Codice Appalti e rivoluzione BIM da gennaio 2025: tecnici e P.A. saranno pronti?
A poco più di un anno dall'obbligo di BIM per tutte le gare sopra il milione di euro (a meno di ripensamenti) nasce spontanea una domanda: tecnici e P.A. si faranno trovare pronti?
Siamo ormai a soli 13 mesi dalla fatidica data dell'1 gennaio 2025, che dovrebbe dare il via alla messa a regime dell’adozione del BIM, in tutte le gare al di sopra del milione di euro.
Chi ad oggi può dirsi pronto per adempiere a tale obbligo? È giusto parlare di tempi troppo stretti e quindi di proroga? Nel web vi sono pareri discordanti, in questo articolo proviamo a dare un’analisi obiettiva.
Le scadenze del BIM
Anzitutto è bene ricordare che le “scadenze” furono decretate nel D.M. n. 560 del 2017, ormai quasi 7 anni orsono, con ultima data per la messa a regime nel gennaio 2025. Questo significa che le Pubbliche Amministrazioni e professionisti avevano 8 anni per “adeguarsi”. Se poi si considera che il D.Lgs. n. 50 del 2016 ("vecchio" Codice dei contratti) stabiliva già l’utilizzo delle “piattaforme interoperabili a mezzo di formati aperti” e l’adozione graduale del BIM, allora il tempo era ancora maggiore.
Nell’agosto del 2021 il decreto Baratono-bis (D.M. n. 312/2021) ha alleggerito tali scadenze stabilendo la soglia per l’adozione del sistema digitale BIM, sempre da gennaio 2025, per opere oltre il milione di euro, invece che per tutte le opere come decretato dal precedente D.M. n. 560/2017. Nonostante questo, sembra che la maggior parte delle P.A. non saranno pronte.
Perché? Ad oggi a che punto sono le P.A.?
Le Pubbliche Amministrazioni ad oggi risultano molto indietro rispetto a tali scadenze, tranne per una percentuale ristretta che riguarda in prevalenza il Nord e Centro Italia. Purtroppo, nel nostro paese le P.A. viaggiano a due velocità:
- le Amministrazioni meglio strutturate riescono a recepire le innovazioni e sono più aperte al cambiamento e riusciranno probabilmente a raggiungere l’obiettivo della digitalizzazione nel 2025;
- le Amministrazioni più piccole, con poco personale o con personale di età avanzata, non solo non hanno i mezzi per adeguarsi a tale tecnologia, ma risultano anche restie al cambiamento, perché spesso non compreso.
Pertanto, uno dei motivi che pone a rischio la scadenza del 2025, come messa in atto della rivoluzione digitale, è il mancato “svecchiamento” delle P.A. negli ultimi decenni.
La lentezza della burocrazia
Un altro motivo è da imputarsi alla lentezza burocratica, ma anche che le P.A. hanno ignorato (deliberatamente o meno) l’importanza di tale rivoluzione, rimandandola il più possibile e bollandola come irrealizzabile e fantascientifica. In realtà, con la giusta collaborazione è molto più fattibile di ciò che si pensa.
Non vi è dubbio sulla bontà e sui vantaggi che l’adozione del BIM e della digitalizzazione forniranno alle P.A. Eppure, nonostante la normativa sia una delle più chiare ed applicative tecniche mai scritte, troppe Amministrazioni ne hanno ignorato i contenuti. In modo troppo superficiale non si è appreso ciò che era scritto in modo chiaro: il BIM non è un software ma un “metodo digitale strutturato” per rendere trasparente e preciso ogni procedimento.
Inoltre, l’art. 3 del D.M. n. 560/2017 spiegava in modo semplice come approcciarsi gradualmente a tale metodo. L’articolo stabilisce che le P.A. devono “programmare un piano di formazione adeguato ed un piano di acquisizione di hardware e software, necessario all’attuazione del sistema digitale dei processi aziendali”. Molto spesso le P.A. asserivano di non avere i fondi per ottemperare a tali prescrizioni. Purtroppo per esperienza sul campo si può affermare che spesso si ignorava che per il piano di formazione non necessitavano molti fondi e che spesso essi potevano trovarsi nelle somme/fondi a disposizione che ogni Amministrazione ha necessariamente accantonato.
Spesso tali somme sono state dedicate a continui corsi sulla sicurezza o su temi “familiari” che erano più semplici da attivare, ignorando che molte società esperte potevano facilmente aiutare la P.A. a progettare ed attuare il piano per la transizione digitale, a mezzo di incarichi diretti, utilizzando quegli stessi fondi o comunque, inserendo nel piano triennale il budget stabilito dall’analisi effettuata dalle suddette società o da tecnici esperti BIM. Questo avrebbe permesso di avere tutto il tempo necessario ad affrontare questo epocale cambiamento, con calma, qualità e seguiti da esperti BIM.
Il ritardo nella formazione e acquisizione di hardware e software
Tale inerzia, quindi, ha causato un profondo ritardo sull’avvio dei piani di formazione e di acquisizione di hardware e software senza i quali, chiaramente, risulta impossibile attuare una rivoluzione digitale: il BIM ha la sua vera efficacia solo se si “comprende” e si hanno strumentazioni adeguate.
Il metodo digitale non ha senso se alcune P.A. lo adottano con efficacia e molte altre utilizzano ancora metodi tradizionali. Ancor più dannoso è cercare di attuare un metodo “ibrido” fatto di alcune richieste tradizionale sommate a quelle dei nuovi decreti in digitale. Tutto questo rende molti appalti decisamente poco chiari e soprattutto dannosi per gli affidatari che spesso subiscono anche economicamente tale confusione.
Troppo spesso in appalti con obbligo BIM si leggono richieste di consegne sia in forma cartacea che digitale, perché le P.A. richiedono il BIM, essendo obbligate per via della soglia minima, ma non hanno i mezzi e le competenze neanche per aprire i file. In tal caso le P.A. non hanno ottemperato al D.Lgs. n. 50/2016 e D.M. n. 560/2017 e successivi, di cui sopra.
I fondi del PNRR
Dal 2021 con l’arrivo dei fondi PNRR, che sono a disposizione proprio per la transizione digitale, le P.A. non hanno più scusanti. Si deve urgentemente attuare ciò che non è stato fatto 5-6 anni fa e purtroppo oggi tale adempimento è una vera e propria corsa contro il tempo, che ormai insufficiente, rischia di far attuare un sistema efficace e chiaro in modo superficiale e mal gestito.
Ad oggi richiedere una proroga suonerebbe come l’ennesima sconfitta. Tuttavia, la proposta di non spostare le date di attuazione della messa a regime, ma di lasciare ancora per qualche anno la soglia di adozione del BIM sopra i 5 milioni, sembrerebbe una via di mezzo accettabile. Di certo però, si allungherebbe ancora questo limbo in cui alcune P.A. viaggeranno fra loro stesse ad una velocità diversa e soprattutto parleranno una “lingua” diversa da P.A. a P.A.
Forse non sarebbe più corretto ricorrere a consulenti esperti esterni, che siano capaci di “far traghettare” le P.A. in questo difficile cambiamento in tempi molto più stretti? Non sarebbe più efficace accorpare al più presto molte P.A. (almeno sul fronte digitale) in modo tale che, le Amministrazioni più piccole e prive di mezzi siano gestite da quelle più grandi, ma già competenti e con i mezzi necessari a gestire in digitale un territorio più ampio?
Ambiente Condivisione Dati: cos'è?
La prima cosa da far apprendere è che l’adozione del BIM non deve passare subito dalla formazione sul singolo software, ma risulta più urgente la comprensione e l’adozione del famoso CDE, in italiano ACDAT, acronimo di Ambiente Condivisione Dati. Ovvero la piattaforma cloud interoperabile descritta nel DM.50/2016. Per chi ancora non sappia cosa è un ACDAT, quest’ultimo è una piattaforma cloud che ha un sistema unico ed unificato di gestire tutto un procedimento di progettazione, gara e ciclo vita di un cespite immobile: dalla gestione documentale, alla vidimazione ed approvazione, al tracciamento senza alcun dubbio di tutti gli atti ed elaborati, al controllo indiscusso dei dati unici e non ridondanti e delle informazioni non modificabili a tutto vantaggio della trasparenza, alla catalogazione in archivi digitali di capienza infinita e sicuri (mai più cercare un faldone che non si trova!), al controllo delle interferenze e visualizzazione dei modelli bim tridimensionali che risolve la gran parte dei problemi prima dell’avvio del cantiere, alla comunicazione istantanea fra Rup ed Affidatario, ma soprattutto alla “collaborazione” attiva e veloce fra tutti gli attori coinvolti, ecc. Ed infine la capacità tramite questo strumento e i modelli BIM consegnati, di poter gestire il ciclo vita del patrimonio immobiliare in modo snello, veloce, tracciato e sicuro per i cittadini.
A questo strumento di certo vanno legati i famosi software per la progettazione, la gestione e la programmazione con metodo BIM. Ma questo è un onere maggiore purtroppo per i progettisti affidatari più che per le P.A., che potendo esternalizzare tutta la progettazione ed avviare, grazie al nuovo Codice degli Appalti (dlgs 36/2023), le gare con appalti integrati, potranno togliersi la gran parte dei problemi e risparmiare costi.
Il tutto si ridurrebbe quindi a saper utilizzare al meglio l’ACDAT, conoscere bene i processi e i documenti in BIM e la gestione in digitale dell’appalto e delle consegne, attraverso la competenza vera su procedure e processi bim e dei controlli sui modelli bim stessi. Tali controlli risultano estremamente più semplici ed efficaci rispetto ai metodi di controllo tradizionali, spesso causa di contenziosi.
Certo, la messa in obbligo del digitale “obbliga” di fatto tutti a utilizzare software per progettare e gestire un’opera esclusivamente in digitale e mettere al bando la carta. Uno sforzo anche economico non indifferente, soprattutto per i privati e gli affidatari. Tuttavia, nonostante le difficoltà economiche la maggior parte dei professionisti ha già adottato il bim. In buona parte per l’obbligo, ma anche per propria iniziativa perché in effetti più efficace per la progettazione, garantendo più servizi ai clienti ed aprendo nuovi business.
Ad oggi quindi si può affermare che i professionisti sono abbastanza pronti alla rivoluzione digitale, mentre le P.A. risultano in gran parte in forte ritardo per i motivi sopra descritti. Non vi è dubbio che un metodo digitale basato sulla collaborazione e la condivisione si “inceppa” se molti anelli della catena sono mancanti.
Tuttavia è anche vero però, che la soluzione deve passare ancora una volta da una manovra di Governo, atta a fornire aiuti economici tempestivi e chiari per l’adozione degli strumenti e della formazione sia alle P.A. ma anche ai privati (lasciati troppo spesso soli al loro destino), con un immediato controllo economico sul costo delle piattaforme e dei loro accessi, lasciati invece troppo nelle mani delle software house, veri unici beneficiari (economici) immediati della gestione attuale della transizione digitale.
Perché, attenzione: se tutto dovrà essere gestito dalle piattaforme ACDAT per obbligo, allora tale strumento dovrà essere accessibile a tutti, e non mezzo discriminante per via di costi ingestibili. In tal caso verrebbe meno il punto cardine di tutto il sistema digitale integrato: la condivisione.
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