Condono edilizio su opere eseguite in base a titolo annullato: chiarimenti dal Consiglio di Stato
È la natura dell’intervento, divenuto privo di autorizzazione, a consentirne la classificazione in termini di abuso edilizio e a rendere possibile o meno la sanatoria in base alla disiciplina di riferimento
L’annullamento di un permesso di costruire, in linea generale, non costituisce un'ipotesi autonoma di abuso edilizio, bensì è l’evento che rende una data opera, originariamente legittimata dal permesso stesso, successivamente abusiva.
Di conseguenza, sarà la natura dell’intervento, divenuto privo di autorizzazione, a consentirne la classificazione in termini di abuso edilizio (ampliamento, nuova costruzione, difformità ecc.) e, quindi, a rendere possibile, o meno, la sanatoria in base a quanto disciplinato dalla specifica normativa di riferimento.
Ciò significa che va escluso che, a seguito dell’annullamento del titolo edilizio, si sia in presenza di una figura di abuso edilizio a sé stante, rimanendo ferma la possibilità di presentare una domanda di condono edilizio, anche ai sensi del D.L. n. 269/2003, che all'art. 32 richiama le norme relative ai condoni precedenti che ammettevano tale possibilità.
Terzo condono edilizio: ok alla richiesta anche con titolo edilizio annullato
Sono questi i passaggi cardine dell’interessante sentenza del Consiglio di Stato del 19 luglio 2024, n. 6472, con cui Palazzo Spada ha accolto l’appello di un’amministrazione comunale per la riforma della sentenza del TAR che aveva annullato le concessioni edilizie in sanatoria relative a18 unità immobiliari di un complesso residenziale.
Secondo il TAR, il Comune aveva agito in violazione dell’art. 32 del D.L. n. 269/2003 (c.d. Terzo Condono Edilizio); aveva quindi applicato il principio di diritto affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4/2009, che ha risolto il dubbio interpretativo circa la condonabilità, ai sensi dell’art. 32 D.L. n. 269/2003, delle opere realizzate in forza di titolo edilizio oggetto di annullamento.
Per il tribunale amministrativo i provvedimenti sarebbero stati illegittimi, tanto di quelli formatisi per silentium, quanto di quello espresso di condono, non essendo contemplata dalla normativa del cd. terzo condono edilizio la possibilità di sanare gli abusi realizzati in presenza di concessione edilizia poi annullata in sede giurisdizionale.
Una tesi non condivisa da Palazzo Spada, che invece ha ritenuto legittimi l’operato del Comune e il rilascio dei provvedimenti di sanatoria: il giudice di prime cure non avrebbe applicato correttamente i principi espressi dall’Adunanza Plenaria n. 4/2009, che non riguardava la generica possibilità di avvalersi del terzo condono per le opere realizzate in base a concessione annullata, ma se queste erano “sanabili senza limiti di cubatura, in base a quanto disposto dall’art. 39 della legge n. 724 del 1994”.
Permesso di costruire annullato non è ipotesi autonoma di abuso edilizio
Spiega il Consiglio che in linea generale, l’annullamento di un permesso di costruire non costituisce una ipotesi autonoma di abuso edilizio, bensì l’evento che rende una data opera, originariamente legittimata dal permesso stesso, successivamente abusiva.
Di conseguenza, sarà la natura dell’intervento, divenuto privo di autorizzazione, a consentirne la classificazione in termini di abuso edilizio (ampliamento, nuova costruzione, difformità ecc.) e, quindi, a rendere possibile, o meno, la sanatoria in base a quanto disciplinato dalla specifica normativa di riferimento.
In altri termini, va escluso che, a seguito dell’annullamento del titolo edilizio, si sia in presenza di una figura di abuso edilizio a sé stante, da cui la possibilità di presentare una domanda di condono dopo l’annullamento del titolo, stanti i richiami contenuti nell’32 del D.L. n. 269/2003 alle norme relative ai condoni precedenti che ammettevano tale possibilità.
Condono edilizio: le previsioni su immobili con titoli annullati o decaduti
In linea generale, infatti, la legge n. 47 del 1985 (c.d. ‘‘primo’’ condono edilizio) prevede:
- all’art. 31 che possono conseguire la concessione o l’autorizzazione in sanatoria i proprietari di costruzioni e di altre opere che risultino essere state ultimate entro la data del 1° ottobre 1983 ed eseguite, tra l’altro, in base a licenza o concessione edilizia o autorizzazione annullata, decaduta o comunque divenuta inefficace, ovvero nei cui confronti sia in corso procedimento di annullamento o di declaratoria di decadenza in sede giudiziaria o amministrativa;
- all’art. 35, comma 2, al quale deve parimenti riconoscersi un carattere generale per quanto concerne gli aspetti procedimentali delle pratiche di condono, che la domanda sia presentata, in caso di annullamento successivo alla entrata in vigore della legge, entro centoventi giorni dalla comunicazione del relativo provvedimento di annullamento. La finalità perseguita dal legislatore, pertanto, è quella di parificare, ai fini della sanabilità ed anche con la ‘‘remissione in termini’’, le opere divenute abusive in un secondo momento con quelle che tali erano già al momento dell’entrata in vigore della legge.
Inoltre l’articolo 32 della legge n. 724/1994, comma 28, prevede che si applicano, ove compatibili, le disposizioni di cui la legge 28 febbraio 1985, n. 47.
L’Adunanza Plenaria si è dunque limitata ad escludere, in riferimento al cd. terzo condono, l’eccezione prevista nella legge del Secondo Condono Edilizio ove, con deroga espressa, si è stabilito che i limiti ‘‘ordinari’’ di cubatura ivi previsti non si applicano in caso di annullamento della concessione edilizia (“I predetti limiti di cubatura non trovano applicazione nel caso di annullamento della concessione edilizia”), così creando una sorta di sanabilità ‘‘privilegiata’’ rispetto ai procedimenti ordinari ed una regola, del tutto eccezionale ed in quanto tale di stretta applicazione, rispetto a quella generale della parificazione degli abusi edilizi in questione.
Solo quest’ultima deroga “eccezionale”, come in più parti affermato nella sentenza dell’Adunanza Plenaria, rappresenterebbe, quindi, una tipica espressione di discrezionalità legislativa e non una regola di carattere generale, e dunque non applicabile in riferimento al cd. terzo condono.
Ok alla sanatoria se immobile rispetta le condizioni per la condonabilità
Nel caso in esame, il Comune ha precisato che le domande di condono dovevano ritenersi entro i limiti di cubatura previsti dal cd. terzo condono, sicché i relativi provvedimenti risultano sotto tale profilo legittimi, con lavori ultimati nel termine previsto dalla normativa (31 marzo 2003).
Inoltre il Consiglio ricorda che per il concetto di edificio ultimato, non rileva quanto attestato con il certificato di agibilità, bensì l’art. 31, comma 3, della l. 47/1985, i cui principi debbono ritenersi valevoli anche per la disciplina dei condoni successivi, in base al quale, per quel che rileva in questa sede: “si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e ultimata la copertura”.
Nel caso di specie, il rispetto del termine di ultimazione dell’opera al rustico al 31 marzo 2003, ai fini della condonabilità dell’opera, risulta provata da diverse circostanze, quali verbali di dichiarazione e documentazione fotografica.
Alla luce di tali elementi, conclude Palazzo Spada, si può ragionevolmente affermare che l’opera fosse ultimata nei termini stabiliti per la fruibilità del condono, per il quale, come detto, è sufficiente il completamento dell’opera al rustico: “termine con il quale si intende che essa è completa di tutte le strutture essenziali, necessariamente comprensiva della copertura e delle tamponature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili”.
L’appello è stato quindi accolto, confermando la legittimità dei provvedimenti di condono degli immobili sia quelli espressi che per quelli formati con silenzio assenso.
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