Aumento volumetria del sottotetto: quando una SCIA non basta
Il Consiglio di Stato si pronuncia su un intervento di trasformazione del sottotetto che ha comportato anche la violazione delle distanze tra costruzioni
La ristrutturazione di un sottotetto che comporta un aumento volumetrico ed eseguito senza permesso di costruire è un intervento abusivo, quando esso implica comunque un cambio di destinazione d'uso effettuato in assenza dei requisiti di agibilità e abitabilità.
Ristrutturazione sottotetto: ci vuole il permesso di costruire
Sulla base di questi presupposti, il Consiglio di Stato ha confermato, con la sentenza n. 1047/2022, la legittimità dell’ordine di demolizione impartito da un’Amministrazione per interventi effettuati all’interno di un sottotetto e sulla sua relativa copertura in presenza solo di SCIA.
Secondo i ricorrenti, l’intervento, consistente nella sostituzione della copertura in legno esistente non avrebbe portato a una variazione della destinazione d’uso del sottotetto, rimasto accessibile ma senza la possibilità di permanenza, avendo una altezza media inferiore a 2,40 metri.
Proprio sul punto è stata richiesta una perizia, la quale ha accertato che:
- lo spazio sottotetto «non è suscettibile di cambio di destinazione d’uso a fini abitativi in quanto non ha i parametri necessari a consentire la permanenza continuativa di persone». In particolare si è accertato che «tale spazio sottotetto non rispetta i requisiti di agibilità e abitabilità di sottotetti» imposti dalla normativa vigente «per quanto riguarda i parametri di illuminazione e di areazione»;
- questi spazi hanno le caratteristiche tipiche degli ambienti di servizi (bagni, ripostigli, corridoi, spogliatoi, etc.) dove è prevista una permanenza illimitata delle persone, tenuto conto che in tali ambienti risultano surrogabili i requisiti di areo-illuminazione»;
- di conseguenza, l’intervento nel suo complesso ha determinato «un aumento di superficie lorda di pavimento e conseguentemente di volumetria urbanistica».
Sostanzialmente dalla verifica tecnica è emerso che l’intervento realizzato è diverso rispetto a quanto dichiarato nella SCIA, dato che sono state attuate opere con cambio di destinazione d’uso al fine di rendere abitabile il sottotetto, senza che rilevi la oggettiva impossibilità di abitabilità per mancanza dei requisiti accertati dal verificatore. Si tratta quindi di un intervento abusivo perché non sorretto da nessun titolo abilitativo idoneo, perché la Scia non è sufficiente, a fronte di un aumento volumetrico, con conseguente legittimità dell’ordine inibitorio e poi dell’ordine di demolizione.
Il potere di conformazione della PA
Non solo: il Consiglio ha ritenuto infondata anche la tesi per cui il Comune non ha esercitato correttamente il potere di conformazione, considerato che i lavori erano ancora in corso, motivo per cui sarebbe bastata l’inibizione e non sarebbe stato necessario l’ordine di demolizione.
Sul punto, i giudici di Palazzo Spada hanno ricordato che il potere di conformazione è subordinato alla sussistenza dei seguenti presupposti:
- il primo, implicito, che l’intervento è astrattamente “coperto” dalla Scia e l’amministrazione rilevi talune difformità che possono essere superate mediante l’esercizio del potere conformativo;
- il secondo presupposto, espresso, è che l’amministrazione, nell’esercizio del suo potere discrezionale, ritenga, per la natura delle difformità riscontrate, che si possa procedere alla conformazione. Se, invece, l’amministrazione rileva che, per la gravità delle difformità, ciò non sia possibile, può inibire “direttamente” gli interventi senza l’intermediazione del potere conformativo.
Nel caso in esame, il Comune ha accertato l’effettuazione di un intervento edilizio che risulta differente, per destinazione e natura, da quello oggetto di Scia e, in ogni caso, ha ritenuto non sussistenti i presupposti per l’esercizio dei poteri inibitori. Ne consegue la legittimità, anche sotto tale aspetto, dei provvedimenti impugnati.
La distanza tra le costruzioni
In relazione alla distanza tra le costruzioni, il verificatore ha rilevato che le distanze dal confine sono rimaste inalterate e che sono state rispettate le prescrizioni di distanza imposte originariamente nel 1967 di quattro metri ma esse, in virtù dell’innalzamento dei prospetti effettuato nel 2016, non rispettano attualmente la distanza di cinque metri, vigente già dal 2012. Per altro dal punto di vista del carico urbanistico, il verificatore ha accertato che «il sottotetto ha portato un incremento dell’ordine di 75 mq di slp».
In conclusione, l’intervento edilizio si discosta in modo rilevante dal contenuto delle segnalazioni certificate di inizio attività, il che ha giustificato l’esercizio di poteri inibitori e ripristinatori basati sull’assenza di un titolo edilizio idoneo ad autorizzarne la realizzazione. Lo stesso verificatore ha così concluso:
- l’intervento edilizio che ha interessato l’edificio è consistito in un’opera che ha portato l’organismo edilizio ad avere un innalzamento sia delle linee di imposta della copertura sia dell’altezza di colmo rispetto alla preesistenza;
- tale innalzamento ha determinato conseguentemente una maggiore altezza dei prospetti (fronti), un maggior volume e la formazione di uno spazio che, avendo un’altezza media ponderale maggiore di 2,40 metri non rispetta le prescrizioni di altezza massima dettate dalla normativa regionale riguardante il recupero dei sottotetti.
Il ricorso è stato quindi respinto, confermando la legittimità dell'ordine di demolizione sui lavori eseguiti del sottotetto, che ha cambiato destinazione d'uso in assenza dei requisiti di agibilità e abitabilità e in assenza di permesso di costruire.
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