Condono edilizio: quando si forma il silenzio-assenso
Perché si formi il silenzio-assenso non è necessario solo rispettare il termine per l’ultimazione dei lavori, ma anche di tutti gli altri presupposti previsti dalla norma
In tema di condono edilizio, il silenzio-assenso non può formarsi solo in virtù dell’inutile decorso del termine previsto per la risposta dell’Amministrazione.
È fondamentale infatti che risultino rispettati tutti i presupposti sostanziali, soggettivi e oggettivi nonché temporali, ai quali è subordinato il rilascio del condono, non essendo possibile il perfezionamento del titolo tacito qualora mancassero i requisiti richiesti per l’accoglimento dell’istanza.
Silenzio-assenso sul condono: i requisiti fondamentali
A spiegarlo è il Consiglio di Stato con la sentenza del 10 luglio 2024, n. 6196, con cui è stato rigettato il ricorso proposto contro il diniego dell’istanza di condono edilizio e il relativo ordine di demolizione disposto per l’avvenuto mutamento della destinazione d’uso di un deposito agricolo e la realizzazione di un soppalco in difformità dalla concessione edilizia rilasciata, all’interno di un’area sottoposta a vincoli ai sensi del d.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).
Si fa presente, innanzitutto, che il Terzo Condono Edilizio (DL n. 269/2003, convertito nella Legge n. 326/2003) richiede obbligatoriamente che gli interventi siano stati conclusi entro la data del 31 marzo 2003.
Nello specifico la norma dispone che, per tale data, l’immobile debba essere stato completato al rustico; tuttavia, il rispetto del termine temporale non è sufficiente affinché possa perfezionarsi il silenzio-assenso.
Perché si formi il silenzio-assenso su un’istanza di terzo condono, infatti, è necessario il rispetto del termine per l’ultimazione dei lavori, ma anche di tutti gli altri presupposti sostanziali, soggettivi e oggettivi previsti dalla norma.
Difatti, si spiega che: “il titolo abilitativo tacito può formarsi per effetto del silenzio assenso soltanto ove la domanda sia conforme al relativo modello legale e, quindi, sia in grado di comprovare che ricorrano tutte le condizioni previste per il suo accoglimento, inclusa la tempestiva ultimazione dell'opera abusiva.”
Frazionamento artificioso in area vincolata: sì alla demolizione
Nel caso in esame, si rileva non solo il mancato rispetto del termine temporale imposto per l’ultimazione delle opere abusive, ma anche di ulteriori criteri fondamentali per la formazione del silenzio-assenso.
I giudici di Palazzo Spada confermano pertanto la validità sia del rifiuto della sanatoria che dell’ordinanza di demolizione delle opere, in quanto, si specifica, non è possibile scomporre gli interventi unitari in diverse istanze al fine di evitare la sanzione demolitoria.
Difatti, il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio non deriva da ciascun intervento a sé stante, ma dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni. L’opera quindi va identificata con riferimento all’immobile o al complesso immobiliare, proprio al fine di evitare qualsiasi intento di frazionamento artificioso.
Il rispetto di tale principio risulta sempre obbligatorio e, in particolar modo, quando gli interventi abusivi siano stati realizzati all’interno di un’area sottoposta a vincolo, in questo caso idrogeologico.
Si precisa infine che la possibilità di applicare la cd. fiscalizzazione dell’abuso di cui all’art. 33 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) - ovvero la sostituzione della sanzione demolitoria con quella pecuniaria - dev’essere valutata dall’Amministrazione nella fase esecutiva della demolizione, che è una fase successiva ed autonoma rispetto all’emissione dell’ordine di demolizione in sé. Il ricorso va respinto.
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