Ante '67 e interventi senza SCIA: sì alla sanzione pecuniaria

La conferma del TAR: in assenza di prove certe sull'anteriorità dei lavori, è legittima la sanzione ai sensi dell'art. 37, comma 1 del Testo Unico Edilizia

di Redazione tecnica - 27/09/2024

Grava sul privato l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell'immobile abusivo, in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto. In particolare, solo la deduzione, da parte di colui che ha commesso il contestato illecito edilizio, di concreti elementi di riscontro trasferisce in capo all’Amministrazione l’onere di fornire prova contraria.

Si tratta di un granitico orientamento della giurisprudenza, basato sul principio di vicinanza della prova, rientrando nella sfera (e dunque nella disponibilità) del privato la prova circa l’epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza.

Abusi edilizi e ante '67: onere della prova a carico del privato

A ricordarlo, nell’ambito di un contenzioso incentrato sulla presunta realizzazione di opere ante ’67, è il TAR Lazio, con la sentenza del 31 luglio 2024, n. 15548, con cui ha respinto il ricorso presentato per l’annullamento di una sanzione di 12mila euro irrogata per interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio attività.

I lavori, consistenti nel frazionamento di un’unità immobiliare, nella realizzazione di diverse aperture su strada e di una scala di accesso, oltre che nel cambio di destinazione d’uso di una parte dell'edificio in studio tecnico da unità residenziale, erano già stati oggetto di un precedente contenzioso per l'annullamento dell’ordine di demolizione ingiunto proprio su queste opere.

Il provvedimento era stato annullato in quanto la CTU disposta dal giudice non era stata in grado di individuare con esattezza l’epoca della realizzazione dei manufatti tutti indicati nell’ordine di demolizione, anche in relazione alle preesistenze, né “l’epoca del frazionamento dell’immobile”. Di fatto, non era stato “definitivamente accertato l’anno di realizzazione dei manufatti indicati nell’ordinanza di demolizione e quando sia avvenuto il frazionamento dell’immobile a mezzo della costruzione della scala esterna”.

Inoltre la sentenza specificava che l’amministrazione aveva erroneamente qualificato gli interventi, ascrivibili a quelli dell’elenco di cui all’allegato A del d.P.R. n. 31/2017 e quindi esclusi dalla preventiva richiesta di autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che avrebbero potuto essere assoggettati al regime della S.C.I.A., la cui mancanza avrebbe potuto essere sanzionata ai sensi dell’art. 37, comma 1, d.P.R. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) ossia con l’irrogazione di una sanzione pecuniaria.

Da qui un nuovo procedimento del Comune per l’irrogazione della sola sanzione pecuniaria  a cui è seguito l’attuale ricorso in cui i proprietari hanno ribadito l’anteriorità delle opere al 1967.

Ante '67 e legge urbanistica: obbligo di licenza edilizia per edifici siti nei centri abitati

Il TAR ha respinto il ricorso, specificando che non è stato rinvenuto negli archivi comunali (e ciò è stato confermato anche dalla C.T.U. disposta nel corso del pregresso giudizio) alcun titolo edilizio che legittimasse le variazioni riscontrate rispetto alla planimetria di impianto del 1941 e che il piano terra fosse stato già allora adibito a studio tecnico e non a unità residenziale.

Il giudice ha appunto ribadito che sull’ante ’67, è consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui grava sul privato l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell'immobile abusivo, fornendo inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto. Solo nel caso in cui l’interessato porti concreti elementi di riscontro, passa all’Amministrazione l’onere di fornire prova contraria.

Non solo: la Legge n. 1150/1942 ha previsto che “Chiunque intenda nell'ambito del territorio comunale eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire quelle esistenti ovvero procedere all'esecuzione di opere di urbanizzazione del terreno, deve chiedere apposita licenza al sindaco”: con essa, come chiarito in giurisprudenza, è stato introdotto l’obbligo di ottenere una preventiva licenza edilizia con riferimento agli immobili situati nei centri abitati (e ciò vale anche per interventi di ampliamento o modifica), laddove con la successiva L. n. 765/1967 tale obbligo è stato esteso a tutto il territorio comunale, comprese le zone al di fuori del centro abitato.

Nel caso di specie, l’immobile è ubicato nel centro storico del Comune, sicché le variazioni in contestazione avrebbero necessitato di un titolo abilitativo già ai sensi della richiamata Legge urbanistica n. 1150/1942.

Non è stata data una convincente e rigorosa dimostrazione della anteriorità degli interventi rispetto al 1967, compresa la relazione depositata dal C.T.U. nel corso del giudizio. Ciò comporta che gli interessati avrebbero dovuto dimostrare in altro modo e con nuovi e diversi elementi la circostanza fattuale secondo cui quelle in esame concreterebbero opere edilizie realizzate in epoca antecedente all’anno 1967.

Sul punto, si ricorsa che per granitico indirizzo giurisprudenziale, le dichiarazioni sostitutive non rivestono alcun effettivo valore probatorio, potendo costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti, non risultano ex se idonei a scalfire l'attività istruttoria dell’amministrazione: “Nell'ambito del processo amministrativo, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà è inutilizzabile, in quanto, sostanziandosi in un mezzo surrettizio per introdurre la prova testimoniale, non possiede alcun valore probatorio e può costituire solo un mero indizio che, in mancanza di altri elementi gravi, precisi e concordanti, non è idoneo a scalfire l'attività istruttoria dell'amministrazione. D'altro canto, «l'attitudine certificativa e probatoria della dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà e delle autocertificazioni o auto dichiarazioni è limitata a specifici status o situazioni rilevanti in determinate attività o procedure amministrative e non vale a superare quanto attestato dall'amministrazione, sino a querela di falso, dall'esame obiettivo delle risultanze documentali».

Né possono trarsi argomentazioni di segno contrario dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 5988/2018 che richiama la “prevalente opinione giurisprudenziale che ammette un temperamento secondo ragionevolezza nel caso in cui il privato, da un lato, porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell'intervento prima del 1967 elementi non implausibili (aerofotogrammetrie, dichiarazioni sostitutive di edificazione ante 1°.9.1967) e, dall'altro, il Comune fornisca elementi incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio”.

Tale precedente, infatti, si riferisce ad una fattispecie ben distinta rispetto a quella attuale: in quel frangente, infatti, gli elementi probatori addotti dal privato a sostegno dei propri assunti erano molteplici, variegati e “significativi”, ricomprendendo peraltro anche una aerofotogrammetria dei luoghi (che nel caso di specie è del tutto assente), sicché il complessivo quadro offerto dal ricorrente consentiva in via del tutto eccezionale di pervenire ad un “temperamento ragionevole” della regola generale che esclude il valore probatorio delle dichiarazioni sostitutive.

Cambio di destinazione d'uso: con aumento del carico urbanistico di vuole titolo edilizio

In riferimento al contestato mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante che ha interessato l’unità immobiliare posta al piano terra, con passaggio dalla categoria funzionale a) “residenziale” alla categoria b) “produttiva – direzionale” tra quelle di cui all’art. 23-ter d.P.R. n. 380/2001, il ricorso è stato ritenuto altrettanto infondato, in quanto il mutamento avrebbe pur sempre necessitato di un titolo abilitativo anche in assenza di adeguamento del P.R.G.

L’art. 23-ter d.P.R. n. 380/2001 (nella formulazione vigente ratione temporis) impone sempre il previo conseguimento di un titolo edilizio per il mutamento, appunto ivi definito “rilevante”, della destinazione d’uso,  laddove “tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale” tra quelle ivi elencate, e fatta salva la “diversa previsione da parte delle leggi regionali”.

Si richiama, sul punto, il granitico indirizzo giurisprudenziale, secondo cui “Ai sensi dell'art. 23-ter d.p.r. n. 380 del 2001, inserito dall'art. 17, comma 1, lett. n), d.l. n. 133 del 2014, il mutamento di destinazione d'uso giuridicamente rilevante è quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico e che influisce, di conseguenza, sul c.d. carico urbanistico poiché la semplificazione delle attività edilizie voluta dal legislatore non si è spinta al punto di rendere tra loro omogenee tutte le categorie funzionali, le quali rimangono non assimilabili, a conferma della scelta già operata con il d.m. n. 1444 del 1968.

Disposto ripreso dalla L.R. n. 36/1987, per cui il mutamento di destinazione d’uso contestato, con il passaggio da abitazione a studio professionale necessitava di un titolo abilitativo, quali che fossero le previsioni dello strumento urbanistico; né si può dedurre che tale normativa regionale sarebbe inapplicabile ratione temporis in quanto intervenuta “successivamente all’intervento edilizio contestato”, atteso che non è stato fornito alcun principio di prova circa la data di realizzazione del cambio d’uso abusivo.

Ne consegue che il ricorso è stato respinto, confermando la legittimità della sanzione pecuniaria per interventi eseguiti in assenza di SCIA.

 

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