scrupoli. Finora l’annuncio del “tutto gratis” del Superbonus ha creato solamente un blocco delle attività edilizie, in attesa di chiarimenti e modifiche per una concreta attuazione pratica.
Gli istituti finanziari, che dovrebbero fare la loro parte, in attesa di maggiori certezze, aspettano il momento giusto (le riforme del Recovery Plan ?); per adesso dettano solamente le regole che sono le medesime di sempre: si consente, con richieste documentali assurde e ridondanti, l’accesso centellinato a prestiti ponte, con garanzie multiple di liquidità da parte dei cittadini “beneficiari” (esistenza di conti correnti sufficientemente pingui di denaro) e tassi di interesse certamente non agevolati. Sono state adottate delle procedure di pre-istruttoria - che sono gestite da società partners degli istituti finanziari, per il tramite di piattaforme telematiche - per la validazione dei procedimenti tecnico-amministrativi, ai quali manca la parte tecnica in quanto chiaramente disconosciuta (società costituite da commercialisti ed avvocati); si viene pertanto a creare una difficoltà di interlocuzione costruttiva tra le figure tecniche (progettisti) e quelle finanziarie, che non porta a nulla, non potendoci trasformare mutuamente in ibridi idioti.
La Conformità urbanistica ed edilizia
Il Decreto-Legge 16 luglio 2020, n. 76 - cosiddetto “Decreto Semplificazioni” - recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale", convertito nella Legge 11 settembre 2020 n. 120, ha apportato alcune modifiche rilevanti al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, cosiddetto “Testo Unico dell’edilizia”. In particolare, è stato introdotta (articolo 34 bis) un importante certificazione, definita “Attestazione di Stato Legittimo dell’Immobile o dell’unità Immobiliare”; tale certificazione ha lo scopo di asseverare che l’immobile, o l’unità immobiliare, è stato/a realizzato/a in conformità del progetto iniziale e del corrispondente titolo abilitativo, eventualmente integrato da successivi progetti, con i rispettivi titoli abilitativi, che hanno legittimato ulteriori interventi successivi di integrazione e/o di trasformazione.
Come si può ben comprendere, la “semplice autocertificazione”, così come la intende il burocrate legislatore, rappresenta, in realtà, una ricerca aleatoria ed onerosa dell’intera storia urbanistico-edilizia dell’immobile o dell’unità immobiliare, in previsione di un successivo studio di fattibilità e della progettazione esecutiva degli interventi; in altre parole, l’Attestazione di Stato Legittimo rappresenta il tanto ricercato “Fascicolo di fabbricato” che, essendo di difficile attuazione, si presenta oggi sotto le vesti di una “semplice autocertificazione”.
L’Attestazione di Stato Legittimo - definita usualmente dichiarazione della conformità urbanistica ed edilizia - può essere rilasciata solamente previa acquisizione degli atti storici che sono depositati negli archivi comunali, in quelli del Catasto, in quelli del Genio Civile e, per taluni interventi, anche negli archivi ministeriali (soprintendenze, ecc.). Occorre pertanto richiedere onerose procedure di accesso agli atti, che sono spesso ingestibili per il tempo e le energie da impiegare per la ricerca, la lettura e l'interpretazione della documentazione pregressa, molte volte incompleta o addirittura non reperibile.
Dalla data di presentazione, dell’istanza di richiesta di accesso agli atti, un comune mediamente risponde, con i dovuti solleciti, in circa quattro mesi; la pandemia per questo non aiuta, anche se è stata la causa scatenante del “decreto semplificazioni” che ha imposto implicitamente tale obbligo.
D’altra parte, non e' possibile, e non e' altrettanto professionalmente corretto, certificare una conformità edilizia ed urbanistica “alla cieca”, senza avere autonomamente a disposizione gli elementi minimi per poterla generare, ovvero un libero accesso agli archivi pubblici (le chiavi di casa) e un'adeguata remunerazione delle rispettive prestazioni professionali (riconoscimento dell’onerosa attività, sia dal punto di vista del tempo necessario, sia per le responsabilità dichiaratamente espresse nell’autocertificazione).
Facendo un esempio, una qualsiasi opera può anche essere stata autorizzata, a suo tempo, dal Comune, con il rilascio del titolo abilitativo, senza che vi sia stata una regolare chiusura dei lavori, con emissione, del collaudo statico ovvero con una conformità di vincolo, ecc. Ci si pone pertanto la seguente domanda: l'opera che dovremmo autocertificare è a posto da tutti i punti di vista? I risvolti di tali disposizioni normative sono molteplici e le responsabilità sono a vita! Ricordiamolo sempre questo!
Invece di intraprendere la strada logica di un moderno condono edilizio, con inglobamento nella progettazione anche delle opere che possono essere integrate, demolite, migliorate o adeguate, controllandone la rispondenza normativa d’insieme, si scimmiottano conoscenze e logiche che sono incompatibili con lo stato effettivo della realtà e dei problemi che bisogna affrontare. Mettere un cappotto ad un edificio storico, senza ridurne la vulnerabilità alle azioni sismiche, così come oggi consentito dalle norme del Superbonus, rappresenta una scelta senza alcun senso logico, in quanto qualsiasi volontà di intervento futuro (per esempio, consolidamento delle strutture portanti dall’esterno) viene di fatto ostacolata per la presenza del cappotto che, installato oggi da me, potrebbe scoraggiare mio nipote in un prossimo futuro, ritenendo un peccato rimuovere il cappotto del nonno, tra l’altro verificato e validato da una certificazione. Si ostacola, inoltre, la possibilità di un monitoraggio delle componenti strutturali anche dall’esterno dell’edificio, essendo in cappotto un elemento che assorbe bene le deformazioni, senza danneggiarsi troppo dopo un terremoto di media intensità.
Il condono edilizio lo avremmo potuto definire con altri termini, per esempio “razionalizzazione edilizia” (il termine “razionalizzazione” evoca la cultura e la zelanteria germanica, come esempio da seguire), lasciandoci alle spalle la storia dei nostri precedenti condoni edilizi, che curavano soprattutto gli aspetti fiscali, e di pensato e progettato avevano ben poco; si sarebbe aperta così una fase nuova, nella quale ciò che abbiamo (il nostro patrimonio edilizio) non veniva buttato al macero, o lasciato deperire per impossibilità di intervento e per mancanza del “pedigree”, una fase in cui poteva essere analizzata la qualità costruttiva (criticità) delle nostre abitazioni agevolando un virtuoso sviluppo.
È doveroso sottolineare che l’Attestazione di Stato Legittimo è oggi necessaria per eseguire qualsiasi lavoro soggetto al rilascio di un titolo edilizio, non solamente per i lavori fiscalmente agevolabili, come quelli del Superbonus. Per esempio, qualora sia necessario intervenire nel rifacimento di una copertura in legno fortemente degradata, se l’immobile ha delle parti non perfettamente in regola, per cui non è possibile rilasciare l’Attestazione di Stato Legittimo, non è possibile eseguire legalmente alcun intervento; l’immobile sarà così condannato a “morte” naturale per divieto di somministrazione delle dovute cure.
Come per tutti gli eventi della nostra esistenza, bisogna analizzare la realtà dei fatti, per poter giudicare e, di conseguenza, poter agire. Prima di concepire una legge bisognava studiare bene quello che è il nostro patrimonio edilizio, le norme e le consuetudini del passato e la nostra storia sociale. Io non mi ritengo un esperto di leggi e di economia, e per questo non ho ambizioni di trasformarmi in un avvocato, in un economista o in un magistrato; la stessa riflessione dovrebbero farla anche gli avvocati, gli economisti, i magistrati e tutti coloro che hanno fatto della loro professione una scelta di vita, per amministrare al meglio la nostra società. Per fare bene, con tutti i naturali limiti umani, occorre uscire fuori dalle logiche meramente politiche e, ahimè, sacrificare anche qualche voto, e qualche testa, per il bene del nostro Paese.
La retribuzione del lavoro e i compensi professionali
Ai sensi delle vigenti normative, che disciplinano l’esercizio delle attività tecnico-professionali, è necessario fornire al committente un “preventivo di massima”, che deve essere pattuito per le singole prestazioni, riportante il dettaglio dei costi in relazione alla complessità e all’importanza dell’opera, le spese, gli oneri e i contributi che saranno a carico del committente; il preventivo deve altresì riportare gli estremi della polizza assicurativa per gli eventuali danni provocati nell’esercizio dell’attività professionale.
L’obbligo di stesura del preventivo di massima viene contemplato anche dai codici deontologici delle singole professioni tecniche, a garanzia del corretto esercizio delle relative prestazioni professionali.
Oltre al suddetto preventivo, l’accordo tra le parti viene regolamentato da un apposito contratto nel quale devono essere riportate tutte le condizioni tecnico-economiche che disciplinano l’incarico e, in particolare, i compensi da corrispondere al tecnico professionista nei tempi consensualmente stabiliti.
Nell’attuale regime di libero mercato, scaturito dall’abrogazione delle tariffe professionali che regolamentavano gli onorari da corrispondere per le varie prestazioni tecniche, si è venuto a creare un vulnus normativo - parzialmente colmato, per il solo settore dei lavori pubblici, dall’emanazione del Decreto Ministeriale 17 giugno 2016, cosiddetto “decreto parametri” - che ha reso necessario l’emanazione di apposite leggi regionali per definire un “equo compenso” per le attività professionali del settore privato. Tali normative, emanate finora da oltre la metà delle regioni del nostro Paese, nel ribadire l’obbligo di redigere una lettera di incarico, con tutte le condizioni già stabilite dalla normativa nazionale, introducono anche l’obbligo di sottoscrizione, da parte del tecnico professionista incaricato, di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà attestante l’avvenuto pagamento delle prestazioni professionali da parte del committente; la mancata presentazione, all’amministrazione pubblica delegata al rilascio dell’atto autorizzativo, di tale dichiarazione sostitutiva, sospende il procedimento amministrativo e il rilascio dell’autorizzazione per l’esecuzione dei lavori.
Come abbiamo già descritto, il modello del Superbonus 110% prevede la possibilità di liquidare le spese ammesse ai benefici fiscali - tra le quali sono comprese anche le prestazioni professionali - in occasione dell’emissione, da parte del Direttore dei Lavori, dei corrispondenti Stati di Avanzamento dei Lavori (S.A.L.).
Il pagamento dei corrispettivi tecnici relativi alla progettazione degli interventi - con il messaggio vigliacco del “tutto gratis”, che è rimasto impresso nell’opinione pubblica - pur dovendo essere eseguito al momento della presentazione dell’istanza relativa all’atto abilitativo di autorizzazione ad iniziare i lavori, rimane, di fatto, sospeso fino all’emissione dello Stato di Avanzamento dei Lavori (tipicamente il Primo S.A.L.) che ne legittima la liquidazione.
Molti comuni, che ricadono nelle regioni in cui vige la legge sull’equo compenso, si trovano oggi nella condizione di non poter rilasciare l’atto autorizzativo, o a sospenderne il procedimento amministrativo, precludendo così la possibilità di iniziare dei lavori, nel caso in cui la documentazione tecnica richiesta per legge non contenga alcuna dichiarazione che certifichi l’avvenuto pagamento delle prestazioni professionali di progettazione. Il tecnico progettista si trova così tra l’incudine e il martello, tra l’implicito ricatto di un committente illuso dallo stato e la necessità di adempiere ad un dovere di legge. In tutto questo, chi ci rimette è sempre il tecnico progettista, che “aspetta e spera”, rimanendo subordinato alle sorti dell’appalto e agli umori dei committenti e delle imprese esecutrici.
Occorre inoltre ricordare che i benefici fiscali del Superbonus, si applicano alle spese relative agli interventi, ivi comprese le spese per la progettazione, a condizione che gli interventi siano effettivamente realizzati. Non sussiste pertanto nessuna tutela qualora, per svariati motivi, i lavori subiscano un’interruzione “irreversibile”, ovvero nel caso in cui l’opera non sia pienamente completata.
Pensiamo, per esempio, ai lavori da eseguire in un condominio con molteplici unità abitative; in tal caso, basta una lite tra moglie e marito, una minaccia di divorzio, affinché un lavoro “trainato” (per esempio il cambio della caldaia) non si possa più eseguire sull’appartamento dei coniugi litigiosi, mandando all’aria tutto il sistema del Superbonus. Su un altro fronte, si potrebbero verificare dei contenziosi, dei ripensamenti, ovvero delle sofferenze economiche, da parte dell’impresa esecutrice che, sospendendo i lavori e abbandonando il cantiere, renderebbe vana ogni speranza. È vero che ci sono le polizze di assicurazione, tra l’altro molto care! Intanto il progettista, che non è stato onorato con il pagamento delle sue spettanze, per tutelare i suoi diritti dovrà sobbarcarsi le spese correnti, quelle degli avvocati e anche quelle delle marche da bollo!
In definitiva mi chiedo, e ci chiediamo? Perche, io progettista, devo anticipare il mio tempo e le mie risorse, fungendo da banca, per attivare le mie responsabilità ed essere pagato “a babbo morto”? Perché voi, Legislatori da 110 - forse anche con la lode - dall’alto delle vostre conoscenze teoriche, non avete saputo prevedere tutto questo caos? Perché, qualora coscienti delle vostre carenze, teoriche e pratiche, avete peccato di vanagloria, non pensando che la realtà fosse diversa da quella da voi idealizzata? Perché, a valle delle vostre teorizzazioni, non avete chiesto aiuto agli esperti di lavori pubblici e di urbanistica? Cerchiamo, oggi, di compensare queste lacune, con nuovi decreti, circolari, interpelli ecc., che intorbidiscono ancora di più il senso della logica, trascinando nel fondale della “melma” burocratica i residui nudi della nostra economia. Il modello del Superbonus, così come concepito, ha infatti contribuito ad acuire i malesseri di un’economia già compromessa da oltre un decennio di recessione; molti lavori, che potevano essere realizzati con finanziamenti di altra natura (agevolazioni fiscali ordinarie; fondi privati, ecc.) sono attualmente appesi alle risoluzioni del nostro apparato burocratico, in attesa di un giusto equilibrio che spazzi via tutta la polvere e che riporti alla luce l’essenza della logica e della ragione.
Conclusioni
La realtà è purtroppo questa, ed io oggi la rappresento in prima persona, così come un cane che abbaia solamente quando c’è qualcosa che lo disturba, e sta zitto quando tutto va come vuole lui. Mi si rimprovera, spesso, di condire le mie disquisizioni tecniche, con pathos e riflessioni personali. Ai miei “giudici” rispondo:
Accogliere il vostro rimprovero, sarebbe come trasformare il cane in un pesce, l’aria nell’acqua, la realtà in un sogno. Per tutto il resto c’è sempre “Google”, che ne sa più di me.
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