Annullamento titoli edilizi: no all'autotutela se la PA è inerte
Il parere del CGARS: necessario tutelare il legittimo affidamento del privato se i presupposti per formazione del provvedimento amministrativo mancano solo per colpa dell'Amministrazione
Nel bilanciamento tra l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto illegittimo e la tutela dell’affidamento dei destinatari circa la certezza e la stabilità degli effetti giuridici prodotti dal provvedimento, la ricerca del giusto equilibrio induce a dare maggiore rilevanza all’interesse del privato alla stabilità del bene della vita con esso acquisito, tutte le volte in cui v’è stato un comportamento gravemente colposo dell’amministrazione.
Annullamento titoli edilizi in autotutela: l'equilibrio con il legittimo affidamento
Si tratta, in sintesi, di quanto espresso dall’Adunanza delle sezioni riunite del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana con il parere del 7 dicembre 2023, n. 472 con cui ha accolto il ricorso contro l'annullamento in autotutela, di alcuni titoli abilitativi da parte di un Comune, oltre il limite consentito dei diciotto mesi.
I fatti riguardano un immobile realizzato nel 1983 senza licenza edilizia e sul quale gli originari proprietari avevano presentato nel 1986 istanza di condono ai sensi della legge n. 47/1985 (c.d. “Primo Condono Edilizio”).
Nel 2002 l’immobile è stato venduto a un nuovo proprietario che nel 2017 ha trasmesso una SCIA asseverata su alcuni interventi realizzati nel 2004; sempre nel 2017 ha trasmesso perizia giurata, redatta ai sensi dell’art. 28 della legge regionale n. 16/2016, sostitutiva di concessione edilizia in sanatoria, con la quale veniva asseverato l’immobile nel suo complesso.
Successivamente, l’immobile è stato acquisito dal ricorrente, facendo affidamento sulla piena regolarità delle opere realizzate nella villetta, anche sulla scorta delle asseverazioni rese e delle verifiche effettuate in sede di stipula notarile, tant’è che nel 2018 ha trasmesso una SCA per asseverare l’agibilità della villetta.
Nel 2022, il colpo di scena: il Comune ha disposto un sopralluogo sulla base della richiesta di sanatoria del 2017 e ha deciso per l’annullamento in autotutela della SCIA in sanatoria, della perizia giurata e della SCA, sull’assunto di difformità riscontrate rispetto a quanto dichiarato.
Il ricorso
Da qui il ricorso, nel quale si è sottolineata l’illegittimità dell’esercizio del potere di autotutela dall’amministrazione resistente, poiché posto in essere ben oltre i 18 mesi previsti dalla normativa, con un’ordinanza intervenuta a distanza di ben cinque anni, sia dalla richiesta di sanatoria presentata dal precedente proprietario dell’immobile, sia dalla concessione auto assentita di cui alla perizia giurata di cui si è disposto l’annullamento. Senza dimenticare che l’ordinanza è stata adottata a distanza di trentasei anni dalla domanda di condono edilizio presentata dai precedenti proprietari.
In altre parole, secondo quanto sostenuto dalla parte ricorrente:
- l'immotivata e protratta inerzia dell’amministrazione per ben 5 anni dalla sanatoria auto assentita e 36 anni dalla istanza di condono edilizio non può non avere nessuna incidenza nel caso di specie;
- il ricorrente non è responsabile delle condotte contestate nel provvedimento impugnato, essendo «parte lesa sia dalla condotta eventualmente illegittima dei precedenti proprietari sia dalla inerzia della P.A. che se avesse esercitato entro tempi ragionevoli, e soprattutto nei confronti dei precedenti proprietari, il proprio potere di controllo avrebbe evitato al nuovo proprietario di essere chiamato a rispondere di condotte altrui.».
- l’amministrazione non avrebbe effettuato un motivato bilanciamento fra l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata e l’interesse dei destinatari al mantenimento dello status quo ante, interesse rafforzato dal legittimo affidamento, determinato dall’adozione dell’atto e dal decorso del tempo;
- la buona fede del ricorrente, che ha fatto affidamento sulla piena regolarità delle opere realizzate nella villetta, non può non avere rilevanza nella necessaria motivazione con il bilanciamento degli interessi coma sopra evidenziati.
Il parere del CGARS
Sulla questione, l’Adunanza ha preliminarmente sottolineato che in assenza dell’accoglimento della domanda di condono e prima della sua definizione attraverso la perizia giurata, il Comune avrebbe dovuto intervenire, esercitando il potere previsto dall’art. 19 della legge n. 241/1990, in quanto le opere aggiuntive comunicate con la s.c.i.a., afferendo ad un immobile sine titulo, ripetevano le stesse caratteristiche di illiceità dell’opera abusiva originaria.
Secondo il CGARS emerge, dalla ricostruzione dei fatti, che l’amministrazione comunale ha lasciato decorrere i termini di legge per l’esercizio dei poteri inibitori, repressivi e conformativi, in tre occasioni:
- al momento della presentazione nell’ottobre 2017 della SCIA in sanatoria;
- al momento della trasmissione nel novembre 2017, della perizia giurata redatta ai sensi dell’art. 28 della legge regionale n. 16/2016, sostitutiva di concessione edilizia in sanatoria, nella quale veniva asseverato l’immobile nel suo complesso così come modificato, tra l’altro, dalle opere edili oggetto di una SCIA tardiva;
- al tempo della trasmissione, nel 2018, della SCA con la quale lo stesso tecnico ha asseverato l’agibilità della villetta.
Il potere di autotutela è stato invece esercitato esorbitando dal limite temporale stabilito ex lege per il suo corretto esercizio.
Autotutela su titoli edilizi: i termini per l'esercizio del potere
Sul punto i giudici amministrativi ricordano che sono suscettibili di interventi in autotutela anche i titoli edilizi che si formano implicitamente attraverso il meccanismo del silenzio assenso previsto dall’art. 20 della legge n. 241/1990, come nel caso della perizia giurata per le procedure di condono edilizio ex art. 28 della legge regionale n. 16/2016.
Il comma 3 dell’art. 20, infatti, prevede esplicitamente che «nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l’amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies».
Lo stesso vale in materia di segnalazione certificata di inizio attività. Il comma 4 dell’art. 19 prevede che, decorsi i termini per l’ordinario esercizio dei poteri di verifica sulle segnalazioni (trenta giorni in caso di s.c.i.a. edilizia ai sensi dell’art. 19, comma 6 bis), l’amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti conformativi e inibitori di cui all’art. 19, comma 3, «in presenza delle condizioni previste dall’art. 21-nonies».
In entrambi i casi è, dunque, previsto dalla legge n. 241/1990 l’esercizio del potere di autotutela.
Va però evidenziato che il nostro ordinamento esclude un potere di autotutela temporalmente illimitato, a seguito e per effetto della introduzione, ad opera della legge n. 124/2015, del termine di esercizio dell’autotutela nell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, quantificato nel massimo di diciotto mesi, poi ridotto a dodici, come modificato dall’art. 63, comma 1, del D.L. n. 77/2021 (c.d. “Decreto PNRR”) convertito con modificazioni dalla legge n. 108/2021.
In linea generale, costituisce ius receptum il principio per cui «L]’esercizio del potere di autotutela è, dunque, anche in materia di governo del territorio, espressione di una rilevante discrezionalità che non esime l’amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti. In particolare, il potere di autotutela deve essere esercitato dalla p.a. entro un termine ragionevole, tanto più quando il privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto, con la realizzazione del progetto, un ragionevole affidamento sulla regolarità dell’autorizzazione edilizia.
Dirimente in questo caso comprendere il dies a quo per il computo del termine entro il quale poter esercitare i poteri di autotutela nel rispetto del termine fissato dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990.
Il termine «ragionevole», previsto dal citato art. 21-nonies, entro cui esercitare la potestà di autotutela, decorre senz’altro dalla conoscenza da parte dell’amministrazione dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro.
Questo a maggior ragione nel caso «di titoli abilitativi rilasciati sulla base di dichiarazioni oggettivamente non veritiere (e a prescindere dagli eventuali risvolti di ordine penale), laddove la fallace prospettazione abbia sortito un effetto rilevante ai fini del rilascio del titolo, è parimenti congruo che il termine ‘ragionevole’ decorra solo dal momento in cui l’amministrazione ha appreso della richiamata non veridicità.»
L'equilibrio tra interesse pubblico e legittimo affidamento del privato
Se ciò è pur vero, spiegano i giudici amministrativi, devono altrettanto tenersi in debito conto sia il comportamento dell’amministrazione comunale sia il ragionevole affidamento maturato dal privato:
- in questo caso il ricorrente ha acquistato l’immobile in buona fede, in quanto al momento della compravendita si erano formati i titoli abilitativi, con una ragionevole aspettativa alla stabilità delle situazioni giuridiche acquisite dai titoli maturati per silentium;
- il Comune aveva già ricevuto nel 2017 prima la s.c.i.a. in sanatoria e la perizia giurata successivamente, senza esercitare il dovuto potere di controllo e inibitorio.
A fronte della bona fides e del ragionevole affidamento del ricorrente, deve considerarsi il comportamento quantomeno poco diligente del Comune, che avrebbe dovuto rilevare la pendenza della domanda di condono e, pertanto, prendere atto del carattere abusivo dell’opera principale alla quale accedono e di cui ripetono illeceità i manufatti descritti nella s.c.i.a. in sanatoria.
Di conseguenza, l’amministrazione avrebbe dovuto adottare i provvedimenti ex art. 19, legge n. 241/1990 sulla s.c.i.a. ricevuta in data 5 ottobre 2017, ossia entro il termine del 4 novembre 2017, senza necessità di compiere la particolare verifica, effettuata solo il 28 gennaio 2022, attraverso l’acquisizione delle immagini da Google Earth, da cui è poi emerso che i manufatti descritti nella s.c.i.a. in sanatoria erano stati realizzati in un periodo diverso rispetto a quanto asseverato dal tecnico.
In presenza di elementi che consentivano di percepire, agevolmente e immediatamente, la illegittimità della s.c.i.a. in sanatoria, non può invocarsi la decorrenza del termine per l’esercizio del potere di autotutela al momento successivo della scoperta, attraverso il sopralluogo del 2022, della falsa rappresentazione degli elementi fattuali posti alla base del titolo edilizio conseguito con la s.c.i.a. in sanatoria e, a cascata, dei successivi titoli, formatisi nel silenzio dell’amministrazione.
Deve, in tal caso, ritenersi prevalente l’interesse dell’acquirente in buona fede alla stabilità e alla certezza delle situazioni giuridiche prodotte dai titoli abilitativi maturati per silentium colposo dell’amministrazione; a maggior ragione in un sistema nel quale, a seguito della novella del 2015, viene garantita la loro intangibilità una volta decorso inutilmente il periodo di operatività del potere di annullamento d’ufficio dei titoli stessi.
No ad autotutela oltre i limiti consentiti
Non può quindi superarsi il termine rigido di diciotto mesi (poi ridotto a dodici) per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, nel caso, come quello in esame, in cui la mancanza dei presupposti per la legittima formazione del provvedimento amministrativo (nella fattispecie titoli edilizi) sia imputabile unicamente all’amministrazione a titolo di colpa grave.
Una volta superato il termine di diciotto mesi (poi dodici) previsto dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 per l’esercizio del potere di controllo postumo sulla validità dei titoli edilizi, si è consumato il potere di intervenire in autotutela, tenuto conto della colpa grave del Comune per non avere esercitato, nei termini di legge, i poteri di intervento ed avendo così fatto sorgere un legittimo affidamento del terzo acquirente di buona fede, estraneo alle vicende scoperte a distanza di anni e imputabili unicamente al diverso proprietario del tempo.
Al riguardo, va ribadito che anche nel caso di rappresentazioni non veritiere, la p.a. nell’esercizio dei propri poteri di autotutela gode di discrezionalità «in quanto l’asserito “mendacio” (o dichiarazioni non veritiere) non obbliga l’Amministrazione all’esercizio dei poteri inibitori e repressivi invocati, che, presupponendo la non conformità dell’atto alle vigenti norme edilizie e urbanistiche, richiede anche la ricorrenza dell’ulteriore presupposto dell’interesse pubblico al ritiro dell’atto, valutato tenendo anche conto degli interessi privati in gioco .
Nell’accogliere il ricorso, il CGARS ha quindi concluso che nel bilanciamento tra l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto illegittimo e la tutela dell’affidamento dei destinatari circa la certezza e la stabilità degli effetti giuridici prodotti dal provvedimento, la ricerca del giusto equilibrio induce a dare maggiore rilevanza all’interesse del privato alla stabilità del bene della vita con esso acquisito, tutte le volte in cui v’è stato un comportamento gravemente colposo dell’amministrazione.
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