Condono edilizio e ampliamento volumetrico: il concetto di ultimazione delle opere
La sentenza del Consiglio di Stato: è necessario distinguere tra tempus dell'abuso e momento di ultimazione delle opere, rilevante ai fini della concessione del condono
Il concetto di ultimazione delle opere, insieme al momento in cui l’abuso è stato realizzato e quello in cui è stato portato a termine, rappresentano dei punti di riferimento fondamentali nella valutazione della condonabilità di opere eseguite in assenza di titolo edilizio.
Condono edilizio: la differenza tra il momento della realizzazione abuso e l'ultimazione delle opere
Si tratta di parametri sui quali è possibile comprendere la legittimità o meno di un diniego a un’istanza di condono e del conseguente ordine di demolizione: ne ha tenuto conto il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5199/2023, con la quale ha confermato il parere negativo di un'Amministrazione Comunale in relazione alla domanda di condono, presentata nel 1995 ai sensi della legge n. 724/1994 (c.d. "Secondo Condono Edilizio").
Il TAR aveva già respinto il ricorso, specificando che le opere non risultavano completate al 31 dicembre 1993, data ultima prevista dalla legge n. 724/1994 per la presentazione di un’istanza di condono , e che gli interventi non rispettavano quanto già disposto dall’art. 43, legge n. 47/1985 (c.d. "Primo Condono Edilizio") sul concetto di ultimazione delle opere. Il TAR ha anche specificato che ai fini della sussistenza dei presupposti richiesti dall’art. 43 della legge n. 47/1985 per l’ottenimento della sanatoria, per cui “Per opere non ultimate devono intendersi quelle completate almeno al rustico, ossia mancanti solo delle finiture, ma necessariamente comprensive delle tamponature esterne che realizzino in concreto i volumi rendendoli individuabili ed esattamente calcolabili”.
Nel caso in esame, mancava la copertura, elemento fondamentale per definire la volumetria dell’immobile.
Per gli appellanti, potevano invece sussistere tutti i presupposti necessari e sufficienti per l’applicazione dell’art. 43 della l. n. 47 del 1985, in quanto:
- l’opera è rimasta non ultimata per effetto di provvedimenti amministrativi (sequestro dell’immobile);
- il manufatto anche se non ultimato aveva una fisionomia tale da rendere facilmente e nettamente riconoscibile il disegno progettuale e la volumetria edilizia;
- la realizzazione della copertura era un lavoro necessario per assicurare la funzionalità della struttura costruita e per l’ultimazione dell’opera così come prevista nel progetto e non un’integrazione estranea al progetto stesso.
Ultimazione delle opere: i chiarimenti del Consiglio di Stato
Nel giudicare la questione, il Consiglio ha ribadito che, per orientamento costante, “Ai sensi degli artt. 43 comma 5, l. 28 febbraio 1985, n. 47 e 39, l. 23 dicembre 1994, n. 724, in sede di condono straordinario è consentito il completamento delle sole opere già funzionalmente definite alla data ultima del 31 dicembre 1993, che si realizza quando si è in presenza di uno stato di avanzamento nella realizzazione del manufatto tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione; in altri termini, l'organismo edilizio deve aver assunto una sua forma stabile ed una adeguata consistenza plano volumetrica, come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione al rustico, ossia intelaiatura, copertura e muri di tompagno”.
Di riflesso, dato che le opere mancavano di copertura al 31 dicembre 1993, non potevano essere considerate “funzionalmente definite” anche se "non ultimate”.
Per altro, spiegano i giudici di Palazzo Spada, è necessario distinguere tra:
- tempus dell’abuso (che la l. n. 47 del 1985 fa risalire espressamente alla “data del primo provvedimento amministrativo”);
- momento di “ultimazione” delle opere, che è quello rilevante ai fini della concessione del richiesto condono e che rimonta al momento in cui è raggiunta la c.d. ultimazione al rustico.
Sempre ai sensi dell’art. 43 della l. n. 47/1985, “Il tempo di commissione dell'abuso e di riferimento per la determinazione dell'oblazione sarà individuato nella data del primo provvedimento amministrativo o giurisdizionale”. Ne discende che la data del sequestro (luglio 1993), di prima sospensione delle opere (settembre 1993), e di sequestro dell’immobile e del materiale per la posa in opera del solaio di copertura (dicembre 1993) rilevano solo per individuare il momento di commissione dell’illecito edilizio. Va per altro negato il condono edilizio in caso di domanda dolosamente infedele, che presenti inesattezze ed omissioni tali da configurare un'opera completamente diversa per dimensione, natura e modalità dell'abuso dall'esistente, purché tale difformità risulti preordinata a trarre in errore il Comune su elementi essenziali dell'abuso.
Ampliamento volumetrico non è ristrutturazione edilizia
Infine, un intervento del genere, per la sua entità e le sue concrete caratteristiche, non integra una “ristrutturazione edilizia” ma una nuova costruzione.
È stato, in proposito, chiarito che “Sussiste una ristrutturazione edilizia nel caso in cui viene modificato un immobile già esistente, ma nel rispetto delle caratteristiche fondamentali dello stesso, nel caso in cui invece il manufatto sia stato totalmente trasformato, non solo con un apprezzabile aumento volumetrico, ma anche mediante un disegno sagomale con connotati alquanto diversi da quelli della struttura originaria, l'intervento deve essere considerato quale intervento di nuova costruzione”
È ovvio quindi che nel caso in esame le opere realizzate senza titolo non rappresentino una ristrutturazione in quanto hanno determinato un significativo ampliamento volumetrico del manufatto originario: dalla qualificazione dell’intervento edilizio de quo come di nuova costruzione consegue l’applicabilità del disposto dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) e quindi e non della meno gravosa disciplina di cui all’art. 33 del medesimo T.U.
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