Ante ’67, cambio di destinazione d'uso, carico urbanistico ed edilizia libera: chiarimenti dal Consiglio di Stato
Palazzo Spada riporta in un'interessante sentenza alcuni principi fondamentali per valutare la legittimità (o meno) di manufatti e interventi edilizi
Immobili ante '67: la datazione del manufatto è funzionale alla qualificazione delle opere
Verifiche che hanno portato i giudici ad accogliere parzialmente l’appello: il piano terra del fabbricato principale e il vecchio manufatto erano già esistenti fin dal 1957, quando era consentito, per i manufatti posti al di fuori del perimetro abitato come nel caso in esame, la costruzione e/o la modifica sostanziale di edifici senza presentazione di progetto; anche la sopraelevazione venne regolarmente assentita.
Nella sua relazione, il verificatore ha specificato che “Tale presumibile destinazione abitativa, databile al 1957, è dunque antecedente al rilascio dell’autorizzazione per lavori di riparazione dell’edificio danneggiato del sisma e non il cambio di destinazione d’uso pertanto, per quanto nei grafici si indichi una destinazione d’uso produttiva, deve ritenersi legittima la sola destinazione abitativa, in quanto dal 1957 al 1984, non vi à alcun titolo che autorizzi il cambio di destinazione d’uso. Inoltre, si ribadisce che l’autorizzazione veniva rilasciata dal Comune ai sensi dell’art. 10 della legge 219/81 che riguarda “la riparazione di immobili non irrimediabilmente danneggiati dal sisma e destinati ad uso di abitazione, ivi compresi quelli rurali".
La presumibile destinazione d’uso legittima del piano terra del fabbricato, a partire dal 1957 è da ritenersi dunque quella abitativa poiché non si è rinvenuto alcun titolo che autorizzi il cambio di destinazione d’uso da abitazione/fabbricato rurale ad attività produttiva. Successivamente l’immobile al piano terra assume la categoria catastale A/2 e dunque deve ritenersi, destinato ad abitazione.
Il Collegio ritiene debbano essere condivise le conclusioni circa la regolarità del fabbricato, edificato anteriormente all’estensione fuori dal perimetro del centro abitato del regolamento edilizio comunale)e la risalente destinazione abitativa degli immobili in questione, avvalorata anche dagli ulteriori elementi di prova offerti dalla parte (certificati di residenza storici) che peraltro aveva anche chiesto l’ammissione di prova testimoniale, sulla quale, in caso di dubbio, il giudice di primo grado avrebbe dovuto provvedere espressamente.
Sul punto, il Consiglio ha così riepilogato il regime giuridico delle opere edilizie realizzate ante ’67:
- L. n. 2359/1865, artt. 86 – 92, che prevede già in nuce limitazioni e prescrizioni all'edificazione connesse a determinazioni della pubblica autorità;
- L. 17 agosto 1942, n. 1150 - legge urbanistica - che, all'art. 31, impose di richiedere apposita licenza per l'esecuzione di nuove costruzioni, l'ampliamento di quelle esistenti, la modifica di struttura o dell'aspetto, limitatamente alle opere eseguite all'interno dei centri abitati e in presenza di piano regolatore comunale, anche nelle zone di espansione "di cui al n. 2 dell'art. 7" (ossia nelle zone "destinate all'espansione dell'aggregato urbano").
- Legge 6 agosto 1967, n. 765, che all’art. 10 ha introdotto l'obbligo generalizzato della licenza edilizia per tutti gli interventi edilizi (intesi quali nuove costruzioni, ampliamenti, modifiche e demolizioni di manufatti esistenti, nonché opere di urbanizzazione) eseguiti sul territorio comunale.
Da qui ne deriva che non qualsiasi area ricompresa del piano regolatore generale poteva ritenersi soggetta all'obbligo di previo rilascio di licenza edilizia, espressamente imposto dalla L.U. solo per costruire all'interno dei centri abitati e nelle zone di espansione dell'aggregato urbano. Nel caso in esame risulta dirimente la circostanza che il piano terra era preesistente all’estensione del R.E.C. all’esterno del perimetro dell’abitato, mentre il primo piano venne regolarmente assentito.
Non essendo intervenuto alcun cambio di destinazione d’uso, il Consiglio ha valutato di considerare le opere contestate una alla volta, ascrivendole all’appropriato regime edilizio, cadendo il presupposto (funzionalità all’abusivo cambio di destinazione d’uso) che ha indotto il giudice di prime cure a valutarle unitariamente. Vediamole nel dettaglio
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