CILA, tettoia/porticato, cambio di destinazione d’uso rilevante e sanatoria sismica: interviene il Consiglio di Stato

Interessante sentenza del Consiglio di Stato che entra nel merito dell’inefficacia della CILA, delle definizione di tettoia, del cambio di destinazione d’uso ma, soprattutto, della sanatoria sismica

di Gianluca Oreto - 16/05/2024

Cambio di destinazione d’uso rilevante

Importanti sono i principi che riguardano il cambio di destinazione d’uso. Nel caso di specie, l’appellante rivendica la natura di “pertinenza dell’abitazione” di un intero piano, tale per cui:

  • da un lato, l’avvenuta realizzazione al suo interno di un servizio igienico non sarebbe idonea a mutarne la destinazione;
  • dall’altro, ove si ritenga che un cambiamento sia in effetti intervenuto, esso non avrebbe comunque rilevanza sotto il profilo urbanistico, in quanto riferito ad un’area che era e resta a servizio della casa.

Tesi assolutamente rigettate dal Consiglio di Stato che ricostruisce la normativa ed i suoi principi.

La modifica di destinazione d’uso non costituisce di regola una tipologia di intervento edilizio ex se, bensì piuttosto l’effetto dello stesso. Non a caso la relativa dizione non figura nell’elenco delle definizioni contenuto nell’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, ma nelle singole declinazioni delle stesse:

  • quale limite negativo, si pensi al concetto di manutenzione straordinaria che non può comportare «mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico», ovvero, più in generale, della destinazione d’uso originaria ove si concretizzi in frazionamenti o accorpamenti di unità immobiliari;
  • come possibile esemplificazione contenutistica (come per il restauro e risanamento conservativo) che può determinare anche il mutamento delle destinazioni d’uso, purché compatibile con gli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso che i relativi interventi devono comunque rispettare.

L’art. 10 del TUE, nel declinare gli interventi subordinati a permesso di costruire, demanda alle leggi regionali il compito di stabilire “quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività”, con ciò conferendo dignità di autonomo intervento anche a quello meramente funzionale, o senza opere, nei casi di astratta rilevanza dello stesso.

La modifica di destinazione d’uso che si risolve in una trasformazione urbanistica costituisce nuova costruzione. In passato, l’individuazione degli indici della trasformazione urbanistica veniva basata dalla giurisprudenza sul criterio dell’incidenza e del pregiudizio in concreto agli standard urbanistici e alle dotazioni territoriali.

Con l’introduzione delle categorie di destinazione urbanistica (art. 23-ter nel TUE), si è cercato di precostituire a monte le situazioni con riferimento alle quali il carico urbanistico si presuppone omogeneo, indirettamente suggerendo anche una certa uniformità terminologica nella declinazione delle funzioni da parte degli Enti locali nei vari strumenti di governo del territorio.

L’art. 23-ter citato riduce a cinque le categorie funzionali:

  • residenziale;
  • turistico-ricettiva;
  • produttiva e direzionale;
  • commerciale;
  • rurale;

all’interno delle quali, almeno in termini astratti e generali, il carico urbanistico si presume analogo, sicché assume rilevanza solo il passaggio dall’una all’altra, quand’anche non accompagnato dall’esecuzione di opere edilizie.

L’introduzione delle categorie, rilevano i giudici di secondo grado, per la sua portata assorbente della valutata incidenza sul carico urbanistico, ha fatto perdere un po’ di significatività alla distinzione, tradizionalmente operata in dottrina e giurisprudenza, tra:

  • modifiche di destinazione d’uso funzionali o senza opere;
  • modifiche di destinazione d’uso realizzate tramite le stesse.

Ciò che conta, infatti, è non tanto la modalità di realizzazione del cambio, ma gli effetti che produce.

Laddove l’individuazione di elementi sintomatici si renda necessaria a stabilire se in concreto cambio c’è stato o meno, essi vanno individuati caso per caso, a partire proprio da quelle dotazioni che, a maggior ragione ove consistite non in elementi di arredo ma in fattori strutturali, tradizionalmente connotano un determinato utilizzo del bene, in quanto necessarie allo scopo.

Quand’anche, dunque, in singoli casi la realizzazione del servizio igienico o di un mero vano wc può non assumere rilevanza ex se, come nel caso in cui il manufatto “pertinenziale” non fa parte della medesima unità abitativa, lo stesso non è a dire laddove, oltre a tale circostanza “logistica”, allo stesso si aggiungano altre dotazioni strutturali tipicamente riconducibili all’uso abitativo, quali la presenza di locali c.d. “pluriuso”, e segnatamente della cucina.

La disciplina urbanistica, tuttavia, si connota, o quanto meno dovrebbe connotarsi, per la necessaria commisurazione delle dotazioni territoriali all’impatto in termini di carico prodotto da una determinata destinazione, la cui ampiezza è evidentemente calcolata avuto riguardo alla assentita fruibilità funzionale. La fruibilità funzionale all’uso residenziale è data cioè dalla superficie e dalla volumetria abitabile, ovvero rispondente ai requisiti minimi di vivibilità contenuti, nel loro nucleo originario successivamente integrato anche da regolamenti comunali di settore, nel d.m. 5 luglio 1975.

In altre parole, la volumetria assentibile su cui si basa il calcolo degli indici edificatori è quella “abitabile”, perché consente di individuare l’estensione anche potenziale dell’insediamento umano e la pressione che lo stesso è necessariamente destinato a produrre sul contesto inteso come necessità di fruire delle opere di urbanizzazione, primaria o secondaria.

Le volumetrie di servizio, pur latamente intese, in quanto strutturalmente inidonee a incrementare ridetta pressione da parte della popolazione residenziale, che rimane immutata, sono inserite al solo scopo di migliorare la qualità della vita della zona anche in relazione al singolo complesso immobiliare.

L’art. 23-ter del TUE non individua un’autonoma categoria “pertinenziale”, essendo la stessa, proprio in quanto tale, quella della zona in cui si inserisce, ma mantenendo una finalizzazione d’uso diversa e mirata. Da qui il condiviso orientamento giurisprudenziale che ha da sempre ricondotto il cambio di destinazione d’uso da cantina o garage a civile abitazione tra gli interventi edilizi per i quali è necessario il rilascio del permesso di costruire. Diversamente opinando, si addiverrebbe alla paradossale conclusione che l’introduzione delle categorie urbanistiche omogenee, necessariamente espressa in termini di macro organizzazione sistemica e non di disciplina di dettaglio, si sarebbe risolta in una sostanziale liberalizzazione delle trasformazioni di tutti i locali lato sensu di servizio in residenziali.

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