Decadenza del permesso di costruire: l'invio di una CILA non basta a impedirla
L’effettivo inizio dei lavori deve essere valutato con specifico e puntuale riferimento all’entità e alle dimensioni dell’intervento edilizio così come programmato e autorizzato
“Non dire gatto se non l’hai nel sacco” è un vecchio adagio che potrebbe andar bene per tutti quelli che riescono ad ottenere un permesso di costruire e che per motivazioni varie, non avviano i lavori entro il termine previsto dal Testo Unico Edilizia. E a impedire la decadenza del titolo edilizio non basta un semplice invio della CILA, quando non è accompagnata dalla concreta realizzazione delle opere.
Decadenza del permesso di costruire: il termine per l'avvio dei lavori
Secondo questi presupposti, un’Amministrazione comunale ha legittimamente disposto l’invalidità di una CILA, specificando che il permesso di costruire era decaduto, secondo quanto previsto dall’art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).
Un permesso di costruire non è per sempre, come si rileva dal dato testuale della norma: “Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari”.
Inizio dei lavori va valutato in maniera concreta e puntuale
Nel rigettare il ricorso, il TAR ha specificato con la sentenza n. 706/2023, che l’effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non in via generale ed astratta, ma con specifico e puntuale riferimento all’entità e alle dimensioni dell’intervento edilizio così come programmato e autorizzato, in modo da evitare che il termine per l’avvio dell’edificazione possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici e, quindi, non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare del permesso di procedere alla costruzione.
La giurisprudenza ritiene, pertanto, che i lavori di costruzione del manufatto assentito si possano reputare effettivamente iniziati quando siano di consistenza tale da comprovare l’effettiva volontà del beneficiario dello stesso di realizzare quanto da lui progettato.
In particolare, non sono ritenuti sufficienti a comprovare un serio animus aedificandi:
- la recinzione e la pulizia dell’area di intervento;
- l’allestimento e messa in sicurezza del cantiere, lo sbancamento e il livellamento del terreno;
- la realizzazione di minime opere di scavo e di sottofondazione;
- limitate opere di fondazione.
In questo caso, il ricorrente si è limitato ad affermare genericamente in atti di aver eseguito “opere di espianto di fusti arborei e allo scavo delle fondazioni dell’edificio con annesse opere complementari” senza peraltro fornire alcun riscontro probatorio.
Sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale prevalente, le opere di estirpazione delle piante nel cantiere e di mero scavo delle fondazioni non sono ritenute attività sufficienti a comprovare un effettivo “inizio dei lavori”, rilevante ai sensi dell’art. 15 d.P.R. n. 380/2001.
Invio della CILA non può impedire la decadenza del permesso di costruire
Inoltre non è reputato sufficiente ad impedire la decadenza del permesso a costruire, per l’inutile decorso del termine annuale di cui all’art. 15 d.P.R. n. 380 / 2001, il semplice invio di una comunicazione di inizio dei lavori (CILA) non accompagnata dalla concreta realizzazione delle opere.
Per altro, in questo caso il ricorrente ha inviato una comunicazione di inizio dei lavori che non poteva nemmeno essere ritenuta pienamente efficace, in quanto priva della documentazione richiesta dal Comune sull’avvenuto deposito del progetto presso l’ufficio regionale competente (ex Genio Civile).
Come previsto dall’art. 93, d.P.R. n. 380/2001, nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità, “chiunque intenda procedere a costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni, è tenuto a darne preavviso scritto allo sportello unico, che provvede a trasmetterne copia al competente ufficio tecnico della regione, [...] Alla domanda deve essere allegato il progetto, in doppio esemplare e debitamente firmato da un ingegnere, architetto, geometra o perito edile iscritto nell'albo, nei limiti delle rispettive competenze, nonché dal direttore dei lavori”.
E, prosegue l’art. 94, “nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità all'uopo indicate nei decreti di cui all'articolo 83, non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione del competente ufficio tecnico della regione”.
L’autorizzazione sismica, pertanto, è sempre necessaria per poter legittimamente iniziare i lavori di realizzazione dell’opera assentita dal permesso a costruire.
Di conseguenza è legittimo il provvedimento di decadenza del pdc dopo un anno senza avvio dei lavori.
Una volta ritenuto decaduto il permesso a costruire, conclude il TAR, non può evidentemente essere concessa alcuna proroga o variante a un titolo non più efficace.
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