Annullamento condono e autotutela: quando la PA non può fare nulla
Il Consiglio di Stato ricorda che ci sono dei precisi limiti di tempo entro cui un'Amministrazione può revocare un provvedimento
Il potere di autotutela di una Pubblica Amministrazione non è sine die e c’è un preciso limite di tempo a cui è necessario attenersi, salvo casi particolari. A ricordarlo è il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1704/2022, con la quale ha accolto (in parte) l’appello presentato dal proprietario di un edificio contro l’ordine di demolizione conseguente all’annullamento in autotutela di un’autorizzazione paesaggistica e della concessione in sanatoria connessa.
Annullamento condono in autotutela: i limiti del potere della Pubblica Amministrazione
La vicenda, piuttosto complessa, ha origine addirittura prima del 1967, quando è stato realizzato un chiosco prefabbricato di circa 45 mq, sul quale è stato rilasciato nel 1973 da parte del Comune l’accertamento di conformità del progetto ante ’67. Su di esso sono poi stati fatti alcuni interventi di ampliamento, per i quali è stata presentata un'istanza di sanatoria ai sensi della legge n. 47/1985 (Primo Condono Edilizio) per ampliamento del manufatto originario e creazione di un patio con pergolato, e una successiva richiesta di sanatoria, ai sensi della legge n. 724/1994 (Secondo Condono Edilizio). Nel 2001 è stata poi rilasciata l’autorizzazione paesaggistica in relazione alle opere oggetto della prima domanda di condono e nel 2007 la seconda sanatoria.
A seguito di alcune verifiche, nel 2019, il Comune ha richiesto alla Soprintendenza se effettivamente avesse ricevuto l’autorizzazione paesaggistica rilasciata nel 2007, ma essa, dopo aver riferito di non aver mai avuto la nota di trasmissione, si è espressa negativamente sul rilascio del condono. Da qui l’annullamento in autotutela e l’ordine di demolizione.
Annullamento condono e autorizzazione paesaggistica: la sentenza del Consiglio di Stato
Per valutare il caso, il Consiglio di Stato ha ricordato che con la legge n. 124/2015 è stato stabilito che l’esercizio del potere di autotutela della PA è applicabile per diciotto mesi. Tale termine, con il D.L. n. 77/2021, è stato ulteriormente ridotto a 12 mesi.
Il limite imposto con la riforma del 2015 non è retroattivo e vale per provvedimenti successivi alla data in vigore del provvedimento. Per quelli precedenti, si applica l’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 (Annullamento d'ufficio) che comunque non dà potere illimitato a un’Amministrazione. Come spiegano i giudici di Palazzo Spada, “la "ragionevolezza" del tempo di intervento costituisce comunque un imprescindibile elemento di valutazione della correttezza dell'operato della pubblica Amministrazione, per cui è del tutto congruo che il termine per l'annullamento d'ufficio decorre soltanto dal momento in cui l'Amministrazione è venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell'atto". Ne consegue che un'immotivata e protratta inerzia, seguita da un improvviso e ingiustificato revirement connota di sicura negatività la valutazione del tempo trascorso, a maggior ragione quando esso è davvero considerevole.
Nel caso in esame, il provvedimento di autotutela e lo stesso avvio del relativo iter sono ampiamente successivi (di quattro anni) alla riforma del 2015 e all’introduzione del termine di 18 mesi. Si tratta infatti di un procedimento avviato e concluso nel 2019, ben oltre la scadenza del termine sia di diciotto mesi che di ragionevolezza, considerati i quasi 20 anni trascorsi tra l’autorizzazione paesaggistica, i 12 anni dalla sanatoria speciale e gli oltre trent’anni dalla domanda di condono.
Per altro, il superamento del rigido termine di diciotto mesi (dal 2021 portato a dodici mesi), entro il quale il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, è consentito solo in due circostanze:
- nel caso di falsa attestazione su cui sia in corso un accertamento di rilevanza penale
- nel caso di errati presupposti del provvedimento, non imputabili all'Amministrazione, ma esclusivamente al dolo della parte:
Non si tratta del caso in esame: il Comune è intervenuto in autotutela su titoli rilasciati da moltissimo tempo e per altro con la buonafede del proprietario, che aveva evidenziato che l’immobile si trovava in zona vincolata e aveva fatto correttamente richiesta di autorizzazione paesaggistica. Infatti eventuali disguidi o carenze imputabili alle amministrazioni nella gestione delle rispettive comunicazioni non possono essere posti a carico del privato incolpevole, che ha fatto corretto e ragionevole affidamento sugli atti e le comunicazioni ricevuti.
Comunicazione diniego e condono straordinario
Se però parte dell’appello è stata accolta, non altrettanto è accaduto per quella inerente il diniego del secondo condono: secondo l’appellante andava applicato l’art. 10-bis della legge n. 241/1990, per cui nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Tale termine, secondo il Consiglio, non può essere applicato ai procedimenti che, ex lege, sono connotati, da tratti di assoluta specialità, come quello concernente il condono edilizio straordinario.
L’appello è stato quindi accolto in riferimento all’annullamento del provvedimento di autotutela emanato oltre il termine di 18 mesi, e all’ordine di demolizione per la parte connessa alla concessione in edilizia in sanatoria ai sensi della Legge n. 47/1985, mentre il diniego al secondo condono è stato confermato, così come la parte di ordinanza di demolizione connessa ad esso.
Documenti Allegati
SentenzaIL NOTIZIOMETRO