Clausole di revisione prezzi: i limiti di applicazione

La revisione dei prezzi per l’aumento dei costi dei materiali non è obbligatoria e si applica in caso di contratti pluriennali

di Redazione tecnica - 16/07/2022

La revisione dei prezzi, ai sensi dell’art. 106 del d.lgs. n. 50/2016 (Codice dei Contratti Pubblici), non è obbligatoria come nella previgente disciplina (artt. 114 e 133 del d.lgs. n. 163/2006), ma opera solo se prevista dai documenti di gara.

Revisione dei prezzi appalto: obbligo non previsto

A confermarlo è il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5667/2022, a seguito del ricorso presentato da un operatore economico per ottenere dalla Stazione Appaltante il pagamento dei maggiori oneri subiti a seguito dell'incremento dei prezzi delle materie prime e degli importi recati dalle riserve iscritte in contabilità.

Un orientamento che non è destinato a durare, considerato che recentemente, con la nuova legge delega al Governo in materia di contratti pubblici, alla lettera g)  del comma 2 della legge 21 giugno 2022, n. 78 è stato introdotto il principio dell'obbligo per le stazioni appaltanti di inserire nei bandi di gara, negli avvisi e inviti, in relazione alle diverse tipologie di contratti pubblici, un regime obbligatorio di revisione dei prezzi al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva e non prevedibili al momento della formulazione dell'offerta, stabilendo che gli eventuali oneri derivanti dal suddetto meccanismo di revisione dei prezzi siano a valere sulle risorse disponibili del quadro economico degli interventi e su eventuali altre risorse disponibili per la stazione appaltante da utilizzare nel rispetto delle procedure contabili di spesa.

Tornando al caso in esame, la Stazione appaltante aveva aggiudicato un appalto per la realizzazione di lavori stradali. Nel corso dell’intervento si era verificato un rilevante aumento del prezzo dei materiali ferrosi e bituminosi rispetto a quelli previsti al momento dell’offerta e l’impresa aveva segnalato la conseguente intenzione di recedere dal contratto ma, a fronte dell’intimazione della SA a completare i lavori e alla prospettazione di una risoluzione per inadempimento oltre che del rigetto della istanza di recesso, i lavori erano stati portati a termine, con iscrizione di una serie di riserve nella contabilità.

Revisione dei prezzi nel vecchio Codice dei Contratti

Nel giudicare la questione, Palazzo Spada ha preliminarmente ricordato quanto disposto dalla norma di riferimento della controversia, inerente un contratto di appalto di lavori pubblici, di durata infra annuale, ossia l’art. 133 del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) la quale prevedeva:

  • al comma 2, che per i lavori pubblici affidati dalle stazioni appaltanti non si può procedere alla revisione dei prezzi e non si applica il comma 1 dell'articolo 1664 del codice civile;
  • al comma 3, che per i lavori di cui al comma 2 si applica il prezzo chiuso, consistente nel prezzo dei lavori al netto del ribasso d'asta, aumentato di una percentuale da applicarsi, nel caso in cui la differenza tra il tasso di inflazione reale e il tasso di inflazione programmato nell'anno precedente sia superiore al 2 per cento, all'importo dei lavori ancora da eseguire per ogni anno intero previsto per l'ultimazione dei lavori stessi (tale percentuale è fissata, con decreto del Ministro delle infrastrutture da emanare entro il 31 marzo di ogni anno, nella misura eccedente la predetta percentuale del 2 per cento);
  • al comma 4, che, in deroga a quanto previsto dal comma 2, qualora il prezzo di singoli materiali da costruzione, per effetto di circostanze eccezionali, subisca variazioni in aumento o in diminuzione, superiori al 10 per cento rispetto al prezzo rilevato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nell'anno di presentazione dell'offerta con il decreto di cui al comma 6, si fa luogo a compensazioni, in aumento o in diminuzione, per la metà della percentuale eccedente il 10 per cento e nel limite delle risorse di cui al comma 7;
  • al comma 5, che la compensazione è determinata applicando la metà della percentuale di variazione che eccede il 10 per cento al prezzo dei singoli materiali da costruzione impiegati nelle lavorazioni contabilizzate nell'anno solare precedente al decreto di cui al comma 6 nelle quantità accertate dal direttore dei lavori;
  • al comma 6, che il Ministero delle infrastrutture, entro il 31 marzo di ogni anno, rileva con proprio decreto le variazioni percentuali annuali dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi; al comma 6-bis, che, a pena di decadenza, l'appaltatore presenta alla stazione appaltante l'istanza di compensazione entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale;
  • al comma 7, che, per le finalità di cui al comma 4, si possono utilizzare le somme appositamente accantonate per imprevisti, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nel quadro economico di ogni intervento, in misura non inferiore all'1 per cento del totale dell'importo dei lavori, fatte salve le somme relative agli impegni contrattuali già assunti, nonché le eventuali ulteriori somme a disposizione della stazione appaltante per lo stesso intervento nei limiti della relativa autorizzazione di spesa.

Come spiega il Consiglio, nell’art. 133 erano confluiti sia il meccanismo del prezzo chiuso, già previsto dall’art. 26 della legge n. 109/1994, sia le forme di compensazione di cui alla legge n. 311/2004.

Diversamente, l’art. 115 dello stesso codice, stabiliva espressamente che tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture dovessero recare una clausola di revisione periodica del prezzo.

Il coordinamento con le norme europee e con l'attuale Codice dei Contratti

Palazzo Spada ha ritenuto che queste disposizioni vanno inquadrate coerentemente con quelle europee e con l’interpretazione che di esse ha dato la Corte di giustizia.

In particolare, la sentenza della Corte Europea del 19 aprile 2018, C 152/17 ha affermato che la direttiva n. 2004/17/CE inerente l’esclusione della revisione dei prezzi in tutti i contratti stipulati ed applicati nell’ambito dei cd. settori speciali non stabilisce, a carico degli Stati membri, alcun obbligo specifico di prevedere la revisione al rialzo del prezzo dopo l’aggiudicazione di un appalto.

Poiché il prezzo dell’appalto costituisce un elemento di grande rilievo nella valutazione delle offerte da parte di un ente aggiudicatore, così come nella scelta del privato contraente, è proprio attraverso la mancata previsione del compenso revisionale – e non già con la sua obbligatorietà – che le norme di diritto nazionale si pongono in linea con il rispetto dei suddetti principi.

Ne consegue che, al pari della mancata previsione del compenso revisionale, anche il divieto di revisione prezzi è pienamente conforme al diritto europeo.

Per altro anche il nuovo codice degli appalti, diversamente dal precedente codice del 2006, non solo prevede espressamente che la revisione prezzi, prevista dall’art. 106 del d.lgs. n. 50/2016, trovi applicazione anche con riguardo ai settori speciali, ma stabilisce che essa non è obbligatoria per legge come nella previgente disciplina (artt. 114 e 133, d.lgs. n. 163/2006), ma operante solo se prevista dai documenti di gara.

Revisione prezzi: presupposto è l'esecuzione continuativa o periodica della prestazione

In riferimento alla natura e agli obiettivi della disciplina sulla revisione prezzi, il Consiglio di Stato ha quindi evidenziato che:

  • a) la revisione prezzi (al tempo disciplinata per gli appalti di servizi o forniture dall'art. 115 d.lgs. n. 163 del 2006 che ha recepito la disposizione di cui all'art. 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537) si applica ai contratti di durata, ad esecuzione continuata o periodica, trascorso un determinato periodo di tempo dal momento in cui è iniziato il rapporto e fino a quando lo stesso, fondato su uno specifico contratto, non sia cessato ed eventualmente sostituito da un altro;
  • b) con la previsione dell'obbligo di revisione del prezzo, i contratti di forniture e servizi sono stati muniti di un meccanismo che, a cadenze determinate, comporti la definizione di un «nuovo» corrispettivo per le prestazioni oggetto del contratto, conseguente alla dinamica dei prezzi registrata in un dato arco temporale, con beneficio per entrambi i contraenti;
  • c) l'istituto della revisione dei prezzi, in particolare, ha la finalità di salvaguardare l'interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa e al contempo essa è posta a tutela dell'interesse dell'impresa a non subire l'alterazione dell'equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopraggiunte durante l'arco del rapporto;
  • d) l'istituto della revisione prezzi si atteggia secondo un modello procedimentale volto al compimento di un'attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale.

Presupposto comune all’istituto della revisione dei prezzi – comunque all’epoca applicabile, come si è visto, ai soli appalti di servizi e forniture – è l’esecuzione continuata o periodica.

Del tutto coerente risulta quindi, a maggior ragione per i contratti infra annuali, il divieto di carattere generale relativo alla revisione dei prezzi previsto dall’art. 133 del d.lgs. n. 163/2006 per gli appalti di lavori.

Peraltro la revisione prezzi, secondo la disciplina pro tempore applicabile, si riferisce ai contratti di durata pluriennale a partire dall'anno successivo al primo, e l'art. 115 d.lgs. 163/2006 prevede l'inserimento obbligatorio della clausola di revisione prezzi, con conseguente sostituzione di diritto ex art. 1339 cod. civ. delle clausole contrattuali difformi, nulle di pieno diritto ex art. 1419 cod. civ.

Clausole di divieto revisione dei prezzi

Nel caso in esame, non solo l’art. 133 del d.lgs. n. 163/2006 vietava la revisione dei prezzi, ma essa era stata inserita nel contratto con apposita clausola di divieto.

Dato che la revisione dei prezzi, da rapportarsi a sopravvenute esigenze dei contraenti, caratterizza in particolare i contratti di durata pluriennale, il divieto di revisione è da riferire sia ai contratti di durata inferiore sia a quelli di durata superiore all’anno non essendo presente, al secondo comma, alcuna distinzione tra le due categorie di contratti.

Disciplina delle riserve e revisione dei prezzi

Infine, la disciplina delle riserve non è applicabile all’ipotesi della revisione dei prezzi, in ragione della diversa natura dei due istituti. Come ha sottolineato la Corte di Cassazione, l'onere dell'appaltatore di inserire le proprie pretese nei confronti dell'amministrazione o dell'ente appaltante nel registro di contabilità e nel conto finale e, quindi, nel certificato di collaudo ex artt. 91 e 107 del r.d. n. 350 del 1895, riguarda le sole istanze inerenti alla contabilizzazione del corrispettivo contrattuale delle opere eseguite o da eseguire, ma non già anche le riserve per eventuale revisione dei prezzi, con riguardo alle quali ultime è sufficiente che la relativa domanda sia comunque presentata prima della firma del certificato di collaudo, senza che sia necessaria la sua riproduzione in quel documento.

L’appello è stato quindi respinto, confermando la non obbligatorietà della revisione dei prezzi e la non applicabilità della disciplina delle riserve a questo ambito.

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