Ante ’67: a chi spetta provare la data di costruzione?

Il Consiglio di stato ricorda quali soggetti sono tenuti a dimostrare la legittimità della realizzazione di un manufatto senza alcun titolo

di Redazione tecnica - 24/01/2025

Incombe sul privato l'onere di dimostrare che le opere realizzate rientrino fra quelle per cui non è richiesto un titolo ratione temporis, perché realizzate legittimamente senza titolo. Si tratta infatti dell’unico soggetto ad essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova in grado di dimostrare con ragionevole certezza l'epoca di realizzazione del manufatto.

Ante '67: il Consiglio di Stato sull'onere della prova

Il Consiglio di Stato torna a parlare di "ante ’67" e onere della prova a carico del proprietario dell’immobile, e lo fa con la sentenza del 21 gennaio 2025, n. 431, con la quale ha confermato la legittimità di un ordine di demolizione emesso successivamente al diniego di accertamento di conformità urbanistica e compatibilità paesaggistica in relazione a un locale adibito a garage.

Già in primo grado il TAR aveva specificato che il ricorrente non aveva assolto all’onere di provare l’anteriorità dell’edificazione rispetto all’entrata in vigore della normativa vincolistica e del regolamento edilizio comunale, già esistente dal 1965, quindi addirittura prima della legge n. 765/1967.

Secondo quanto affermato sia dal giudice di prime cure che da quelli di appello, già dalle visure storiche catastali è invece emerso che nel 1976 l’area fosse classificata come “seminativo arboreo” e che solo con l’aggiornamento catastale successivo, disposto per un atto di donazione, le opere sono risultate esistenti. Non solo: solo la dichiarazione del donante avrebbe costituito prova – non sufficiente – di un’edificazione prima del 1967.

Spiega quindi Palazzo Spada che la mera dichiarazione del dante causa non assurge a elemento di prova del fatto, se non sostenuta da altri elementi o indizi, purché connotati dai requisiti richiesti dall’art. 2729 c.c., ossia che si tratti di presunzioni gravi, precise e concordanti. In questo caso si era invece in presenza di elementi di prova contrari, senza alcuna crtezza che l’opera fosse stata legittimamente edificata prima del 1967.

Edificio ante '67: a chi spetta provare la data di costruzione?

Si tratta di un onere probatorio che certamente grava sul privato, come di recente ribadito dal Consiglio di Stato, con la sentenza del 27 gennaio 2022, n. 570, secondo cui «l’onere di dimostrare che le opere realizzate rientrino "fra quelle per cui non era richiesto un titolo ratione temporis, perché realizzate legittimamente senza titolo, incombe sul privato a ciò interessato, unico soggetto ad essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l'epoca di realizzazione del manufatto".

Ne consegue che:

  • non può ritenersi sussistente una situazione soggettiva tutelabile di affidamento legittimo incolpevole;
  • per giurisprudenza consolidata, l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, quando si tratti di attività vincolata, non comporta l’annullabilità del provvedimento finale, ricadendo l’ipotesi nell’ambito di applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della legge n. 241 del 1990 («Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato»).

L’attività di repressione degli abusi edilizi attraverso l'ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita infatti della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, dovendo considerarsi che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare ex art. 21-octies, comma 2, primo alinea, della l. n. 241/1990, alcun esito diverso.

È infatti evidente che l'apporto partecipativo che il privato avrebbe potuto offrire non era comunque in grado di escludere l'abusività delle opere realizzate e, quindi, di condurre ad un diverso esito procedimentale.

Repressione abusi edilizi: è attività vincolata e senza limiti di applicazione

Infine, non è nemmeno condivisibile il fatto sostenuto dal ricorrente che il Comune non avrebbe potuto ordinare la demolizione del garage perché avrebbe avuto conoscenza della sua natura abusiva solo a seguito del diniego di conformità paesaggistica riferito ad altro locale.

Conclude infatti il Consiglio ribadendo che, considerata la generale portata dei poteri del Comune di vigilanza e di controllo sull’attività edilizia svolta nel suo territorio e la natura vincolata dell’attività repressiva che consegue all’accertamento degli abusi, non esiste impedimento di natura giuridica a contestare e sanzionare gli ulteriori illeciti edilizi rilevati nel corso di procedimenti diversi, collegati o connessi.

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