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Ante ’67, vincolo paesaggistico e fiscalizzazione abusi: nuovo intervento del Consiglio di Stato

Legittimo l'ordine di demolizione per manufatti la cui epoca di realizzazione è incerta e con interventi che necessitano dell'autorizzazione paesaggistica

di Redazione tecnica - 04/10/2024

La dimostrazione dell'epoca di costruzione di un manufatto è un onere sempre a carico del privato e, qualora essa non sia identificabile con certezza, non è possibile applicare le eventuali deroghe previste al permesso di costruire o a eventuali vincoli sull’area.

Ne consegue che un ordine di demolizione di un manufatto di cui non sia provata né la costruzione ante ’67, né l’esistenza dell'immobile prima dell’apposizione del vincolo paesaggistico è legittima.

Immobili senza permesso di costruire: demolizione legittima senza prove su ante '67 

A spiegarlo è il Consiglio di Stato con la sentenza del 2 ottobre 2024, n. 7948, con cui ha confermato la legittimità dell’ordine di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi per un manufatto realizzato senza alcun titolo abilitativo e per altro ulteriormente definito dopo un ordine di sequestro.

Già il TAR aveva già rigettato il ricorso in quanto:

  • sull’epoca di ultimazione delle opere asseritamente realizzate era onere del ricorrente (e non dell'amministrazione procedente) fornirne la prova, il che non è avvenuto né con il ricorso né con la relazione tecnica depositata;
  • gli interventi edilizi contestati e descritti nell’ordinanza di demolizione comportavano l’alterazione dello stato dei luoghi in maniera strutturale e di rilievo, in zona paesaggisticamente vincolata, richiedendo sia il permesso di costruire sia l’autorizzazione paesaggistica ex ante: pertanto non sarebbero stati autorizzabili con semplice DIA, né l’esito sarebbe stato diverso a poterle considerare opere pertinenziali o precari, mancando comunque l’autorizzazione paesistica;
  • era stato quindi applicato legittimamente l’art. 27 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia);
  • il provvedimento di demolizione era legittimo e adeguatamente motivato, in quanto le opere in questione erano state realizzate in mancanza dei prescritti titoli abilitativi, e considerato che la misura ripristinatoria costituisce un atto dovuto, esso è sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell’abuso accertato;
  • era irrilevante la presentazione di ripetute istanze di accertamento di conformità, poiché non avrebbe comunque alcuna influenza sul piano della legittimità dell’ordinanza di demolizione. Né può determinarne l’inefficacia o l’ineseguibilità, a differenza di quanto previsto per legge nei casi di domanda di condono.

Ante '67 e vincolo paesaggistico: i titoli abilitativi richiesti

Sulla questione, Palazzo Spada ha evidenziato che è dirimente l’apposizione del vincolo sull’area, ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1947 (tutela paesaggistica). Come si legge nello stesso decreto “(…) Considerato che il vincolo non significa divieto assoluto di costruire, ma impone soltanto l’obbligo al competente soprintendente, per preventiva approvazione, qualsiasi progetto di costruzione ci si intenda erigere nella zona”.

In riferimento all’edificazione ante ’67 del manufatto e la qualificazione dei lavori, i giudici d’appello hanno ribadito quanto già statuito dal TAR ovvero che:

  •  la data di realizzazione di una “casa colonica” non era certa, ma era solo una stima approssimativa (che indicava una oscillazione di 10 anni, tra il 1956 e il 1966);
  • non era neppure provato che il manufatto corrispondeva a quello descritto nell’ordinanza di demolizione.

La stima della realizzazione del manufatto in un arco temporale molto ampio (10 anni) rende molto improbabile la tesi che si tratti di un’opera così vecchia e che possa corrispondere allo stato dei lavori come lo aveva sanzionato il Comune.

Inoltre rileva che il manufatto è stato ultimato quando era sottoposto a sequestro penale e che alcun titolo era stato rilasciato dal Comune per l’esecuzione dell’intervento edilizio di cui si discute.

Se si intende sostenere che si trattava di un intervento di manutenzione straordinaria, che richiedeva la sola D.I.A., era inoltre necessario comprovare precisamente lo stato ex ante, cosa non avvenuta neppure con la c.t.p. versata nel giudizio di primo grado.

Infine, considerato che l’area su cui è stato edificato l’immobile è sottoposta a vincolo paesaggistico, mancava, oltre al titolo edilizio, anche il parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo. Ciò rende irrilevante la qualificazione giuridica dell’intervento perché, sia le opere di “nuova costruzione”, sia quelle di “manutenzione straordinaria”, devono essere sanzionate in questo caso con l’ordine di demolizione.

Per altro il ricorrente non solo non ha fornito la prova della effettiva risalenza nel tempo del manufatto, ma dalle stesse foto dei luoghi allegate alla relazione tecnica si può ragionevolmente inferire piuttosto il contrario di quanto affermato, ossia una datazione più vicina ai giorni nostri e comunque successiva all’apposizione del vincolo.

In riferimento alla qualificazione dei lavori, il Consiglio ha smentito pure la tesi del ricorrente, secondo cui sarebbero stati solo di consolidamento statico, manutenzione ordinaria e straordinaria, per cui non sanzionabili con la demolizione. Molti elementi lasciano facilmente intuire che invece di una ristrutturazione o una manutenzione, sia essa straordinaria o ordinaria, si era di fronte ad una demo-ricostruzione, ma non avendo provato lo stato quo ante, non è possibile applicare il rispettivo ambito di applicazione.

Ordine di demolizione: in caso di abusi accertati è atto dovuto anche se tardivo

Sull’ordine di demolizione tardivo, Palazzo Spada ha precisato che, anche a volere riconoscere l’esistenza di questo lasso di tempo, esso non determina l’insorgenza di un affidamento legittimo in capo all’odierno appellante in merito alla legittimità degli interventi, né impone sul punto un più ampio onere motivazionale in capo all’Amministrazione procedente.

Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede una motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata e che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino.

Secondo la giurisprudenza amministrativa ormai costante anche di questa Sezione “l'ordine di demolizione è atto dovuto e vincolato e non necessita di motivazione aggiuntiva rispetto all'indicazione dei presupposti di fatto e all'individuazione e qualificazione degli abusi edilizi”.

Anche nel caso di specie, pertanto, l’adozione del provvedimento di demolizione è doverosa ricorrendone i presupposti di legge, ovvero la mancanza di qualsiasi previo titolo edilizio e il vincolo paesaggistico, e non residua uno spazio per valutazioni discrezionali relative ai profili, valorizzati dal privato, circa l’errata applicazione dell’articolo 31 e invece l’applicazione del ripristino dello solo status quo ante, atteso che l’ambito di applicazione dell’art. 33 non è aperto, mancando ogni riferimento preciso e certo ad una situazione preesistente.

Risulta chiaro che, ricadendo pertanto le opere nell’ambito di applicazione dell’art. 10, co. 1, lett. a), del d.P.R. n. 380/2001 (“interventi di nuova costruzione”), era necessario sia il permesso di costruire sia l’autorizzazione paesaggistica.

Fiscalizzazione degli abusi edilizi: quando è possibile

Per quanto riguarda la censura dell’insufficiente considerazione di ammissibilità dell’istanza ai sensi dell’art. 34 comma 2 del d.P.R. n. 380/2001, alla quale conseguirebbe l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione, correttamente il TAR ha concluso che tale valutazione avviene solo nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione.

La disciplina prevista dall'art. 33 del d.P.R. n. 380/2001 sugli interventi di ristrutturazione edilizia effettuati in assenza di permesso di costruire o in totale difformità, individua come prima opzione sanzionatoria la sanzione ripristinatoria, a conferma della gravità dell'abuso e della previa necessità del titolo autorizzatorio al quale gli interventi sono subordinati, prevedendo una mera possibilità, soltanto nel caso in cui emergano difficoltà tecniche in sede di esecuzione della demolizione, di irrogare la sanzione pecuniaria.

La facoltà d'irrogare una sanzione pecuniaria in luogo di quella della demolizione è poi prevista unicamente per gli interventi e le opere realizzate in parziale difformità dal permesso di costruire, non nel caso quindi caratterizzato, rispetto ad un intervento edilizio abusivo, dalla mancanza di qualsivoglia titolo abilitante all'edificazione.

Conclude il Consiglio evidenziando che le opere nel caso in esame sono state realizzate in area sottoposta a vincolo paesaggistico, con la conseguenza che qualsivoglia intervento che alteri lo stato dei luoghi è comunque subordinato al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, in mancanza della quale l'unica sanzione applicabile è quella della riduzione in pristino dello stato dei luoghi, con conseguente legittimità dell’ordine di demolizione.

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