Cappotto termico: il TAR su distanze legali e aumento di cubatura
L’obiettivo di efficientamento energetico non giustifica l'abuso edilizio, tanto più se viene commesso in area vincolata
Le finalità di risparmio ed efficientamento energetico legate alla realizzazione di un cappotto termico non giustificano la commissione di abusi edilizi quali la violazione delle distanze legali tra edifici, dovute all’inspessimento delle pareti, né un eventuale aumento di cubatura dell’immobile.
Cappotto termico con inspessimento pareti: no a violazione delle distanze
Sulla base di questi presupposti, con la sentenza del 17 ottobre 2024, n. 17984, il TAR Lazio ha confermato la legittimità dell’ordine di demolizione di alcune opere abusive su un immobile, consistenti nella realizzazione di un rivestimento con pietra locale delle facciate, precedentemente solo intonacate.
lI sopralluogo dei tecnici comunali aveva evidenziato che l’intervento edilizio, volto a rivestire l’immobile con un cappotto termico in pietra, aveva modificato le dimensioni dell’edificio. L'ispessimento delle pareti, che variava tra 20 e 45 cm, aveva prodotto un aumento di cubatura, causando così una violazione delle distanze dai confini. La ricorrente aveva realizzato anche ulteriori modifiche senza le dovute autorizzazioni, tra cui la creazione di un angolo cottura in un vano cantina.
Nel suo ricorso, la proprietaria sosteneva che:
- l’intervento non avesse comportato alcun reale aumento di cubatura, e che comunque esso fosse assentito entro il 10% per “motivi igienico- sanitari”;
- l’intervento fosse finalizzato alla realizzazione del cappotto termico e ottenere un contenimento dei consumi energetici, ai sensi del d.Lgs,n. 102/2014 e L.R. 8/2006), motivo per cui il nuovo spessore sarebbe stato ammissibile anche in deroga alle norme sui distacchi, purché rientranti nei limiti del codice civile;
- l’incremento di spessore di soli 7-9 cm generato dall'intervento edilizio, dovuto al "cappotto termico in pietra", comunque, sarebbe ampiamente contenuto in quel 2% di tolleranza previsto dalla normativa vigente e sarebbe assolutamente conforme alla autorizzazione paesaggistica ottenuta, la quale non conteneva la prescrizione di materiali particolari di rivestimento, se non "quelli coerenti con l'ambiente";
- lo stesso intervento sarebbe stato comunque autorizzabile ai sensi dell’art. 167, comma 4, del D.lgs n. 42/2004, in quanto non avrebbe generato aumento o modifica di superfici e volumi e sarebbe configurabile come attività di manutenzione ordinaria o straordinaria.
Il giudizio del TAR: il cappotto termico non giustifica l'abuso
Il TAR ha respinto queste argomentazioni, confermando la validità dell’ordinanza di demolizione. Il tribunale ha ritenuto che, nonostante l’intervento fosse stato descritto come una mera installazione di un cappotto termico, l’aumento di cubatura e la violazione delle distanze non potessero essere giustificati.
In particolare, la normativa invocata dalla ricorrente, riguardante la riqualificazione energetica, non poteva essere applicata in quanto:
- non è stata provata l’intervenuta riduzione significativa dei limiti di trasmittanza, come previsto dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192;
- risulta in ogni caso superato il limite del maggior spessore delle murature esterne di 25 cm previsto dall’art. 12, comma 1, L. R. 6/2008, con violazione delle distanze non derogabili dai confini.
Il vincolo paesaggistico e le opere abusive
Spiega il TAR che per altro la zona ove insiste il manufatto abusivo è soggetta a vincolo ambientale, paesaggistico e sismico, motivo per cui l’esecuzione di lavori idonei a determinare una trasformazione dello stato dei luoghi che implichi,un incremento di volume e mutamento dei prospetti dell’immobile, ove effettuata in zona soggetta a tale vincolo, rende applicabile l'art. 32, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 (Testo Unico Edilizia), ai sensi del quale qualunque intervento effettuato su immobili sottoposti al vincolo in parola è da qualificare almeno come "variazione essenziale", e in quanto tale suscettibile di essere demolito ai sensi dell'art. 31 del citato d.P.R. 380/2001 (il comma 3 dell'art. 32 è stato adesso modificato dall’art. 1, comma 1, lettera d), numero 2), del decreto-legge n. 69 del 2024 convertito dalla legge n. 105 del 2024, n.d.R.)
Per consolidata giurisprudenza amministrativa, le opere realizzate in area sottoposta a vincolo, anche se minori e anche se accedono ad altre opere legittimamente edificate, mantengono comunque una indubbia rilevanza paesaggistica, poiché le esigenze di tutela dell'area sottoposta a vincolo paesaggistico, da sottoporre alla previa valutazione degli organi competenti, possono anche esigere l'immodificabilità dello stato dei luoghi, ovvero precluderne una ulteriore modifica.
Ne deriva il principio secondo il quale tali opere abusive, come neLcaso in esame devono considerarsi comunque eseguite in totale difformità laddove non sia stata ottenuta alcuna preventiva autorizzazione paesaggistica e, conseguentemente, è doveroso da parte dell'Amministrazione applicare la sanzione demolitoria
Nel caso di specie, l’ordinanza gravata deve ritenersi, quindi, adeguatamente e sufficientemente motivata con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, sia in merito alla violazione delle distanze dai confini che in merito alla intervenuta mutazione di destinazione d’uso, senza peraltro che siano intervenuti i necessari preventivi nulla osta, trattandosi di area plurivincolata ed essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione.
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