Bonus barriere architettoniche: perché la norma non va eliminata
La normativa sul bonus 75% è stata recentemente definita "troppo vaga" e applicabile a interventi poco utili. Ecco invece perché si tratta di una detrazione fondamentale
Dando una lettura all'atto di sindacato ispettivo n. 4-00659 presentato lo scorso 6 settembre dalla Senatrice Raffaella Paita, relativamente al bonus 75% per l’eliminazione delle barriere architettoniche, vengono in mente alcune riflessioni più ad ampio raggio di cui va sicuramente tenuto conto prima di giungere a conclusioni affrettate.
Bonus 75% barriere architettoniche: alcune riflessioni sulla norma
Partiamo dai numeri rilevati dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane: nel nostro Paese, afferma il sito dell’Osservatorio, le persone disabili sono poco meno di 13 milioni ovvero circa il 22% della popolazione, ovvero più di un italiano su cinque. In questo totale, oltre 3 milioni sono in condizione di grave disabilità e tra loro quasi 1 milione e mezzo ha più di 75 anni (fonte ISTAT)
Tenendo conto che l’Italia dagli ultimi censimenti catastali ha circa 35 milioni e mezzo di unità abitative, vien facile comprendere che i 13 milioni di cui sopra non possano essere tutti abitanti in appartamenti al piano terra, o in edifici con ascensori aventi sufficiente capienza per portare una carrozzina con accompagnatore, dimenticandosi appunto quanto sia vetusto e talvolta “scomodo” il nostro patrimonio edilizio.
E qui leggendo il testo dell’atto presentato percepisco una “stonatura”: "l’indeterminatezza della previsione normativa consentirebbe, secondo gli uffici commerciali contattati, di usufruire del bonus anche in casi in cui oggettivamente non ha senso, come in un appartamento al sesto piano di un edificio del '300 che non ha ascensore".
Perché “non ha senso” vien da domandarsi? Ovvero, visto che già è scomodo arrivarci a certi appartamenti, ma purtroppo “capita” di viverci perché non è detto che si abbia la possibilità o la volontà (pensate agli anziani legati anche affettivamente a un luogo) di cambiar casa in ragione di una sopravvenuta disabilità, per andare a cercare un immobile di recente concezione (la Legge 13/89 ed il successivo D.M. 236/89 sono giovanissimi se paragonati alla datazione media del patrimonio immobiliare italiano), allora tanto vale non fare nulla anche all’interno dei singoli appartamenti per rendere almeno più confortevole e gradevole a chi nella vita si trova in una situazione di difficoltà che sicuramente non si è scelta? Sarebbe, portando al paradosso il ragionamento, come dire “non investiamo soldi sulla cura dei malati terminali” perché tanto sono destinati ad una fine certa. E ci si potrebbe domandare allora perché si investano dei soldi a realizzare tratti di piste ciclabili ad oggi apparentemente fini a sé stesse, se non per fare poche centinaia di metri ma in realtà è un iniziare a fare piccoli passi per poi creare una rete diffusa...
Invece bisognerebbe cogliere l’aspetto positivo e l’etica su cui si basa il bonus barriere architettoniche, il cui lodevole intento è quello forse oggi di porre un accento a degli interventi che nel tempo portino gradualmente a portare ad una migliore fruibilità del nostro patrimonio immobiliare, perché se mai si comincia, mai si finisce.
Sappiamo benissimo che a parole siamo tutti etici, green, e ci piacerebbe vivere in un mondo utopistico fatto di perfezione, efficienza, fruibilità, ma la verità è che l’argomento che funziona sempre più di tutti è il toccare il portafogli, e un esempio lampante in edilizia è stata l’introduzione della contabilizzazione del calore accompagnata dalla termoregolazione obbligatori anche negli impianti condominiali circa un decennio fa (lì ovviamente la misura è stata più drastica, imponendo un obbligo in taluni casi collegandolo ad eventuali sanzioni), ma prima di allora si diceva sempre che i condomìni spendessero tanto di riscaldamento, ma pochi si adoperavano per risolvere la questione (molti edifici viaggiavano con i radiatori al massimo e le finestre aperte per il troppo caldo).
Eliminazione barriere architettoniche: le opportunità offerte dal bonus 75%
Oggi il bonus 75% ha aperto la strada ad alcuni interventi specifici, legati ad alcune criticità per chi si trova a doversi relazionare in situazione di disabilità con spazi, ambienti, passaggi, aperture e tutto ciò che è presente che possa rappresentare un effettivo ostacolo, rendendo difficile o spesso impossibile il godimento naturale dell’immobile. Questi interventi, riguardano elementi degli edifici che in mancanza di specifico incentivo prima non venivano quasi mai presi in considerazione, salvo presenza di un titolo edilizio, si pensi ad esempio alla ragionevole altezza di una maniglia di una finestra o alla soglia ribassata di una portafinestra. Oggi tutti questi elementi invece stanno entrando nei ragionamenti produttivi, dove vengono sempre più adattati e riprogettati i nuovi elementi in tale direzione (ovviamente legati alla richiesta derivante dal bonus), ed ovviamente il mercato ha bisogno di stabilità per poter fagocitare le “nuove” regole per poterle applicare bene ed il continuo metterle in discussione fa crescere la diffidenza e crea contrazione della crescita.
Di qui anche l’asserzione che “…sta portando lo Stato a finanziare interventi del tutto inutili per le esigenze di vita delle persone con difficoltà nella mobilità…” basato sul principio che se non si renda l’intero edificio sempre fruibile al 100%, l’intervento parziale non abbia ragionevolezza di essere eseguito, è pericolosissima se venisse portata avanti, in quanto creerebbe un precedente per il quale ci si potrebbe infilare in un vicolo cieco in edilizia.
Le conseguenze dell'eliminazione del bonus 75%
Ovvero…
Se il Legislatore confermasse “l’inutilità” del mettere a norma ad esempio un bagno per poterlo rendere fruibile da una persona con ridotta capacità motoria, quando ci si trovasse in un edificio che per cause esterne ne limitasse l’accessibilità, da tecnico o da proprietario potrei sentirmi autorizzato a richiedere ogni volta una deroga ai regolamenti edilizi nelle manutenzioni straordinarie, andando a caccia di ostacoli nello stabile, perché è ovvio che una progettazione con dei parametri restrittivi comporta talvolta scelte di realizzazione obbligate o meno economiche rispetto ad altre con meno restrizioni; e a cosa servirebbe fare delle porte d’accesso agli appartamenti da 80 cm di luce netta o delle porte interne da 75 cm se tanto mi trovassi a vivere al primo piano senza ascensore né montascala?
Anche qui manca un passaggio, ovvero che la tecnologia va avanti e negli ultimi decenni si sono visti realizzare interventi di inserimento ascensori in immobili in posizioni dove non si sarebbe mai immaginato di poterli creare (tagliando vani scala, o creando dei vani appositi sacrificando degli spazi esistenti, o esternamente…), e quindi anche per questi interventi si potrebbe dire la stessa cosa: perché si fa un ascensore che porta a degli appartamenti che internamente invece non sono fruibili?
Infine pensiamo anche a quel milione e mezzo di persone disabili e ultrasettantacinquenni citate nelle statistiche di cui sopra molti spesso vivono “prigionieri” degli spazi circostanti, vedendosene limitata la fruizione, ma la stessa cosa vale anche per i più giovani, e a tutti colore che gli stanno accanto ad accudirli ed assisterli dove ogni movimento deve essere calibrato con fatica.
Un bonus etico, sostenibile e già efficiente
Cominciare ad adeguare a pezzi internamente gli immobili sicuramente non sarà un passo risolutivo, ma sicuramente un primo importante tassello per ridare dignità alle persone già messe a dura prova da ciò che la vita gli ha riservato.
Questo bonus ha già tutte le regole tecniche che servono (non si capisce perché il D.M. 236/89 fino a ieri non sia mai stato messo in discussione ed oggi invece sì), ha una limitazione per quanto riguarda gli interventi, perché ovviamente sono poche le cose che in edilizia rappresentino “barriera architettonica”, ha un massimale ragionevolmente contenuto (la detrazione massima per singola unità immobiliare arriva a costare 37.500 € ad unità immobiliare, ovvero il 75% di 50.000 €, quindi uno dei massimali più bassi visti negli ultimi 25 anni in edilizia), ha dei limiti di spesa unitari definiti dal D.M. M.I.T.E. 14/02/2022 per chi optasse per sconto/cessione del credito ed un percorso fatto di certificazioni, visti di conformità e controlli serrati da parte degli advisor (è inutile fare sempre paralleli populisti con le truffe avvenute in passato quando tali controlli inizialmente erano quasi inesistenti ed il problema era dovuto a ciò ed è oggi superato anche con la tracciabilità del credito all’origine).
Cambiare o complicare ulteriormente ciò che già non è semplice, farebbe perdere per l’ennesima volta innanzitutto la fiducia nelle istituzioni, ovvero creare dei bonus e continuare a mischiare le carte rendendo il mercato instabile ed i consumatori confusi, ma soprattutto vanificherebbe l’intento principe di rendere gli immobili pian piano più moderni ed adeguati alle buone regole costruttive quando non sono nati con quello scopo.
E in tutto ci si è limitati a parlare solo del comparto residenziale, ma il bonus guarda anche al resto del patrimonio, uffici, negozi, ecc… quindi è un esempio di civiltà sociale ad ampio raggio che speriamo non finisca come al solito in una bolla di sapone.
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