Condono edilizio: niente sanatoria per la tettoia in zona vincolata
Il Consiglio di Stato ritorna sui concetti di natura pertinenziale e sanabilità delle opere in zona sottoposta a vincolo paesaggistico
Come ben sappiamo – e come ha avuto modo anche di sottolineare recentemente il Ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini – i tribunali amministrativi sono saturi di ricorsi e contenziosi relativi ad abusi edilizi. Ma se il titolare del dicastero ha parlato di una nuova possibile sanatoria per "piccoli abusi" (bisogna poi capire cosa includa questa definizione, perché fatta la legge, trovato l’inganno), sicuramente il caso affrontato dal Consiglio di Stato con la sentenza del 25 settembre 2023, n. 8504 non sarebbe rientrato in questa fattispecie.
Tettoia abusiva: no al condono in zona vincolata
La questione riguarda una tettoia di circa 20 mq, realizzata in area sottoposta a vincolo e sulla quale la proprietaria ha affermato di avere presentato istanza di condono nel 1986, insieme a una richiest di lavori di manutenzione straordinaria assentiti dal Comune e ultimati nel 2007. Nel 2012, l’Amministrazione ha ingiunto la demolizione della tettoia, provvedimento che è stato impugnato sulla base del presupposto che l’istanza di condono non sarebbe stata presa in considerazione, che la tettoia era preesistente e che sarebbe soltanto riattata, in costanza dei lavori di manutenzione autorizzati e in pendenza anche di domanda di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).
Sempre secondo la ricorrente, la tettoia avrebbe comunque avuto natura pertinenziale, non rientrando nel regime delle nuove opere di cui all’art. 10 del d.P.R. 380/2001 dello stesso T.U. Edilizia, che prevede il permesso di costruire.
Il TAR aveva già respinto il ricorso, assumendo che:
- la sospensione dei procedimenti sanzionatori edilizi, in pendenza dell’istanza di condono, presupponeva l’effettiva coincidenza tra l’oggetto della domanda di condono e le opere in contestazione;
- la relativa prova gravava sulla ricorrente, la quale non aveva allegato agli atti una copia dell’istanza di condono;
- l’abuso non risultava condonabile, in quanto l’ordinanza impugnata riteneva accertato che le opere contestate erano state realizzate dopo il 31 marzo 2003, mentre la ricorrente si era limitata a dichiarare, senza però dimostrare, che la tettoia in questione fosse preesistente all’istanza di condono del 1986;
- l’opera non aveva natura pertinenziale, nella misura in cui la stessa realizzava una trasformazione urbanistica edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi e con dimensioni tali da non potersi ritenere più assorbite, o ricomprese in quanto accessorie, nell’edificio principale;
- le opere edilizie abusive realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico si consideravano eseguite in totale difformità dal titolo, anche laddove costituenti pertinenze o volumi tecnici, sicché la demolizione era, comunque, doverosa ove non fosse stata ottenuta alcuna previa autorizzazione paesistica.
Istanza di sanatoria e data ultimazione opere: l'onere della prova
L’orientamento del giudice di primo grado è stato confermato anche in appello. Spiega il Consiglio che, secondo consolidato orientamento in materia, perché si possa produrre la sospensione dell’effetto dell’ordinanza di demolizione, è necessario presentare una formale istanza di condono o di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, mentre in questo caso non è stato provato che detta istanza sia stata presentata. Né si può trasferire l’onere della prova in capo all’Amministrazione procedente dato che esso discende, ‘in linea di principio, dagli artt. 63, comma 1, e 64, comma 1, c.p.a. in forza dei quali spetta al ricorrente l’onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità’. In particolare, l’omessa allegazione agli atti di copia dell’istanza non ha consentito al giudice di valutare l’‘identità tra abuso oggetto di richiesta di condono e quello sanzionato con il provvedimento di demolizione impugnato’.
Inoltre, sottolinea Palazzo Spada, nell’ordinanza di demolizione era stata specificata la non condonabilità del manufatto, ritenendo accertato che le opere in contestazione sono state realizzate dopo il 31 marzo 2003, pertanto fuori dai limiti temporali di utilizzo per l’ammissione alla sanatoria delle leggi n. 47 del 1985, n. 724 del 1996 e n. 326 del 2003.
Anche qui, il consolidato orientamento del Consiglio ribadisce che "in tema di abusi edilizi, l’onere di provare l’ultimazione del manufatto alla data utile per beneficiare del condono spetta all’interessato, poiché il periodo di realizzazione delle opere costituisce elemento fattuale che rientra nella disponibilità della parte che invoca la sussistenza del presupposto temporale per usufruirne’. Infatti, di regola, è il richiedente il titolo in sanatoria ‘il soggetto avente disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l’epoca di realizzazione del manufatto".
Qualificazione tettoia: pertinenza o nuova costruzione?
Da sottolineare anche che l’ordinanza impugnata è stata adottata ai sensi dell’art. 27 del d.P.R. n. 380/2001, in ragione del vincolo paesistico insistente sul territorio. Nessun difetto di motivazione del provvedimento impugnato può essere denunciato, posto che chiaramente viene precisato che ‘la realizzazione di una tettoia, indipendentemente dalla sua eventuale natura pertinenziale, è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui realizza l’inserimento di nuovi elementi ed impianti ed quindi subordinata al regime del permesso a costruire, ai sensi dell’art. 10, comma primo, lettera c), dello stesso d.P.R. laddove comporti una modifica della sagoma o del prospetto del fabbricato cui inerisce’.
Le dimensioni e il posizionamento della tettoia escludono la pertinenzialità della struttura, posto che, secondo la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato, la nozione di pertinenza, sul piano urbanistico ed edilizio, è limitata ai soli interventi accessori di modesta entità e privi di autonomia funzionale.
In questo caso il rilevante aumento di superficie di copertura e l’oggettiva possibilità, considerate le dimensioni, di sfruttamento autonomo del manufatto impediscono di considerarlo pertinenza in senso urbanistico - edilizio.
Del resto, in casi simili lo stesso Consiglio ha potuto precisare che:
- non sussiste la natura pertinenziale nel caso in cui sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata un’opera qualsiasi, quale può essere ad esempio una tettoia, che ne alteri la sagoma;
- la realizzazione di una tettoia va configurata sotto il profilo urbanistico come intervento di nuova costruzione, richiedendo quindi il permesso di costruire, allorché difetti dei requisiti richiesti per le pertinenze e per gli interventi precari.
Data la riconducibilità agli interventi di ‘nuova costruzione’ ai sensi dell’art. 3, comma e) del D.P.R. n. 380 del 2001, l’intervento non rientra tra quelli di manutenzione straordinaria. L’operato del Comune è quindi legittimo: a fronte di opere abusive, l’ordine di demolizione è un atto dovuto e vincolato e non necessita di motivazione aggiuntiva rispetto all’indicazione dei presupposti di fatto e all’individuazione e qualificazione degli abusi edilizi, né sussiste un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il mero decorso del tempo non sana.
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SentenzaIL NOTIZIOMETRO