Condono edilizio: la Cassazione sui limiti volumetrici

Per il rilascio della sanatoria non è possibile considerare le singole parti di un immobile invece dell'intero complesso edificatorio

di Redazione tecnica - 08/01/2025

La presentazione di plurime istanze di sanatoria relative a distinte unità immobiliari, ciascuna di volumetria non eccedente i 750 mc, in caso di nuova costruzione di volumetria inferiore a 3.000 mc, la cui realizzazione sia ascrivibile ad un unico soggetto, costituisce artificioso frazionamento della domanda.

Non è infatti ammissibile il condono edilizio di una costruzione interamente abusiva quando la richiesta di sanatoria sia stata presentata frazionando l'unità immobiliare in plurimi interventi edilizi, ma il fine ultimo è la realizzazione di un manufatto unico.

Condono edilizio e frazionamento artificioso: no a elusione dei limiti volumetrici

Ritorna su un granitico principio giurisprudenziale la Corte di Cassazione, con la sentenza del 31 dicembre 2024, n. 47639, con la quale ha ritenuto inammissibile il ricorso per la a sospensione e/o la revoca dell'ordine di demolizione di opere abusive relativo a una costruzione sulla quale erano state presentate quattro distinte domande di condono.

Secondo i ricorrenti, i permessi rilasciati dal Comune sarebbero stati legittimi in quanto le domande di sanatoria erano state presentate da soggetti diversi e in riferimento a unità immobiliari preesistenti sin dall'origine quali corpi di fabbrica distinti con specifici subalterni. Inoltre avevano anche eliminato il volume ritenuto eccedente.

Condono edilizio: i limiti di cubatura previsti dalla normativa

Nel valutare la questione, la Cassazione ha preliminarmente ricordato che l’applicazione del condono previsto dall'art. 32, comma 25, del D.L. n. 269/2003, convertito in legge n. 326/2003 (c.d. Terzo Condono Edilizio), esige, tra l'altro, il concomitante rispetto di un duplice limite di cubatura:

  • 750 mc. in relazione a ciascuna unità abitativa;
  • 3.000 mc. in relazione all'intera costruzione.

A tal proposito, la stessa Corte ha costantemente interpretato l'art. 39, comma 1, Iegge n. 724/1994 (c.d. Secondo Condono Edilizio) nel senso che ogni edificio deve intendersi come un complesso unitario che fa capo ad un unico soggetto legittimato e le istanze di oblazione eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono essere riferite a una unica concessione in sanatoria, che riguarda quest'ultimo nella sua totalità.

La ratio della norma è infatti di non consentire l'elusione del limite legale di consistenza dell'opera per la concedibilità della sanatoria, attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell'intero complesso edificatorio.

Ne discende che non è ammissibile il condono edilizio di una costruzione interamente abusiva, quando la richiesta di sanatoria sia presentata frazionando l'unità immobiliare in plurimi interventi edilizi, in quanto è illecito l'espediente di denunciare fittiziamente la realizzazione di plurime opere non collegate tra loro, quando invece le stesse risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono a esso funzionali, sì da costituire una costruzione unica.

Il riferimento oggettivo all'unicità della nuova costruzione interamente abusiva impedisce, perciò, che il limite di 750 metri cubi possa essere aggirato mediante il frazionamento delle sue singole parti, perché, diversamente, si eluderebbe la finalità della legge che è quella di sanare abusi modesti.

Immobile in comproprietà o con diversi proprietari: la legittimità delle istanze

In altri termini, spiegano gli ermellini, nel caso di bene immobile in comproprietà, per il quale non sia stata operata alcuna divisione né costituito un distinto diritto di proprietà su una porzione dello stesso, la presentazione di distinte istanze di sanatoria da parte di diversi soggetti legittimati in forza degli artt. 6 e 38, comma 5, della legge n. 47/1985, richiamati dall'art. 39, comma 6, della legge n. 724/1994, costituisce un frazionamento artificioso della domanda, da imputare ad un unico centro sostanziale di interesse onde non consentire l'elusione del limite legale di volumetria dell'opera per la concedibilità della sanatoria.

Qualora, invece, per effetto della suddivisione della costruzione o della limitazione quantitativa del titolo abilitante la presentazione della domanda di sanatoria, vi siano più soggetti legittimati, è possibile proporre istanze separate relative ad un medesimo immobile.

Di conseguenza, va riaffermato il principio giusto il quale, in tema di condono edilizio ai sensi della legge n. 326/2003, la presentazione di plurime istanze di sanatoria relative a distinte unità immobiliari, ciascuna di volumetria non eccedente i 750 mc., costituisce artificioso frazionamento della domanda, in caso di nuova costruzione di volumetria inferiore a 3.000 mc., la cui realizzazione sia ascrivibile ad un unico soggetto.

Nel caso in esame, il Tribunale ha correttamente evidenziato he la presentazione di quattro istanze di condono, relative a distinte unità immobiliari, da parte di 4 diversi soggetti, costituisce un artificioso frazionamento della domanda. Ne deriva anche che il Comune, compiendo una valutazione parcellizzata dell'unico manufatto complessivamente considerato, sono stati evidentemente emessi i permessi al di fuori dei presupposti di legge, in quanto, il limite di 750 mc. risulta ampiamente superato.

No a interventi successivi alla richiesta di condono

Non solo: è emerso, anche che in due delle unità immobiliari sono state realizzate due piccole verandine: opere che se realizzate in epoca successiva al 31 dicembre 1993, termine ultimo per la presentazione dell'istanza di condono, hanno aggiunto altri volumi illegittimamente edificati a quelli, parimenti illegittimi, indicati nelle istanze di condono.

In entrambi i casi, l'ulteriore realizzazione di tali manufatti avrebbe imposto all'autorità preposta al rilascio del condono il rigetto della domanda, a nulla rilevando, in senso contrario che i ricorrenti abbiano in seguito ripristinato l'immobile onde renderlo conforme allo stato dei luoghi indicato nelle richieste di condono.

A tal proposito, i giudici hanno ribadito il principio secondo cui la volumetria eccedente i limiti previsti dall'art. 39 della legge n. 724/1994, ai fini della condonabilità delle opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993 non è suscettibile di riduzione mediante demolizione eseguita successivamente allo spirare di detto termine, integrando la stessa un intervento, oltre che di per sé abusivo, volto ad eludere la disciplina di legge.

Invero, il chiaro tenore della norma consente la sanatoria delle sole opere ultimate in possesso, alla data indicata del 31 dicembre 1993, i requisiti previsti, non essendo ovviamente consentito intervenire successivamente sugli immobili abusivi per renderli conformi alla disciplina in parola.

Le uniche possibilità di successivo intervento, non incompatibili con la sanatoria, sono quelle previste:

  • dall'art. 35, comma 14, I. 28 febbraio 1985, n. 47 (che disciplina modesti lavori di rifinitura delle opere abusive);
  • dall'art. 43, quinto comma, della stessa legge, che consente le opere strettamente necessarie a rendere gli edifici funzionali qualora i manufatti non siano stati completati per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali,

Una conclusione del genere non è affatto smentita dalla circolare ministeriale n. 2699 del 7 dicembre 2005, con la quale è stata riconosciuta la condonabilità delle nuove costruzioni a destinazione non residenziale, esclusa invece dall'art. 32 d.l. n. 269 del 2003.

Questa circolare, concludono i giudici di Piazza Cavour, rappresentando un atto interno alla P.A., si risolve in un mero ausilio interpretativo e non esplica alcun effetto vincolante non solo per il giudice penale, ma anche per gli stessi destinatari, e, quindi, non può comunque porsi in contrasto con l'evidenza del dato normativo.

 

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