Bonus Casa al 50% solo per abitazioni principali: gli effetti distorsivi
Il risparmio di 400 milioni di euro preventivato dal Governo con il ritorno dell'aliquota al 36% per tutti gli altri immobili potrebbe essere molto relativo. Vediamo il perché
La legge di bilancio 2025 prevede un taglio consistente delle detrazioni fiscali in tema di interventi edilizi sulle seconde case, ma non sulle abitazioni principali. Queste sono le prime conferme uscite da Palazzo Chigi.
Bonus Casa: gli effetti della doppia aliquota
In pratica, si avranno due aliquote:
- 50% per gli interventi edilizi sulle abitazioni principali del contribuente con limite di spesa ammessa di 96mila euro;
- 36% per gli interventi su tutte le altre abitazioni del contribuente con limite di spesa ammessa di 48mila euro.
Il taglio delle spese a carico dello Stato permetterà, a detta del Governo, un risparmio di circa 400 milioni di euro, a fronte di un miliardo totale di spesa che ci sarebbe stata nel caso la proroga fosse stata per tutte le unità immobiliari abitative.
Se da un punto di vista applicativo sarà compito del Governo regolare tutte le fattispecie che si possono trovare nel complesso panorama delle proprietà edilizie (unità immobiliari in condominio, abitazioni locate o date in comodato d’uso gratuito, abitazioni in comproprietà tra soggetti residenti e non residenti, abitazioni ereditate, e così via), la norma potrebbe inevitabilmente far tornare l’intollerabile abitudine di procedere con lavori “in nero”, consuetudine che è stata in buona parte debellata proprio grazie all’innalzamento dell’aliquota di detrazione del 50% per gli interventi di ristrutturazione edilizia e del 65% per buona parte gli interventi di efficientamento energetico.
Aliquota di detrazione troppo bassa: le conseguenze
La conseguenza è quella di un aumento dell’evasione fiscale delle imposte dirette, dell’IVA e un aumento di evasione contributiva, oltre a tutta una serie di rischi per i lavoratori e per gli stessi committenti che non saranno tutelati dalle norme contrattuali e di sicurezza, non tralasciando lo scorretto smaltimento dei rifiuti di cantiere.
L’osservazione non è solo teorica ma ha un senso pratico. La mancata emissione di una fattura per intervento di ristrutturazione edilizia produce un risparmio immediato per il committente del 10% di IVA. Non solo: le mancate comunicazioni agli Enti (Comune, ASL, Smaltimento Rifiuti, ecc..) permettono alle imprese di mantenere il costo dell’intervento più basso rispetto alla concorrenza.
A queste potenziali evasioni d’imposta di valore aggiunto per i lavori si aggiungono quelle relative alle spese tecniche, la cui iva è al 22%.
Questa combinazione di variabili invita il committente ad accettare ben volentieri l’irregolarità dell’intervento anziché optare per una misera detrazione del 36% in dieci anni all’interno di un massimale di 48mila euro.
Sebbene la volontà della stragrande maggioranza delle piccole imprese artigiane non sia questa, l’offerta di lavoro potrebbe trovare risposta nei lavoratori non in regola, vale a dire quelle persone che svolgono un lavoro dipendente e, nel tempo libero, si occupano abilmente di edilizia.
Se il Governo mettesse in conto che l’incremento del “nero” produce una evasione fiscale di almeno il 40% di imposte e contributi (considerato che nel 2025 la pressione fiscale toccherà quota 42,8%), difficilmente quei 400 milioni di risparmio di spesa pubblica sarebbero reali.
Un esempio pratico
Riportiamo quindi tutti questi elementi in un esempio, per renderci conto dell’enorme danno in termini di entrate che la scelta del Governo sulla doppia aliquota potrà provocare.
Ipotizziamo un importo lavori di ristrutturazione per un’abitazione per le vacanze, le più soggette a deperimento per la posizione geografica (mare, montagna o lago) pari a 32.000 euro di sola manodopera per rifacimento del bagno, rifacimento dell’impianto elettrico e idrico, pitturazione interna, sostituzione di infissi, rifacimento della pavimentazione. Il tecnico chiamato a progettare i lavori chiede un compenso di 3.000 euro. Il totale della spesa è di 35.000 euro.
In mancanza di emissione di fatture, l’importo di IVA evasa ammonta ad € 660 + € 3.200 per un totale di 3.860 euro.
Le imposte e i contributi mediamente non dichiarati, considerando IRPEF/IRES, addizionale regionale, addizionale comunale, IRAP e contributi previdenziali e assistenziali, calcolati per una media del 40%, ammontano ad € 14.000.
In questo caso, la somma evasa e non incassata dallo Stato ammonta, prudenzialmente, ad € 17.860, poco più dell’importo della metà dei lavori di manodopera e spese professionali. In termini assoluti, bastano solo 22.400 interventi in “nero” di pari importo per far evaporare la spesa risparmiata in bilancio di 400 milioni di euro.
Non sono numeri teorici, ma basati sul conteggio tenuto dall’Agenzia delle Entrate secondo cui per il periodo 2007-2016 (intervallo temporale preso appositamente per evitare le distorsioni provocate dal superbonus negli ultimi quattro anni) sono stati effettuati complessivamente 27,1 milioni di interventi per il recupero del patrimonio edilizio, pari a 3.011.111 interventi all’anno.
Di conseguenza, per annullare gli effetti della riduzione dell’aliquota dal 50% al 36% sulle seconde case, basterebbe lo 0,74% di interventi in “nero” mediamente effettuati in Italia.
In conclusione, si può dire che, come insegna la Curva di Laffer, oltrepassata l'aliquota ottimale il gettito fiscale tende a diminuire per tre fenomeni: evasione, elusione, sottrazione. Sarebbe stato opportuno mantenere l’aliquota al 50% per tutti come punto di equilibrio tra incentivi fiscali e tenuta dei conti ed evitare fenomeni distorsivi di facile lettura.
Dott. Luciano Ficarelli
Dottore Commercialista
https://www.professionistiintegrati.net/
Esperto in bonus edilizi
Abilitato al rilascio del Visto di Conformità
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