Ante '67: come provare la preesistenza di un immobile?

No a testimonianze rese da terzi, solo il proprietario dispone della documentazione che dimostri con ragionevole certezza l'epoca di realizzazione del manufatto

di Redazione tecnica - 05/06/2024

In presenza di un ordine di demolizione, l'onere di dimostrare che le opere sono legittime perché realizzate, pur assenza di titolo edilizio, in epoca anteriore al 1967, incombe sul privato a ciò interessato, unico soggetto a essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova e, quindi, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l'epoca di realizzazione del manufatto.

In questo senso a nulla vale una testimonianza generica di un terzo che richiami la dichiarazione sostitutiva resa dal soggetto interessato sulla preesistenza del fabbricato al 1° settembre 1967 (entrata in vigore della Legge n. 765/1967, c.d. Legge Ponte, che ha modificato ed integrato la Legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150).

Ante '67: preesistenza immobile va provata dal soggetto interessato 

Lo conferma il Consiglio di Stato con la sentenza del 4 giugno 2024, n. 4995, respingendo il ricorso per l’annullamento dell'ordine di demolizione di un manufatto realizzato in assenza di titoli edilizi e delle relative autorizzazioni. Secondo il ricorrente, l’ordinanza andava annullata sulla base di un verbale in cui si riportava la testimonianza di un vicino, che confermava la preesistenza del manufatto al 1967, datandola al 1964-1965, chiedendo quindi “ogni ulteriore accertamento istruttorio utile ad acclarare la dedotta risalenza del manufatto, per escluderne l’abusività”.

Secondo il Comune tali prove avrebbero dovuto essere presentate in primo grado, secondo le modalità indicate dall’art. 63, comma 3 c.p.a. (testimonianza in forma scritta), e che in ogni caso, tali dichiarazioni non sarebbero indispensabili ai fini della decisione della causa, in quanto avrebbero confermato sostanzialmente la dichiarazione sostitutiva rilasciata precedentemente dal responsabile degli abusi edilizi.

Immobile costruito prima del 1° settembre 1967: chi e come può dimostrarne la data di realizzazione?

Palazzo Spada ha confermato la sentenza di primo grado, sottolineando il costante orientamento della giurisprudenza secondo cui, in presenza di un ordine di demolizione, l'onere di dimostrare che le opere sono legittime essendo state realizzate in assenza di titolo edilizio ma in epoca anteriore al 1967 incombe sul privato a ciò interessato, unico soggetto a essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova e, quindi, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l'epoca di realizzazione del manufatto. Nel caso di specie, come correttamente ritenuto dal giudice di prime cure, tale onere probatorio non risulta essere stato assolto.

È infatti inammissibile la documentazione prodotta, posto che la testimonianza raccolta oltre a non rispondere ai requisiti di forma prescritti all’art. 63 comma 3 c.p.a., ricalca, nella sua genericità la dichiarazione sostitutiva resa dal medesimo soggetto e già prodotta in prime cure tra gli allegati alla consulenza tecnica di parte.

Del resto, per quanto riguarda le dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà depositate in primo grado, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è costante nel ritenere che nell'ambito del processo amministrativo, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà è inutilizzabile; “in quanto, sostanziandosi in un mezzo surrettizio per introdurre la prova testimoniale, non possiede alcun valore probatorio e può costituire solo un mero indizio che, in mancanza di altri elementi gravi, precisi e concordanti, non è idoneo a scalfire l'attività istruttoria dell'amministrazione. D'altro canto, "l'attitudine certificativa e probatoria della dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà e delle autocertificazioni o auto dichiarazioni è limitata a specifici status o situazioni rilevanti in determinate attività o procedure amministrative e non vale a superare quanto attestato dall'amministrazione, sino a querela di falso, dall'esame obiettivo delle risultanze documentali”. Del resto, la prova in ordine alla data di ultimazione dei lavori deve essere rigorosa e deve fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, non avendo alcuna rilevanza eventuali dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o mere dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate.

Neppure la relazione di consulenza tecnica esibita in primo grado offre piena prova della realizzazione delle opere in epoca anteriore al 1967, in quanto essa riporta soltanto che:

  • il responsabile degli abusi  è stato conduttore del fondo agricolo interessato su cui insiste il manufatto sin dal 1962;
  • il medesimo manufatto risulta visibile in un’ortofoto dell’Istituto Geografico Militare scattata nell’anno 1974;
  • l’unica ortofoto reperibile all’I.G.M. precedente all’anno 1974 è risalente all’anno 1954, epoca in cui il responsabile degli abusi non era ancora conduttore del fondo.

Dette circostanze non valgono, infatti, all’evidenza, ad escludere che il manufatto sia stato realizzato in epoca comunque successiva al 1967 (ancorché anteriore al 1974).

Come correttamente ritenuto dal T.A.R., l’onere probatorio gravante a carico della parte privata in ordine alla data di realizzazione del manufatto non può essere assolto mediante l'allegazione di un mero principio di prova, atteggiandosi lo stesso, per jus receptum, ad onere probatorio pieno ai sensi dell’art. 63, comma 1 e 64, comma 1 c.p.a. 

Ordine di demolizione: atto dovuto e vincolato

Inoltre l’ordinanza di demolizione costituisce espressione di un potere vincolato e doveroso in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, rispetto al quale non è richiesto alcun apporto partecipativo del privato. Essa è dotata di un'adeguata e sufficiente motivazione allorquando rechi, come nel caso di specie, una descrizione delle opere abusive e la constatazione della loro abusività.

La realizzazione delle opere edilizie descritte nell’ordine di demolizione in assenza del prescritto titolo edilizio costituisce, infatti, elemento sufficiente a giustificare l’adozione del provvedimento impugnato; e tale circostanza impone da sé al Comune di ordinare il ripristino dello stato dei luoghi a prescindere dall’eventuale compatibilità delle opere gli con strumenti urbanistici.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Sezione, infatti, la conformità urbanistica delle opere deve essere oggetto di valutazione da parte dell’amministrazione comunale solo nell’ipotesi in cui il privato abbia presentato un’istanza di accertamento di conformità: “In presenza di abusi edilizi, la vigente normativa urbanistica non pone alcun obbligo in capo all'autorità comunale, prima di emanare l'ordinanza di demolizione, di verificarne la sanabilità ai sensi dell'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001 e tanto si evince chiaramente dagli artt. 27 e 31, del medesimo d.P.R. n. 380 cit., che obbligano il responsabile del competente ufficio comunale a reprimere l'abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità, nonché dallo stesso art. 36 che rimette all'esclusiva iniziativa della parte interessata l'attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica”.

Infine, conclude il Consiglio, sempre alla luce della natura tout court vincolata del provvedimento, non è necessario che l’amministrazione individui un interesse pubblico - diverso dalle mere esigenze di rispristino della legalità violata -idoneo a giustificare l’ordine di demolizione.

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