Appalti pubblici e Direttive europee a pochi giorni dalle elezioni

Occorre una seria riflessione dei candidati sul futuro delle regole europee sui contratti, per capire a quale livello la UE dovrà incidere sui mercati interni

di Daniele Ricciardi - 04/06/2024

Sebbene da un anno si commenti il Codice dei contratti pubblici, contenuto nel decreto legislativo 31 marzo 2023 n. 36, occorre sempre ricordare che la normativa sugli appalti e sulle concessioni è contenuta anche nelle direttive europee del 2014 e, ancor prima, del 2004. A ben vedere l’Europa si è sempre occupata dei contratti pubblici sin dagli anni ‘70 con la direttiva 71/305 del Consiglio destinata a disciplinare i lavori e seguita, dopo pochi anni, dalla direttiva 77/62 relativa alle forniture.

Perché tanto interesse? La risposta è nell’art. 26 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea secondo il quale “l’Unione adotta le misure destinate all’instaurazione o al funzionamento del mercato interno, conformemente alle disposizioni pertinenti dei trattati. Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni dei trattati”.

Gli effetti delle direttive UE secondo La Corte dei conti europea

È evidente che il mercato interno è composto in buona parte anche dagli affidamenti di contratti pubblici. La Corte dei conti europea, con la relazione speciale n. 28/2023 del 28 dicembre 2023, ha registrato che ogni anno vengono spesi per questo tipo di appalti circa 2 000 miliardi di euro, che corrispondono approssimativamente al 14 % del prodotto interno lordo (PIL) dei 27 Stati membri dell’UE. Gli appalti pubblici sono quindi uno dei principali motori della crescita economica e dell’occupazione. Ecco perché le direttive, nel tempo, sono diventate unitarie definendo ogni aspetto della materia. Se l’obiettivo è il mercato unico si può allora ritenere che l’intenzione dell’Unione Europea sia quella di veder realizzato il cd. “appalto transfrontaliero”, ossia l’aggiudicazione di un contratto ad un operatore residente in un paese dell’Unione Europea diverso da quello della Stazione Appaltante.

Dall’analisi dei dati disponibili effettuata dalla Corte dei conti europea è emerso un significativo aumento delle gare in cui veniva presentata un’offerta unica, un alto livello di aggiudicazioni dirette nella maggior parte degli Stati membri e un livello limitato di appalti transfrontalieri diretti tra Stati membri. Poiché diversi obiettivi della riforma del 2014 non sono stati raggiunti, la Corte conclude che l’entrata in vigore delle direttive del 2014 non ha prodotto alcun effetto dimostrabile. Al contrario, gli offerenti e le amministrazioni aggiudicatrici ritengono che le procedure di appalto pubblico comportino tuttora un notevole onere amministrativo, che la quota delle piccole e medie imprese che partecipano agli appalti pubblici non sia significativamente aumentata e che negli appalti pubblici si tenga raramente conto di aspetti strategici (ossia ambientali, sociali e di innovazione). Inoltre, i tassi di pubblicazione rimangono bassi e la trasparenza, che è una garanzia fondamentale contro i rischi di frode e corruzione, ne risente negativamente. La Corte rileva altresì che alcuni degli obiettivi della riforma del 2014 potrebbero talvolta confliggere con l’obiettivo generale di garantire la concorrenza negli appalti pubblici.

Direttive UE e Codice dei contratti pubblici

In Italia il nuovo codice dei contratti pubblici non è figlio delle direttive europee che hanno da pochi giorni superato il decennio e che, con molta probabilità, il nuovo Parlamento europeo sarà chiamato a riformare. Il Codice è comunque frutto dell’esigenza europea di aggiornare la normativa nazionale tenendo conto degli obiettivi del PNRR. La commissione tecnica che ha scritto le nuove regole degli appalti ha lamentato di aver avuto poco tempo proprio a causa delle scadenze fissate dal Piano Nazionale. Per non cadere nei vincoli europei, si è preferito aumentare le soglie degli affidamenti diretti con l’effetto di cancellare l’evidenza pubblica nelle procedure a rilevanza nazionale. Eppure per il resto il Codice ricalca le direttive che, oltre a disciplinare la scelta del contraente, sono arrivate ad uniformare anche la fase esecutiva dell’appalto. Basti pensare alle regole su modifiche e risoluzione, per non parlare del subappalto che ha portato anche alcune censure della Commissione nei confronti della nostra normativa nazionale.

Il futuro delle direttive europee

Da quanto precede risulta evidente che la sovranità normativa è stata devoluta all’Unione Europea senza che ciò abbia portato ad alcun risultato. Eppure il principio del risultato è proprio il cardine della nuova disciplina del Codice. Non si è realizzato l’obiettivo del mercato interno e dell’appalto transfrontaliero. A distanza di oltre cinquant’anni dalla prima direttiva occorre una seria riflessione dei candidati alle elezioni europee sul futuro delle regole europee sui contratti. È necessario un intervento ancora più invasivo sulle regole nazionali in modo da creare un mercato artificiale che imponga gli scambi comunitari nel mercato degli appalti oppure occorre un passo indietro ed una presa d’atto che il mercato degli appalti pubblici ha un valore prevalentemente nazionale, in quanto formato da piccolo e medie imprese, nel quale la scelta di operatori comunitari è eccezione alla regola? Questa la domanda sulla quale i nuovi eletti si dovranno confrontare.

A cura di Daniele Ricciardi
Avvocato, esperto in contratti pubblici,
anticorruzione e innovazione nella PA
Presidente di Assorup

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