Cambio di destinazione d’uso rilevante: cosa cambia dopo il Salva Casa?

La disciplina per il cambio di destinazione d’uso è stata notevolmente modificata dal Decreto Salva Casa. Esistono ancora tante casistiche gestite con la precedente versione del Testo Unico Edilizia

di Redazione tecnica - 17/10/2024

Con il Decreto Salva Casa (D.L. n. 69/2024, convertito con modifiche dalla legge n. 105/2024), la disciplina relativa al cambio di destinazione d’uso ha subito notevoli trasformazioni, che sicuramente tracceranno nel tempo una nuova rotta nell’ambito della giurisprudenza sugli abusi edilizi.

Intanto, sebbene le nuove disposizioni dell’art. 23-ter del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) rappresentino l’introduzione di una vera e propria vera disciplina dei cambi di destinazione d’uso orizzontali (all’interno della stessa categoria) e verticali (tra categorie diverse), con o senza opere edilizie, la giustizia amministrativa, nei contenziosi per i quali si applicano le previsioni precedenti, ribadisce il proprio orientamento in caso di lavori eseguiti in assenza di titolo abilitativo.

Cambio di destinazione d'uso rilevante: un caso "pre Salva Casa"

Ne è prova la sentenza del 3 settembre 2024, n. 16065, con cui il TAR Lazio ha confermato l’ordine di demolizione e di ripristino dello stato originario dei luoghi, relativo ad opere abusive che avevano determinato il cambio di destinazione d’uso di un piano terra da uso studio ad uso abitativo, e del piano interrato da uso magazzino a uso residenziale.

Nel dettaglio, la relazione di sopralluogo del Comune aveva messo in evidenza che erano stati realizzati, in difformità alle concessioni edilizie rilasciate, i seguenti interventi, corrispondenti a cambi di destinazione d’uso rilevanti:

  1. al piano terra, il cambio di destinazione d'uso da studio a residenziale, con la presenza di soggiorno - pranzo, angolo cottura, oltre alla demolizione delle tramezzature che costituivano un vano bagno al posto del quale attualmente risulta esserci l'ambiente cucina a vista.
  2. al piano interrato, il cambio di destinazione d'uso da magazzino a residenziale con la presenza di una camera da letto e di un impianto di riscaldamento autonomo dotato di termosifone, oltre a un bagno per la cui realizzazione è stato chiuso il sottoscala con una nuova tramezzatura.

Le opere realizzate non corrispondevano ai parametri urbanistici ed edilizi previsti dalla normativa del piano di lottizzazione del complesso immobiliare a cui apparteneva l'immobile, dove gli spazi potevano essere destinati solo a uso studio.

Un’indicazione confermata dal tribunale romano, secondo cui va considerato mutamento della destinazione d'uso rilevante ogni tipologia di impiego degli immobili differente da quella originaria, a prescindere dalla realizzazione di opere, che implichi il passaggio ad una differente categoria funzionale tra residenziale, turistico ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale, e rurale.

Secondo la versione dell’art. 23-ter del d.P.R. n. 380/2001 vigente ratione temporis, il comma 1 dispone che:

1. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:

  • a) residenziale;
  • a-bis) turistico-ricettiva;
  • b) produttiva e direzionale;
  • c) commerciale;
  • d) rurale.

Nel caso in esame, le concessioni edilizie assentivano la realizzazione di “edifici per servizi a carattere privato”, da intendersi come studi professionali e uffici, ai quali è attribuita la categoria funzionale A/10.

Dal sopralluogo sono emerse ingenti modifiche all'immobile mutando la destinazione d'uso. Il rilevante abuso esclude che vi siano i presupposti per l’applicazione di sanzioni pecuniarie alternative, come richiesto dal ricorrente

Non solo:

  • non è stata presentata la domanda di permesso in sanatoria ex art. 36 dpr 380/2001;
  • non è stata né allegata prova, né dimostrata la sussistenza della c.d. “doppia conformità”;
  • non è stato provato che demolendo la parte abusiva sussisterebbe un pericolo di staticità per la residua parte dell’abitazione.

Per il TAR quindi nessun dubbio nel respingere il ricorso: non vi sono quindi ostacoli alla necessaria riduzione in pristino.

 

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