Correttivi al Codice dei Contratti: interviene Confindustria

L'audizione in VIII Commissione ha messo in luce alcuni aspetti ancora irrisolti del d.Lgs. n. 36/2023. Ecco le possibili soluzioni

di Redazione tecnica - 12/09/2024

Continuano le audizioni informali nell’ambito dei possibili correttivi da apportare al nuovo Codice dei Contratti Pubblici (d.Lgs. n. 36/2023) attraverso le Risoluzioni nn. 7-00220, 7-00229, 7-00234 e 7-00247 di cui si sta discutendo in VIII Commissione alla Camera.

Codice dei Contratti Pubblici: le osservazioni di Confindustria

Di particolare interesse quella di Confindustria, in un intervento che ha anche sintetizzato le posizioni espresse dall’ANCE e da OICE su alcuni aspetti riconosciuti come critici nell’applicazione concreta del Codice Appalti 2023.

Confindustria ha sottolineato l’onere del nuovo Codice nel supportare un cambio di passo nel settore degli appalti pubblici, creando le condizioni per una maggiore capacità di spesa delle risorse, ma anche una capacità di investimento adeguata ad accompagnare la transizione tecnologica, digitale e sostenibile del Paese.

Facendo un bilancio sul primo anno del nuovo quadro normativo introdotto dal d.Lg. n. 36/2023, è evidente che la riforma attuata con il nuovo Codice potrà essere effettivamente realizzata soltanto se si conseguono due obiettivi fondamentali:

  • la completa implementazione della digitalizzazione;
  •  l’effettiva qualificazione e, conseguentemente, la consistente riduzione del numero delle stazioni appaltanti.

Da questo punto di vista i  primi mesi di applicazione della normativa hanno chiaramente dimostrato che per digitalizzare effettivamente gli appalti sarà necessario che si crei una cultura del «dato», che non è solo produrre e proteggere i dati, ma è soprattutto renderli ineroperabili, e quindi condivisibili tra le amministrazioni.

Il tutto in un panorama eterogeneo, in cui le banche dati delle PA presentano un diverso grado di maturità e di prontezza per la digitalizzazione, a cui va aggiunta la più o meno generale diffidenza da parte delle stesse amministrazioni titolari delle banche dati, che porta con sé il rischio di compromettere in modo serio il processo automatico di acquisizione dei dati attraverso l’interoperabilità delle stesse.

Per quanto attiene l’aspetto contenutistico, per Confindustria la riforma del Codice rappresenta sicuramente un autorevole intervento, che allinea la normativa del settore ai più recenti indirizzi della giurisprudenza amministrativa e della normativa europea. Permangono però alcune criticità, che minano il perseguimento degli obiettivi espressi nei tre “super principi” sui quali si incardina il nuovo Codice appalti: il principio di risultato, di fiducia e di accesso al mercato. Da ui la necessità di un intervento con delle modifiche ad hoc, mirate a una migliore gestione degli investimenti pubblici, nonché una maggiore apertura del mercato e tutela della concorrenza.

Proprio su questo punto per Confindustria e guardando alla Relazione sul mercato degli appalti pubblici nell’UE che la Corte dei Conti europea ha rilasciato nel 2023, c’è un notevole gap da recuperare con un livello della concorrenza sceso nel 2011-2021. Tra i nodi sub judice vanno annoverati: la scarsa partecipazione delle PMI alle gare, la complessità delle procedure di appalto, il predominio dell’offerta più bassa tra i criteri di aggiudicazione.

Inoltre, se andrebbero apportate delle distinzioni maggiormente significative nella regolamentazione dei lavori da quella di servizi e forniture, sotto un profilo più tecnico e di dettaglio, andrebbe valutato il superamento di ulteriori profili critici riscontrati nel quadro regolatorio.

Le proposte di modifica al Codice dei Contratti

Affidamenti diretti

Sottolinea Confindustria come l’innalzamento della soglia per gli affidamenti diretti abbia determinato una forte riduzione del mercato ad evidenza pubblica e, pertanto, si propone di abbassare la soglia per gli affidamenti diretti degli appalti di servizi e forniture da 140 mila euro (soglia attualmente fissata a 143 mila) a 100 mila euro e da 140 mila euro a 75 mila euro per i servizi di ingegneria e architettura, al fine di garantire una maggiore tutela della concorrenza e della trasparenza degli affidamenti.

In modo particolare, per quanto riguarda i servizi di ingegneria e architettura, si segnala che con l’applicazione della disciplina dettata prima dal DL n. 76/2020 e poi dal DL n. 77/2021, si è registrato un calo del numero dei bandi di gara di oltre un terzo. A questo va aggiunto anche un effetto di frazionamento artificioso degli incarichi di valore oltre 215.000 euro (soglia UE attualmente salita a 221 mila).

Inoltre, per quanto riguarda gli affidamenti sotto i 140mila euro, essi rappresentano ormai quasi l’80% dei contratti affidati. La scelta del legislatore di portare a regime la disciplina emergenziale indicata dal D.L. N. 76/2020 e D.L. n. 77/2021, ha ridotto, quindi, notevolmente la concorrenza nell’ambito degli affidamenti di servizi, ampliando discrezionalità di scelta nelle stazioni appaltanti, in danno dei giovani professionisti e di tutti gli operatori economici che invece si erano attrezzati per competere nelle gare ad evidenza pubblica, con effetti – in ultima analisi – anche sulla qualità dei servizi resi.

Requisiti di partecipazione

La disciplina transitoria che prevede esclusivamente due requisiti (fatturato globale e servizi analoghi) per la qualificazione alla gara e impone la limitazione temporale a tre anni ai fini della dimostrazione degli stessi è in contrasto con i principi di massimo accesso alle gare e di tutela delle PMI, richiamati dallo stesso Codice, e penalizza settori nei quali la concorrenza era più garantita, come quello dei servizi professionali che, prima della riforma codicistica, faceva riferimento al decennio.

Secondo Confindustria è necessario fissare a 10 anni il limite temporale per la comprova dei requisiti di partecipazione di capacità tecnico-professionale e ai migliori 3 anni dell’ultimo quinquennio quelli di capacità tecnico-economica.

Inoltre, l’Allegato II.12 parte V andrebbe integrato con disposizioni di dettaglio volte a definire un quadro regolatorio ad hoc per l’affidamento di servizi di ingegneria e architettura servizi, coinvolgendo eventualmente anche ANAC nella redazione di linee guida,

Offerte anormalmente basse

Confindustria segnala la mancata valorizzazione dei Criteri Ambientali Minimi (CAM) nell’ambito della disciplina delle offerte anormalmente basse (art. 110).

Questa normativa prevede che, in presenza di un’offerta anormalmente bassa, le stazioni appaltanti richiedano all’impresa di fornire spiegazioni sul prezzo o sui costi proposti per determinate voci. Tuttavia, non sono ammesse giustificazioni per i trattamenti salariali minimi e per gli oneri di sicurezza, con la conseguenza che queste due voci sono escluse dai ribassi indicati dall’operatore economico per aggiudicarsi la gara.

Sarebbe auspicabile aggiungere a tali voci inderogabili in sede di offerta anche i costi della sostenibilità ambientale, con l’obiettivo di valorizzare le norme che impegnano le aziende ad investire in sostenibilità ambientale e che dispongono la valorizzazione economica dei CAM nella gara.

Equo compenso

Per Confindustria l’applicabilità della normativa sull’equo compenso (Legge n. 49/2023) alle prestazioni professionali oggetto di gare pubbliche è incerta.

Occorre chiarire che l’ambito di applicazione della Legge 49/2023 è estraneo a quello del Codice dei contratti pubblici e ai rapporti fra prestatori di servizi e stazioni appaltanti, fermo restando che l’equo compenso viene richiamato dal nuovo Codice come elemento che la stazione appaltante deve considerare nello svolgimento della propria attività: “I contratti di appalto pubblico, in particolare di servizi professionali affidabili secondo le disposizioni codicistiche, non sono quindi soggetti alla disciplina di dettaglio della Legge 49/2023 che riguarda contratti d’opera professionali – e non appalti di servizi – peraltro oggetto di convenzionamento”.

Riduzione della garanzia: certificazioni e marchi rilevanti

Infine, si propone un’integrazione dell’Allegato II.13 del provvedimento, dedicato a certificazioni e marchi rilevanti ai fini della riduzione della garanzia di cui all’articolo 106, comma 8.

In particolare, nella versione attuale non risulta inserito, quale certificazione di prodotto sul contenuto di riciclato, lo schema Plastica Seconda Vita, pur trattandosi di una certificazione riconosciuta da Accredia sin dal 2016 e presente, pertanto, nella banca dati dell’ente unico di accreditamento e riguardante oltre 8.000 prodotti certificati, realizzati da 253 aziende licenziatarie (su 284 aziende aderenti all’Istituto).

Sottolinea Confindustria che la gran parte di questi prodotti afferisce a categorie di acquisto interessate dall’applicazione dei Criteri Ambientali Minimi (imballaggi, prodotti per edilizia, prodotti per l’igiene urbana, arredi, ecc.), nei cui decreti Plastica Seconda Vita è esplicitamente citato come mezzo di verifica della conformità. Pertanto, l’emendamento inserisce Plastica Seconda Vita nell’Allegato sopra richiamato.

L’assenza di tale certificazione, la più diffusa in Italia in relazione al contenuto di riciclato, arrecherebbe un danno enorme alle aziende che da anni sono impegnate nel rendere i propri prodotti sempre più sostenibili, e che improvvisamente si vedrebbero private della possibilità di far valere la certificazione ottenuta.

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