Cambio di destinazione d'uso: occhio alla facoltà di scelta dei Comuni

No ad applicazioni "selettive" delle disposizioni regionali in materia di mutamento di destinazione d'uso per immobili ancora non realizzati

di Redazione tecnica - 19/09/2024

È illegittima la delibera del consiglio comunale che limiti gli effetti della legislazione regionale, attraverso una previsione contenuta in un atto di pianificazione generale. In particolare, qualora l’ente locale si avvalga della facoltà di scelta prevista dal legislatore regionale di consentire il cambio di destinazione d’uso e di individuare le relative aree, non può decidere arbitrariamente di non applicare la previsione anche agli interventi non ancora realizzati o in corso di realizzazione, previsti dai piani di lottizzazione approvati e convenzionati alla data di entrata in vigore della legge.

Cambio di destinazione d'uso e piani di lottizzazione: no a delibere comunali illegittime

Sulla possibilità di applicare le disposizioni regionali in ambito comunale in tema di cambio di destinazione d’uso si è soffermato il Consiglio di Stato con la sentenza del 20 agosto 2024, n. 7179, con cui ha respinto il ricorso di un’Amministrazione comunale, confermando l'annullamento, da parte del TAR, del provvedimento di diniego del permesso di costruire, concernente un intervento di edificazione con parziale cambio di destinazione d’uso.

Il permesso di costruire riguardava la realizzazione di interventi in un’area destinata in prevalenza al terziario, per cui la società ricorrente aveva richiesto il parziale mutamento di destinazione d’uso degli immobili da terziario a residenziale, per circa metà della volumetria programmata dall’intervento.

Aree già edificate o edificabili: quando è consentito il cambio di destinazione d'uso

La legislazione regionale (art. 8-bis della l.r. n. 33 del 2007, aggiunto dall’art. 2, comma 1, della l.r. 7 aprile 2014, n. 16), ha previsto la possibilità del mutamento di destinazione d’uso “di immobili legittimamente edificati alla data di entrata in vigore del presente articolo in zone territoriali omogenee che lo strumento urbanistico generale prevede a destinazione mista come definita all’articolo 51, comma 1, lettera c), punto 5), della legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), purché detti immobili non siano soggetti a vincolo derivante da finanziamento pubblico o rivenienti da variante urbanistica speciale”.

Successivamente, l’art. 27 della l.r. n. 51 del 2021 ha esteso la disciplina anche agli interventi non ancora realizzati o in corso di realizzazione, previsti dai piani di lottizzazione approvati e convenzionati, alla data di entrata in vigore della presente legge”.

Il Comune tuttavia ha espressamente escluso l’applicazione della disciplina regionale agli edifici in corso di realizzazione e a quelli soltanto previsti nella strumentazione urbanistica attuativa, deliberando che:

nell’esercizio della potestà pianificatoria attribuitagli dal D Lgs n. 267/00, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 8 bis della LR n. 33/07 ed in coerenza con le finalità ivi indicate al comma 1 (favorire il riuso e il recupero del patrimonio edilizio esistente), che mutamenti di destinazione d’uso, con o senza opere edilizie e non comportanti incrementi volumetrici eccedenti le previsioni dello strumento urbanistico vigente nella zona d’intervento, sono ammessi esclusivamente per immobili legittimamente edificati alla data di entrata in vigore della LR 7.4.2014, n. 16, (8.4.2014, data di pubblicazione del BURP n.47) con espresso divieto di applicazione della medesima disciplina agli edifici in corso di realizzazione e a quelli soltanto previsti nella strumentazione urbanistica attuativa già approvata e convenzionata”.

Conseguentemente, il Comune ha negato il permesso di costruire, fatto che, secono il TAR, avrebbe espresso l’esercizio di un “potere eccentrico rispetto alle prerogative” attribuite dal legislatore regionale in relazione alla pianificazione urbanistica del territorio comunale.

Secondo il giudice di primo grado, al Comune, in quanto ente privo di potestà legislativa primaria, non potrebbe essere riconosciuto il potere di adottare un provvedimento di natura pianificatoria con l’espressa finalità di contrastare o comunque limitare l’applicazione di una legge regionale nell’ambito del proprio territorio e, a tal fine, il T.a.r. ha richiamato il principio di gerarchia delle fonti.

Ne è derivato l’appello dell’Amministrazione così articolato:

  • nel piano di lottizzazione dell’area, gli interventi di edilizia residenziale dovevano costituire “un corollario” dell’iniziativa edilizia finalizzata a creare un polo terziario, con la conseguenza che l’accoglimento della richiesta di modifica della destinazione d’uso degli edifici “avrebbe comportato uno sbilanciamento dell’assetto del Piano” poiché avrebbe portato “la quantità residenziale complessiva nell’area lottizzata a sopravanzare quella terziaria-direzionale”. Per avallare questa tesi, ha fatto riferimento all’art. 8-bis della l.r. n. 33 del 2007 nella parte in cui la disposizione prevede che “i comuni possono consentire mutamenti di destinazione d’uso”. Nella prospettazione dell’appellante, dunque, il legislatore avrebbe introdotto una mera facoltà, sicché sarebbe, a suo dire, contraddittorio sostenere che, da un lato, sia stata concessa la predetta facoltà al Comune ma, dall’altro lato, sia stato imputato “al medesimo Ente di aver esorbitato dalle proprie competenze”, omettendo di considerare la ratio sottesa all’attribuzione della predetta facoltà.
  • la delibera del Consiglio comunale avrebbe precisamente identificato le aree in cui applicare le disposizioni della legge regionale, come consentito dall’art. 8-bis della l.r. n. 33 del 2007, nella parte in cui dispone, come già osservato, che “i comuni possono consentire” i mutamenti di destinazione d’uso. l’amministrazione non avrebbe esercitato alcuna potestà legislativa, restando nei limiti della propria funzione amministrativa;

Mutamento di destinazione d'uso: le disposizioni in Puglia su aree già edificate e per immobili non ancora realizzati

Nel valutare la questione, Palazzo Spada ha preliminarmente ricostruito l’esatto perimetro delle disposizioni regionali in esame:

  • la l.r. n. 33 del 2007, il cui art. 8-bis, aggiunto dall’art. 2, comma 1, della l.r. 7 aprile 2014, n. 16, prevede che: “Al fine di favorire il riuso e il recupero del patrimonio edilizio esistente, i comuni possono consentire mutamenti di destinazione d'uso, con o senza opere edilizie e non comportanti incrementi volumetrici eccedenti le previsioni dello strumento urbanistico vigente, di immobili legittimamente edificati alla data di entrata in vigore del presente articolo in zone territoriali omogenee che lo strumento urbanistico generale prevede a destinazione mista come definita all'articolo 51, comma 1, lettera c), punto 5), della legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), purché detti immobili non siano soggetti a vincolo derivante da finanziamento pubblico o rivenienti da variante urbanistica speciale.
    2. I mutamenti di destinazione d'uso di cui al comma 1 sono consentiti, previa approvazione di una delibera del Consiglio comunale che indichi le parti del territorio ove trova applicazione il presente articolo, da definire secondo criteri di compatibilità ambientale e funzionalità urbanistica, limitatamente agli usi consentiti nelle zone territoriali omogenee indicate al comma 1 e a condizione che siano assicurati: a) le quantità minime di spazi pubblici riservati alle attività collettive, a verde pubblico e a parcheggi previste per la nuova destinazione dall'articolo 41-sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge ponte urbanistica), dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), dallo strumento urbanistico vigente o l'importo dovuto per la loro monetizzazione ove non sia possibile reperirli nelle immediate vicinanze; b) il rispetto delle vigenti norme in materia di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico e accessibilità.
    3. I mutamenti di destinazione d’uso di cui al comma 1 sono assentiti con il titolo abilitativo edilizio richiesto per la tipologia d’intervento, con o senza opere, e previo pagamento, se dovuto, del contributo di costruzione di cui all’articolo 16 del d.p.r. 380/2001”.
  • Il successivo art. 27 della l.r. n. 51 del 2021 ha previsto che: “Le norme di cui all'articolo 8-bis della legge regionale 15 novembre 2007, n. 33 si applicano, altresì, agli interventi non ancora realizzati o in corso di realizzazione, previsti dai piani di lottizzazione approvati e convenzionati, alla data di entrata in vigore della presente legge”.

 

Il Comune quindi “nell’esercizio della potestà pianificatoria attribuitagli dal D Lgs n. 267/00”, ha inteso “esercitare la facoltà introdotta dall’art. 8 bis della LR 33/07”, precisando, tuttavia, di consentire “il cambio di destinazione d’uso verso la residenza unicamente per il patrimonio edilizio già esistente, con espressa esclusione che la disciplina del già citato art. 8 bis possa trovare applicazione per gli edifici in corso di realizzazione e per quelli soltanto previsti nella strumentazione urbanistica attuativa già approvata e convenzionata”.

Dalle disposizioni sopra riportate, spiegano i giudici d’appello, si desume chiaramente che l’art. 8-bis della l.r. n. 33 del 2007, aggiunto dall’art. 2, comma 1, della l.r. 7 aprile 2014, n. 16, consentiva pacificamente il mutamento di destinazione d’uso per gli edifici già realizzati e la norma successiva, ossia l’art. 27 della l.r. n. 51 del 2021, si è limitata a estendere tale facoltà agli edifici ancora da realizzare.

Conseguentemente, in base alle predette disposizioni, i comuni possono – e, con tutta evidenza, si tratta di una mera facoltà – consentire il cambio di destinazione d’uso, purché ciò avvenga nel rispetto della legge regionale, valutando, dunque, caso per caso se consentire il predetto mutamento e individuando le aree in cui consentirlo.

In questo contesto, negare in via generale e astratta quanto risulta espressamente ammesso dalla legge regionale significa quindi violare la legge stessa, motivo per cui l’annullamento della delibera consiliare operato dal TAR è corretto.

No ad atti generali che violano la lesiglazione regionale

In altri termini, il Comune ha espressamente limitato, con una previsione contenuta in un atto di pianificazione avente carattere generale – gli effetti della legislazione regionale, operando una sorta di applicazione “selettiva” delle disposizioni, escludendo quelle concernenti la facoltà di autorizzare il mutamento di destinazione d’uso per gli edifici in corso di realizzazione e per quelli soltanto previsti nella strumentazione urbanistica attuativa già approvata e convenzionata.

Spiegano i giudici d’appello che la facoltà di scelta riguarda esclusivamente la decisione di avvalersi o meno della possibilità di consentire il mutamento di destinazione d’uso previsto dalla legislazione regionale e di individuare altresì le aree ove consentire il predetto mutamento di destinazione, ma non prevede alcuna facoltà di deroga in relazione all’applicabilità della norma “agli interventi non ancora realizzati o in corso di realizzazione, previsti dai piani di lottizzazione approvati e convenzionati, alla data di entrata in vigore della presente legge”.

Ne consegue che il Comune era del tutto libero di decidere in autonomia se riconoscere la facoltà di consentire il mutamento di destinazione d’uso e individuare le aree in cui consentire tale mutamento, ma questa  decisione deve essere assunta senza violare la legislazione regionale.

Attenzione però: l’annullamento della delibera e del provvedimento di diniego non significa, di per sé, che il mutamento di destinazione d’uso sia sempre consentito, posto che il Comune – ferma e impregiudicata la sua potestà pianificatoria – deve valutare di volta in volta, in modo ampiamente discrezionale, se intende consentire tale mutamento e in quali aree intende consentirlo, così come emerge dall’utilizzo del termine “possono” nell’ambito del citato art. 8-bis.

Conclude il Consiglio che non si configura infine alcuna illegittima compressione del potere di pianificazione spettante al Comune, dal momento che l’ente locale resta del tutto libero di decidere, per il tramite di una propria delibera consiliare, non solo di avvalersi o meno della facoltà di consentire il mutamento della destinazione d’uso, ma altresì di individuare le parti del territorio comunale in cui riconoscere questa possibilità, con l’unico limite che, ove l’amministrazione decida di consentire tale mutamento, non può violare la legislazione regionale e, dunque, non può escludere tale facoltà con riferimento agli immobili “non ancora realizzati o in corso di realizzazione”, non essendo prevista la possibilità di un’applicazione “selettiva” dell’anzidetta disposizione, in considerazione del già sottolineato, inequivocabile, tenore letterale dell’art. 27 della l.r. n. 51 del 2021.

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