CILA, tettoia/porticato, cambio di destinazione d’uso rilevante e sanatoria sismica: interviene il Consiglio di Stato

Interessante sentenza del Consiglio di Stato che entra nel merito dell’inefficacia della CILA, delle definizione di tettoia, del cambio di destinazione d’uso ma, soprattutto, della sanatoria sismica

di Gianluca Oreto - 16/05/2024

Doppia conformità e sanatoria sismica

Ultimo importante aspetto su cui si discute è la possibilità di “sanatoria sismica”. Tema sul quale non esiste un orientamento pacifico ma che viene trattato compiutamente nel nuovo intervento del Consiglio di Stato che mette “in fila” la normativa edilizia e una serie di interventi della Corte Costituzionale e della Cassazione, per arrivare ad una tesi che, in effetti, convince.

Preliminarmente il Consiglio di Stato ricorda che, ai sensi dell’art. 94-bis del TUE, gli interventi sono classificati:

  • rilevanti" nei riguardi della pubblica incolumità;
  • di “minore rilevanza” nei riguardi della pubblica incolumità;
  • “privi di rilevanza” nei riguardi della pubblica incolumità.

Altro aspetto riguarda l’art. 65 del TUE secondo il quale “Le opere realizzate con materiali e sistemi costruttivi disciplinati dalle norme tecniche in vigore, prima del loro inizio, devono essere denunciate dal costruttore allo sportello unico tramite posta elettronica certificata (PEC)”, con ciò ampliando la platea dei fabbricati soggetti al relativo adempimento.

La disciplina interseca gli interventi «privi di rilevanza» da un punto di vista sismico che pertanto rientrano comunque in tale regime di denuncia preventiva. Il combinato disposto delle due norme, caratterizzate da un rinvio reciproco (l’art. 65, comma 8-bis, prevede infatti che agli interventi privi di rilevanza non si applichino le disposizioni sugli adempimenti successivi all’ultimazione delle opere, così come l’art. 94-bis, a sua volta, al comma 6 sancisce che «Restano ferme le procedure di cui agli articoli 65 e 67, comma 1»), introduce un regime semplificato che tuttavia non pretermette del tutto l’informativa, estesa piuttosto, nella modalità di cui all’art. 65 del d.P.R. n. 380 del 2001, a tutte le opere realizzate con materiali e sistemi costruttivi disciplinati dalle norme tecniche in vigore inclusi gli interventi di riparazione e gli interventi locali sulle costruzioni esistenti e quelli che, per caratteristiche intrinseche e destinazioni d’uso, non costituiscono pericolo per la pubblica incolumità.

Anche laddove non trova applicazione l’art. 94, comma 1, che prevede che nelle località sismiche “non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione”, permane l’obbligo di denuncia preventiva dell’opera, che assolve anche alla finalità di garantire il rispetto delle regole a tutela della pubblica incolumità dalla minaccia sismica.

A questo punto la “questione” si fa interessante oltre che complessa e delicata in quanto occorre correttamente coordinare le disposizioni che regolano la sanatoria ex art. 36 con quelle di settore di cui agli artt. 65 e 83 e seguenti del TUE.

Questione che, ammette il Consiglio di Stato, sconta le difficoltà derivanti da innegabili lacune normative, a fronte delle quali l’interprete è chiamato ad individuare una lettura che contemperi l’effettività del regime delle sanatorie con la necessità di non abbassare minimamente la soglia della tutela dell’incolumità pubblica in un Paese il cui territorio si connota notoriamente per l’estensione delle zone vulnerabili da un punto di vista sismico.

Nel dettaglio:

  • l’art. 65 prevede che le opere siano denunciate «prima del loro inizio»;
  • l’art. 93, a sua volta, impone a chiunque intenda procedere ad interventi nelle zone sismiche, di darne «preavviso» scritto allo sportello unico, che provvederà alla trasmissione al competente ufficio tecnico regionale;
  • il successivo art. 94 infine si riferisce ad una «preventiva autorizzazione», sicché la procedura deve essere inequivocabilmente completata prima dell’esecuzione dell’intervento, nel rispetto delle formalità richieste.

Sul rapporto tra titolo edilizio e assenso sismico, la giurisprudenza in passato non è stata univoca, tanto da ammettere che quest’ultimo intervenisse successivamente al permesso di costruire o alla proposizione della SCIA. Più di recente, valorizzando la previsione dell’art. 20 del TUE, secondo cui la dichiarazione del progettista, in sede di istanza, deve anche asseverare il rispetto delle norme di settore, pare essersi consolidato il riconoscimento di un rapporto di presupposizione tra titoli. Ciò trova conferma nella clausola di rinvio con cui si apre l’art. 94 del T.u.e., che reca: “Fermo restando l’obbligo del titolo abilitativo all’intervento edilizio […]”, intendendo evidentemente che esso dovrà essere comunque conseguito, in aggiunta all’autorizzazione di cui si tratta, qualora la tipologia dell’intervento da eseguire lo richieda.

La giurisprudenza più recente ha dunque affermato che in assenza del titolo attestante la conformità alla disciplina antisismica, il permesso di costruire è in ogni caso inefficace, ovvero non idoneo a legittimare le opere a suo tempo realizzate. Considerazioni estese anche alla corretta lettura da dare all’art. 36 del TUE, che richiederebbe di “[…] verificare, ancora prima dell’adozione del permesso di costruire in sanatoria, se le opere possano o meno ritenersi sostanzialmente conformi alla disciplina di riferimento: a tali fini, risulta necessario accertare, tra l’altro, il previo rilascio dell’autorizzazione sismica (ove prevista), idonea ad escludere quei pericoli per la staticità delle opere abusive che, ove esistenti, impedirebbero la sanatoria, imponendo l’irrogazione della sanzione demolitoria”. E ancora, nell’affermare che “l’accertamento del rispetto delle specifiche norme tecniche antisismiche è sempre un presupposto necessario per conseguire il titolo che consente di edificare”, si è riconosciuto che esso possa essere acquisito anche in maniera postuma, essendo state inserite tra parentesi, dopo l’affermazione della regola generale, le parole “anche quello in sanatoria”.

Ciò premesso, i giudici di secondo grado hanno ricordato che il rilascio della sanatoria ex art.36 del TUE è sottoposto al principio della doppia conformità, che non è richiesto in caso di vero e proprio condono. In ragione di tale esplicita scelta del legislatore essa si applica ai soli abusi “formali”, ossia dovuti alla carenza del titolo abilitativo, rendendo così palese la ratio ispiratrice della previsione “anche di natura preventiva e deterrente”, finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio. Non sono più ritenute possibili, dunque, letture “sostanzialiste” finalizzate a legittimare la regolarizzazione di opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi al momento della presentazione dell’istanza per l’accertamento di conformità.

Anche sull’esatto perimetro della “doppia conformità” vanno richiamati i principi espressi dalla Corte costituzionale avuto riguardo proprio alla disciplina antisismica, che vi è stata ricompresa. Ciò in quanto le disposizioni di cui al capo IV della parte II del TUE, contengono prescrizioni aggiuntive, e non alternative, a quelle generali per l’edilizia, come confermato sia dall’utilizzo dell’aggettivo “particolari”, appunto, sia dalla sistematica delle norme, collocate nella Parte II dello stesso Testo unico, che concerne la «Normativa tecnica per l’edilizia».

Secondo il Consiglio di Stato, dunque, la regola della doppia conformità vale anche per la normativa antisismica, costituendo, per gli interventi in zona sismica, un principio fondamentale delle materie “governo del territorio” e “protezione civile”. A ciò consegue che in linea generale ove il richiedente non è in possesso dello specifico titolo di cui è causa la sanatoria non può essere concessa per mancanza del requisito della doppia conformità, ma non vale necessariamente il reciproco, ovvero la carenza del titolo sismico preventivo non si risolve necessariamente in un rigetto, ove la parte dimostri di poterlo conseguire e di averlo in concreto richiesto, seppure in maniera postuma.

Ma, ammette il Consiglio di Stato, “Negando in toto l’ammissibilità di un’autorizzazione sismica postuma, infine, essendo considerazione nota l’estensione del territorio soggetto alla relativa tutela in Italia, si rischierebbe di addivenire ad una sorta di interpretatio abrogans dell’art. 36 del T.u.e., in fatto difficilmente utilizzabile”.

A fronte della mancata previsione della sanatoria sismica quale causa estintiva dei corrispondenti illeciti contravvenzionali, è infatti noto e ben comprensibile l’approccio rigoroso della Corte di Cassazione che ha categoricamente escluso che il deposito allo sportello unico “in sanatoria” degli elaborati progettuali faccia venire meno il reato di omesso deposito preventivo degli elaborati. Tuttavia, proprio nel ribadire costantemente che la sanatoria sismica non produce effetti estintivi del reato, si è finito per postulare in ogni caso la vigenza dell’istituto (in maniera esplicita, Cass., sez. III, n. 2848 del 2019: “il rilascio in sanatoria dell’autorizzazione dell’Ufficio del Genio civile non costituisce causa estintiva dei reati di violazione della normativa antisismica di cui agli artt. 93, 94 e 95 del d.P.R. 380 del 2001”).

L’art. 98, comma 3, del TUE, inoltre, ammette esplicitamente la regolarizzazione dell’abuso in materia sismica, laddove consente al giudice penale di impartire, in luogo della demolizione delle opere o delle parti di esse costruite in difformità alle norme antisismiche, le prescrizioni necessarie per renderle conformi alle stesse, fissando il relativo termine.

Di fatto, dunque, non solo è possibile un’integrazione documentale postuma, ma finanche un adeguamento strutturale, stante che la norma riferisce l’adeguamento alle opere, non alle pratiche, che il giudice disporrà avvalendosi necessariamente delle competenze tecniche di specialisti del settore.

Se così è - ammettono i giudici - non si comprende per quale ragione l’Amministrazione preposta al controllo di settore non possa muoversi anticipatamente almeno sotto il profilo del vaglio della rispondenza sostanziale dell’intervento ai previsti requisiti di sicurezza, laddove la parte si attivi in tal senso e se ne assuma la responsabilità producendo tutta la necessaria documentazione a supporto”.

L’ammissibilità di una denuncia sismica ex post, ovvero di un’analoga richiesta tardiva di autorizzazione, per potersi inserire nel procedimento di sanatoria deve in qualche modo produrre l’effetto di interrompere o quanto meno sospendere il termine di formazione del silenzio rifiuto cui il legislatore ha assoggettato l’esito del relativo procedimento in caso di inerzia dell’amministrazione (art. 36, comma 3, del T.u.e.).

Così è deciso, l’udienza è tolta (almeno fino al prossimo intervento della giustizia amministrativa o del legislatore che potrebbe meglio chiarire questo aspetto).

© Riproduzione riservata