Annullamento effetti SCIA: provvedimento illegittimo se immotivato
La validità del provvedimento è condizionata, anche alla verifica degli ulteriori presupposti costituiti dal riscontro di un interesse pubblico concreto all’annullamento
La motivazione che sorregge l’annullamento d’ufficio deve investire i singoli presupposti normativi, senza che possa ritenersi legittimo il provvedimento che non riporti tutti gli effetti negativi derivanti dalla sua mancata emanazione.
Effetti SCIA: il Consiglio di Stato sull'annullamento d'ufficio
A spiegarlo, richiamando le disposizioni della legge n. 241/1990 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), è il Consiglio di Stato che, con la sentenza del 12 novembre 2024, n. 9061, ha accolto l’appello per la riforma della sentenza del TAR che aveva confermato la legittimità dell’annullamento d’ufficio degli effetti di una SCIA. Il provvedimento impugnato sarebbe stato motivato esclusivamente sulla ritenuta carenza dei requisiti igienico-sanitari dell’unità abitativa ai sensi del DM 05/07/1975 e dell’art. 71 del regolamento edilizio vigente, senza le ulteriori valutazioni richieste dalla norma di cui all’art. 21-nonies in punto di interesse pubblico concreto all’annullamento e di prevalenza di questo rispetto all’interesse del privato.
In particolare, il giudice di primo grado aveva ritenuto che:
- l’omessa comunicazione di avvio del procedimento e la conseguente violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990 fosse un vizio procedimentale non tale da condurre all’annullamento del provvedimento, in quanto l’amministrazione aveva dimostrato, ai sensi dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, che il provvedimento non avrebbe potuto assumere contenuto diverso da quello in concreto adottato;
- la prevalenza delle ragioni di interesse pubblico sottese all’annullamento degli effetti della SCIA fosse sufficiente e che non potesse assegnarsi alcuna rilevanza all’affidamento maturato dal ricorrente a seguito del condono edilizio, in relazione alla possibilità di adibire l’immobile ad uso residenziale.
Da qui l’appello al Consiglio, al quale è stato fatto presente che:
- la comunicazione di avvio era dovuta, posto che il provvedimento impugnato era stato adottato dal Comune senza alcuna valutazione circa la situazione dell’appellante, come invece previsto dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990;
- non sarebbe stata condivisibile la tesi del primo giudice secondo cui il vizio contestato sarebbe meramente formale e non avrebbe potuto «condurre all’annullamento del provvedimento, avendo l’amministrazione dimostrato, ai sensi dell’art. 21-octies L. 241/90 che esso non avrebbe potuto assumere contenuto diverso da quello in concreto adottato». Secondo l’appellante, difatti, la difesa dell’amministrazione comunale, che ha escluso sussistessero le condizioni per l’agibilità dell’immobile previste dal D.M. 5 luglio 1975, non sarebbe stata sufficiente per ritenere provata l’inevitabilità del provvedimento impugnato.
- il provvedimento impugnato si sarebbe basato esclusivamente sulla ritenuta carenza dei requisiti igienico-sanitari dell’unità abitativa ai sensi del DM 05/07/1975 e dell’art. 71 del regolamento edilizio vigente, senza le ulteriori valutazioni richieste dalla norma di cui all’art. 21-nonies in punto di interesse pubblico concreto all’annullamento e di prevalenza di questo rispetto all’interesse del privato.
- l’amministrazione avrebbe dovuto motivare l’annullamento d’ufficio anche in ordine al superamento dell’affidamento ingenerato nei suoi confronti dall’aver rilasciato, dal 2007, la sanatoria edilizia dell’immobile in esame, proprio al fine di consentirne il «cambio di destinazione d’uso da magazzino a monolocale ad uso residenza sito al piano terra», suffragato da atti dello stesso Comune in cui si sarebbe sostenuta la possibilità che l’art. 35, comma 19, della l. n. 47/1985, applicabile anche alla sanatoria dell’immobile di cui trattasi, consentisse di ottenere il rilascio del certificato di agibilità anche in deroga ai presupposti fissati dal DM 5 luglio 1975 e da norme regolamentari.
Annullamento SCIA: illegittimo il provvedimento immotivato
Palazzo Spada ha accolto l’appello: è fondata anzitutto la dedotta violazione dell’art 7 della legge n. 241 del 1990, per la mancata comunicazione di avvio del procedimento di annullamento degli effetti della SCIA.
Il provvedimento impugnato, difatti, risulta adottato dopo decorsi i trenta giorni entro i quali l’art. 19, comma 6-bis, della legge n. 241/1990, consente di adottare i provvedimenti inibitori dell’attività oggetto della segnalazione certificata, ipotesi in cui l’amministrazione può intervenire per eliminare gli effetti prodotti dalla SCIA solo se ricorrono le condizioni previste dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990.
Inoltre il richiamo della norma che disciplina l’annullamento d’ufficio implica che la validità del provvedimento è condizionata, non alla sola illegittimità del provvedimento oggetto di riesame, ma anche alla verifica deli ulteriori presupposti costituiti dal riscontro di un interesse pubblico concreto all’annullamento, dalla valutazione comparativa di questo con l’interesse del privato al mantenimento delle utilità derivanti dal provvedimento di primo grado e con l’affidamento maturato nel privato. Presupposti la cui sussistenza deve rispecchiarsi nella motivazione del provvedimento di annullamento degli effetti della SCIA.
Da ciò ne deriva che:
- è necessario portare a conoscenza del privato l’avvio del procedimento e di consentirgli l’esercizio dei diritti di partecipazione procedimentale;
- data la natura schiettamente discrezionale del provvedimento adottato ai sensi del citato art. 21-nonies, il procedimento non rientra nel campo di applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, ultimo periodo, che preclude l’annullamento per il vizio di omessa comunicazione dell’avvio del procedimento anche se si tratta di poteri discrezionali, quando l’amministrazione dimostri in giudizio che il provvedimento non avrebbe potuto avere un diverso contenuto,;
- la motivazione che sorregge il provvedimento di annullamento d’ufficio deve investire i singoli presupposti normativi.
In questo caso, l’annullamento d’ufficio si è basato esclusivamente sulla ritenuta illegittimità degli effetti che deriverebbero dalla SCIA volta a ottenere l’agibilità dell’immobile, per la mancanza di alcuni requisiti igienico-sanitari previsti dal D.M. 5 luglio 1975 e dal regolamento edilizio comunale. Nessun cenno è fatto invece alle altre «condizioni previste dall’articolo 21-nonies».
Né si può invocare il comma 2 dell’art. 21-octies, comma secondo, sull’annullabilità del provvedimento, come erroneamente ritenuto dal primo giudice, dal momento che proprio l’assenza della fase partecipativa e il mancato svolgimento delle valutazioni su profili fondamentali dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio non consente, nel caso di specie, di profetizzare alcunché sul possibile contenuto del provvedimento finale.
Documenti Allegati
SentenzaIL NOTIZIOMETRO