Decreto Salva Casa: ecco la relazione illustrativa

Dal Consiglio dei Ministri la relazione illustrativa allegata allo schema di Decreto-Legge recante “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica” (Decreto Salva Casa)

di Redazione tecnica - 25/05/2024

Art. 1 (Modifiche al Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 - Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia)

La disposizione in esame prevede delle modifiche puntuali al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (di seguito “TUE”) con la finalità, inter alia,  di semplificare la disciplina sul rilascio della documentazione amministrativa inerente allo stato legittimo degli immobili, favorire i cambiamenti di destinazione d’uso ove possibile, stabilire previsioni in materia di tolleranze in relazione alle piccole incongruenze tra il titolo edilizio e lo stato di fatto relative ad interventi realizzati prima dell’entrata in vigore della disposizione in esame, superare l’attuale disciplina sulla doppia conformità relativamente alle parziali difformità.

In particolare, al comma 1, lettera a), sono introdotte modifiche all’articolo 6, comma 1, del TUE finalizzate ad ampliare le categorie di interventi che possono essere eseguiti in edilizia libera, ovverosia quegli interventi che non richiedono alcun titolo abilitativo, né permesso e/o comunicazione, in quanto non eccessivamente impattanti.

Trattasi, a titolo esemplificativo, di interventi di manutenzione ordinaria, di installazione di pompe di calore < 12 kw, di rimozione di barriere architettoniche e di installazione di vetrate panoramiche amovibili (VEPA) installate su logge e balconi.

Sul punto, la disposizione in esame apporta modifiche alla lettera b-bis), al fine di chiarire che tra gli interventi di edilizia libera rientrino anche la realizzazione e installazione di vetrate panoramiche amovibili e totalmente trasparenti (VEPA) dirette ad assolvere a funzioni temporanee di protezione dagli agenti atmosferici, miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche, riduzione delle dispersioni termiche, parziale impermeabilizzazione dalle acque meteoriche non solo dei balconi o di logge ma anche di porticati rientranti all’interno dell’edificio.

Ciò, fermo restando che (i) tali elementi non configurino spazi stabilmente chiusi con conseguente variazione di volumi e di superfici, come definiti dal regolamento edilizio-tipo, che possano generare nuova volumetria o comportare il mutamento della destinazione d'uso dell'immobile anche da superficie accessoria a superficie utile; e (ii) tali strutture debbano favorire una naturale microaerazione che consenta la circolazione di un costante flusso di arieggiamento a garanzia della salubrità dei vani interni domestici ed avere caratteristiche tecnico-costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l'impatto visivo e l'ingombro apparente e da non modificare le preesistenti linee architettoniche.

Pertanto, la previsione di cui alla lettera a), numero 1), consente di chiarire l’ambito di applicazione della disposizione e si pone in linea con l’obiettivo della disposizione novellata che mira al miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche e alla riduzione delle dispersioni termiche.

Inoltre, il comma 1, lettera a), numero 2), introduce una nuova lettera b-ter), volta ad includere una nuova fattispecie di intervento di edilizia libera, recependo l’orientamento giurisprudenziale prevalente in materia. Trattasi in particolare di opere di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici la cui struttura principale sia costituita da tende, tende da sole, tende da esterno, tende a pergola con telo retrattile anche impermeabile, tende a pergola con elementi di protezione solare mobili o regolabili, e che sia addossata o annessa agli immobili o alle unità immobiliari, anche con strutture fisse necessarie al sostegno e all’estensione dell’opera. La disposizione precisa che le opere in oggetto non possono determinare la creazione di un organismo edilizio rilevante e, comunque, di uno spazio stabilmente chiuso, con conseguente variazione di volumi e di superfici, devono avere caratteristiche tecnico-costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l'impatto visivo e l'ingombro apparente e devono armonizzarsi alle preesistenti linee architettoniche. .

Al comma 1, lettera b) sono previste modifiche alla disciplina relativa alla documentazione amministrativa inerente allo stato legittimo degli immobili contenuta all’articolo 9-bis del TUE.

Al riguardo, si rammenta che l’articolo 9-bis in vigore prevede che lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto originariamente la costruzione, ovvero che ne ha legittimato la stessa, e da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali.

Le modifiche proposte sono volte a consentire che lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare sia stabilito, alternativamente: (i) o dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione (o che ne ha legittimato la stessa); (ii) o da quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o l’intera unità immobiliare (a condizione che tale titolo sia stato rilasciato all’esito di un procedimento che abbia verificato l’esistenza del titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa), integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali.

Con particolare riferimento al punto (ii), si intende valorizzare l’affidamento del privato nei casi in cui gli uffici tecnici comunali abbiano nel passato “espressamente accertato” parziali difformità rispetto al titolo edilizio, ma non le abbiano considerate rilevanti (procedendo alla contestazione dell’abuso). Pertanto, è ragionevole disporre che l’amministrazione, in sede di accertamento dello stato legittimo, non possa contestare una difformità che nel procedimento relativo all’ultimo intervento edilizio abbia espressamente considerato tollerabile emanando un provvedimento favorevole al privato.

Tali modifiche consentono di semplificare il riconoscimento dello stato legittimo dell’immobile, soprattutto nei casi in cui si è in presenza di difformità formali, stabilendo che lo stesso possa essere comprovato alternativamente in base al titolo originario che ha permesso la sua costruzione ovvero da quello conseguito in seguito ad eventuali interventi costruttivi sul medesimo, in tal modo superando le difficoltà, riscontrate a legislazione vigente, nel comprovare lo stato legittimo degli edifici, soprattutto in riferimento agli immobili di passata realizzazione per i quali i titoli abilitativi risalgono ad epoche risalenti nel tempo, ciò anche in considerazione del fatto che l’età media degli immobili italiani è tra le più alte in Europa (dalle cifre emerse dalla decima edizione del Coima Real Estate Forum risulta che gli immobili con oltre 60 anni di vita in Italia sono il 40% mentre nella UE appena il 32%).

Per le medesime finalità, si prevede, inoltre, che, previo pagamento delle relative sanzioni o oblazioni, siano ricompresi tra i predetti titoli abilitativi anche quelli rilasciati o formati in applicazione delle previsioni contenute nel citato testo unico sull’edilizia concernenti i casi di accertamento di conformità (articoli 36 e 36-bis del TUE) ovvero i casi di interventi eseguiti in base a permesso annullato (articolo 38 del TUE).

Infine, si stabilisce che ai fini della determinazione dello stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare concorre il pagamento delle sanzioni previste: (i) per gli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità (articolo 33 del TUE); (ii) per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire (articolo 34 del TUE); (iii) per gli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità (articolo 37 del TUE); e (iv) per gli interventi eseguiti in base a permesso annullato (articolo 38 del TUE), e la dichiarazione di cui all’articolo 34-bis concernente le tolleranze costruttive.

Restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 9, comma 1-bis, secondo cui per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Le predette disposizioni si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia.

Al comma 1, lettera c), si prevedono delle modifiche all’articolo 23-ter in materia mutamento d'uso urbanisticamente rilevante volte ad agevolare i cambi di destinazione d’uso di singole unità immobiliari senza opere, specialmente all’interno delle aree urbane, prevedendo, in particolare, il principio dell’indifferenza funzionale tra destinazioni d’uso omogenee, così come individuate dalla legge statale o regionale.

Sul punto, occorre preliminarmente specificare che con “unità immobiliari” si intende “l’elemento minimo inventariabile che ha autonomia reddituale e funzionale, esistente su una particella nell’ambito del Catasto dei Fabbricati, ferma restando l’ipotesi di fabbricati costituiti da un’unica unità immobiliare”.

Nel merito, sono stati inseriti ulteriori quattro commi dopo il comma 1 (commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e1-quinquies) finalizzati a favorire la già menzionata possibilità di mutamento della destinazione d’uso. In particolare, è sempre consentito il mutamento della destinazione d’uso della singola unità immobiliare e senza opere, nel rispetto delle normative di settore e ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni, nei seguenti casi:

  • all’interno della stessa categoria funzionale(1-bis);
  • tra le categorie funzionali relative alla categoria: residenziale; turistico-ricettiva; produttiva e direzionale e commerciale (articolo 23-ter, comma 1, lettere a), a-bis), b) e c)) di una singola unità immobiliare in immobili ricompresi nelle zone A), B) e C) di cui all’articolo 2 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (comma 1-ter).

In relazione a tale ultima fattispecie, il comma 1-quater specifica ulteriori condizioni. In particolare, si precisa che per le singole unità immobiliari, il mutamento di destinazione d’uso è sempre consentito qualora il mutamento finalizzato alla forma di utilizzo dell’unità immobiliare sia conforme a quella prevalente nelle altre unità immobiliari presenti nell’immobile. Inoltre, si dispone che il mutamento non è assoggettato all’obbligo di reperimento di ulteriori aree per servizi di interesse generale, previsto dal decreto del Ministro dei lavori pubblici n. 1444 del 2 aprile 1968 e dalle disposizioni di legge regionale, né al vincolo della dotazione minima obbligatoria dei parcheggi previsto dalla legge 17 agosto 1942, n. 1150.

La disposizione precisa, altresì, che per le unità immobiliari poste al primo piano fuori terra il passaggio alla destinazione residenziale è ammessa nei soli casi espressamente previsti dal piano urbanistico e dal regolamento edilizio.

Quanto ai profili procedurali, il nuovo comma 1-quinquies stabilisce che, ferme restando le leggi regionali più favorevoli, i cambi di destinazione d’uso di cui ai commi 1-bis e 1-ter sono soggetti alla segnalazione certificata di inizio attività di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Trattandosi di disposizioni applicabili al mutamento delle destinazioni d’uso senza opere, restano ferme le disposizioni del TUE nel caso in cui siano previste opere edilizie.

Per finalità di coordinamento con il nuovo comma 1-bis introdotto dalla novella in esame, si dispongono modifiche volte a chiarire che la disposizione di cui al comma 3 (la quale, nella sua formulazione originaria, prevede che “[omissis] il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito”) è circoscritto alle ipotesi di mutamento della destinazione d’uso di un intero immobile.

Alla lettera d) si modifica l’articolo 31 del testo unico edilizio in tema di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali.

Nel dettaglio, in primo luogo, si prevede che l’opera acquisita possa essere demolita, previo parere delle amministrazioni competenti ai sensi dell’articolo 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, purché la demolizione non contrasti, oltre che con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico, anche con rilevanti interessi culturali e paesaggistici.

In secondo luogo, al fine di introdurre una procedura che consenta ai Comuni la rimozione delle opere abusive e la successiva valorizzazione del bene o sedime acquisito nel patrimonio del Comune, si prevede che, nel caso in cui l'opera non contrasti con rilevanti interessi culturali, paesaggistici, urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico, il Comune (previo parere delle amministrazioni competenti ai sensi dell’articolo 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241) possa provvedere all’alienazione del bene e dell’area di sedime (che ai sensi del comma 3 sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune), condizionando sospensivamente il contratto alla effettiva rimozione da parte dell’acquirente delle opere abusive.

Su punto, occorre precisare che:

  • l’alienazione debba avvenire nel rispetto delle Disposizioni in materia di alienazione degli immobili di proprietà pubblica di cui all’articolo 12, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127;
  • alla procedura di alienazione non può partecipare il responsabile dell’abuso.

Il valore venale dell’immobile è determinato dall’agenzia del territorio tenendo conto dei costi per la rimozione delle opere abusive. Va da sé che all’esito della procedura di alienazione e della effettiva rimozione da parte dell’acquirente delle opere abusive, quest’ultimo risulterà proprietario dell’area di sedime.

Tale disposizione mira, in primo luogo, ad incentivare l’attività repressiva dei Comuni di immobili abusivi. Si è, infatti, constatato nella prassi che, nonostante la mancata ottemperanza all’ordinanza di demolizione o rimessione in pristino, i Comuni tardino ad adottare i successivi provvedimenti, costituiti dall’accertamento dell’inottemperanza e dal provvedimento dichiarativo di acquisizione al patrimonio comunale. In secondo luogo, questa disposizione è funzionale ad assicurare la demolizione di opere abusive, consentendo – nei casi in cui non vi sia contrasto con gli interessi culturali, paesaggistici, ambientali, urbanistici, e di tutela idrogeologica – di alienare il bene ad un privato, il quale provvederà alla rimozione dell’abuso.

Come si avrà modo di specificare nel proseguo, l’articolo 1, comma 2, prevede che le somme incamerate dal Comune sono, comunque, utilizzate, nella misura pari ad un terzo, per la demolizione delle opere abusive presenti sul territorio comunale, fatta salva la ripetizione delle spese nei confronti del responsabile, e per la realizzazione di opere e di interventi di rigenerazione urbana, di riqualificazione di aree urbane degradate, di recupero e valorizzazione di immobili e spazi urbani dismessi o in via di dismissione e per iniziative economiche, sociali, culturali o di recupero ambientale. Il meccanismo individuato risulta in linea con i principi affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 140 del 2018, che ha evidenziato lo stretto legame tra acquisizione al patrimonio e demolizione dell’opera abusiva.

Alla lettera e) si prevedono modifiche all’articolo 34-bis in materia di tolleranze costruttive ed esecutive.

Preliminarmente occorre ricordare che l’articolo 34-bis disciplina:

  • al comma 1, le cd. tolleranze costruttive, i.e. lo scostamento dai parametri autorizzati di misura talmente contenuta (pari al 2%) da non potere essere considerati un illecito edilizio;
  • al comma 2, le cd. tolleranze esecutive (o di cantiere), i.e. le irregolarità geometriche, le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, la diversa collocazione di impianti e opere interne eseguite durante i lavori per l’attuazione di titoli abilitativi edilizi.

Alla luce del quadro diazi delineato, si prevede che, in relazione agli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024, le tolleranze costruttive sono riparametrate in misura inversamente proporzionale alla superficie utile. Pertanto, minore è la superficie utile maggiore è il limite consentito percentualmente.

Nel merito, si stabiliscono, nel nuovo comma 1-bis introdotto dalla disposizione in esame, diversi valori in relazione alle tolleranze entro le quali ritenere per legge che il mancato rispetto dell'altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisca violazione edilizia.

Tale previsione si rende necessaria perché consente di tenere conto, nell’ambito della definizione della tolleranza, di discostamenti minimi rispetto alle caratteristiche costruttive previste nei titoli abilitativi che, se considerate su superficie di modesta entità, possono impattare, seppur minime, per più del 2 per cento del totale. Pertanto, la disposizione prevede che, in relazione ai predetti interventi realizzanti entro il citato termine, il mancato rispetto dell'altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituiscono violazione edilizia se contenuto entro i seguenti limiti:

a) del 2 per cento delle misure previste dal titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie utile superiore ai 500 metri quadrati,

b) del 3 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie utile compresa tra i 300 e i 500 metri quadrati;

c) del 4 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie utile compresa tra i 100 e i 300 metri quadrati;

d) del 5 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie utile inferiore ai 100 metri quadrati.

Con riferimento a tale previsione si specifica, nel nuovo comma 1-ter, che, ai fini del computo della superficie utile, si dovrà tenere conto della sola superficie assentita con il titolo edilizio che ha abilitato la realizzazione dell’intervento, al netto di eventuali frazionamenti dell’immobile o dell’unità immobiliare eseguiti nel corso del tempo. Tale previsione è finalizzata ad evitare possibili condotte di frazionamento meramente strumentali ad ottenere l’applicazione di un regime più favorevole.

Sul punto appare opportuno anticipare il contenuto dell’articolo 3, comma 1, del decreto-legge in esame, il quale prevede una disposizione di coordinamento in materia di tolleranze costruttive in relazione ad interventi con rilevanza paesaggistica.

Al riguardo, occorre premettere che il decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017, n. 31, individua gli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata.

In particolare, l’articolo 2, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017, n. 31, prevede che non sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica gli interventi e le opere di cui all’Allegato «A». Tra questi, rileva la lettera A.31 che include tra le opere non soggette ad autorizzazione le “opere ed interventi edilizi eseguiti in variante a progetti autorizzati ai fini paesaggistici che non eccedano il due per cento delle misure progettuali quanto ad altezza, distacchi, cubatura, superficie coperta o traslazioni dell'area di sedime”.

Pertanto, al fine di allineare le disposizioni in materia di tolleranze costruttive, l’articolo 3, comma 1, del presente decreto-legge precisa che gli interventi di cui all’articolo 34-bis, comma 1-bis, del TUE, realizzati entro il 24 maggio 2024, sono soggetti al regime degli interventi di cui all’articolo 2, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017, n. 31.

In altre parole, non sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024 che rientrino nei limiti delle tolleranze costruttive riparametrati ai sensi del nuovo comma 1-bis dell’articolo 34-bis.

Con riferimento, invece, alle tolleranze esecutive, il nuovo comma 2-bis del citato articolo 34-bis prevede che gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024 costituiscono tolleranze esecutive (in aggiunta a quelle già previste dal comma 2) nei seguenti casi:

  • minore dimensionamento dell'edificio;
  • mancata realizzazione di elementi architettonici non strutturali;
  • irregolarità geometriche e modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, irregolarità esecutive di muri esterni ed interni e difforme ubicazione delle aperture interne;
  • difforme esecuzione di opere rientranti nella nozione di manutenzione ordinaria;
  • errori progettuali corretti in cantiere e errori materiali di rappresentazione progettuale delle opere.

Al comma 3 dell’articolo 34-bis si apportano modifiche di coordinamento in funzione di quelle introdotte in precedenza.

La disposizione del decreto-legge in esame introduce, inoltre, un nuovo comma 3-bis all’articolo 34-bis. In particolare, si specifica che per le unità immobiliari ubicate nelle zone sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità, il tecnico dovrà attestare altresì che gli interventi rispettino le prescrizioni di cui alla sezione I del Capo IV della Parte II del TUE in materia di normativa per le costruzioni in zone sismiche. Tale attestazione, corredata dalla documentazione tecnica sull’intervento predisposta sulla base del contenuto minimo richiesto dall’articolo 93, comma 3, è trasmessa allo sportello unico per l’acquisizione dell’autorizzazione dell’ufficio tecnico regionale secondo le disposizioni di cui all’articolo 94, ovvero per l’esercizio delle modalità di controllo previsto dalle regioni ai sensi dell’articolo 94-bis, comma 5, per le difformità che costituiscano interventi di minore rilevanza o privi di rilevanza di cui comma alle lettere b) e c) del comma 1 del medesimo articolo 94-bis. Il tecnico abilitato allega alla dichiarazione di cui al comma 3 l’autorizzazione di cui all’articolo 94, comma 2 o l’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento rilasciata ai sensi dell’articolo 94, comma 2-bis ovvero, in caso di difformità che costituiscono interventi di minore rilevanza o privi di rilevanza, una dichiarazione asseverata circa il decorso del termine del procedimento per i controlli regionali in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase e di esito negativo dei controlli stessi.

Infine, al comma 3-ter si stabilisce che l’applicazione delle disposizioni contenute nell’articolo non può comportare limitazione dei diritti dei terzi. A tal fine il tecnico abilitato dovrà verificare la sussistenza di possibili limitazioni dei diritti dei terzi, ed indicare le attività necessarie per eliminare tali limitazioni nonché presentare i relativi titoli edilizi, ove necessari. In caso di dichiarazione falsa o mendace si applicano le sanzioni penali, comprese quelle previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. Si chiarisce come norma di chiusura che la formazione dei suddetti titoli e la concreta esecuzione dei relativi interventi è condizione necessaria per la redazione della dichiarazione prevista dal comma 3.

In relazione alla disciplina relativa all’accertamento in conformità, l’articolo 1, comma 1, lettere f) e g), del decreto-legge in esame intervengono operando una distinzione tra le diverse fattispecie patologiche.

Al riguardo, occorre preliminarmente ricordare il contenuto delle stesse (che, a seconda dei casi, costituiscono mere irregolarità o veri e propri abusi), graduate in base alla gravità della violazione:

  • PARZIALI DIFFORMITÀ (articoli 34 e 37 del TUE), trattasi di difformità comprese tra:
    • i limiti delle tolleranze costruttive (articolo 34-bis); e
    • i limiti delle variazioni essenziali (che sono definiti dalla legislazione regionale)
  • VARIAZIONI ESSENZIALI (articolo 32 del TUE), trattasi di intervento completamente diverso - per caratteristiche costruttive o destinazione d'uso - rispetto a quanto oggetto di permesso e se vi sono variazioni essenziali (i cui criteri sono individuati all'articolo 32 del TUE e declinati dalla legislazione regionale);
  • ASSENZA DI TITOLO (articoli 31 e 33 del TUE), titolo inesistente (mai chiesto o mai rilasciato) o un titolo esistente, ma privo di efficacia, sia in origine, sia a seguito di revoca del comune o provvedimento del giudice amministrativo;
  • TOTALE DIFFORMITÀ (articoli 31 e 33 del TUE), la realizzazione di manufatti completamente diversi per caratteristiche tipologiche, planivolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso, e per l'esecuzione di volumi oltre i limiti indicati nel progetto e autonomamente utilizzabili.

Ciò premesso, le disposizioni di cui all’articolo 1, lettere f) e g) intervengono con misure semplificatorie esclusivamente in relazione alle fattispecie patologiche di minor gravità, i.e. le parziali difformità.

L’attuale formulazione dell’articolo 36 del TUE disciplina l’accertamento di conformità, il quale costituisce lo strumento tipico per ricondurre alla legalità gli abusi edilizi dovuti all’assenza del titolo abilitativo (i.e. assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 23, comma 01, o in difformità da essa).

Ed invero, la caratteristica fondamentale di tale sanatoria consiste nel fatto che essa può essere chiesta e ottenuta soltanto qualora sussista il requisito della cd. “doppia conformità” dell’opera sia alla normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della realizzazione sia a quella in vigore al momento della presentazione dell’istanza ai sensi dell’articolo 36. Tale requisito rende difficilmente applicabile questo istituto giuridico, a causa del fatto che raramente un edificio riesce a rispettare integralmente tutte le disposizioni edilizie e urbanistiche vigenti sia al momento di realizzazione dell’abuso sia oggi che al momento di presentazione della domanda di sanatoria. Tra i principali ostacoli alla sanatoria degli immobili vi sono, ad esempio, le sopravvenute disposizioni del decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, specialmente in ragione di alcune interpretazioni datene in giurisprudenza nonché delle previsioni in materia di distanza delle costruzioni dai confini previste dagli strumenti urbanistici comunali. Di conseguenza, ci sono moltissimi manufatti, in genere costruiti molti decenni fa, che sono in una sorta di limbo: formalmente irregolari, non suscettibili di interventi di riqualificazione, incommerciabili, epperò nessun Comune assume alcuna iniziativa sanzionatoria sul piano amministrativo, dato il lungo periodo di tempo trascorso e talora la non conoscenza del loro stato, mentre la responsabilità penale è ampiamente prescritta. Un enorme capitale immobilizzato, improduttivo, spesso in degrado.

Alla luce di quanto sopra rappresentato, nel dettaglio, la lettera f) apporta modifiche all’articolo 36 in materia di accertamento di conformità con la finalità di limitare la relativa applicazione alle ipotesi di:

  • assenza, totale difformità o variazioni essenziali rispetto al permesso di costruire di cui all’articolo 31;
  • assenza, totale difformità o variazioni essenziali rispetto alla segnalazione certificata inizio attività prevista dall’articolo 23, comma 01.

In tali ipotesi resta quindi confermata la disciplina vigente dell’accertamento di conformità ai sensi della “doppia conformità” dell’articolo 36.

Di converso, la lettera g), introduce un nuovo articolo 36-bis volto al superamento dell’istituto della doppia conformità limitatamente alle ipotesi di parziali difformità degli interventi dal permesso di costruire o dalla segnalazione certificata di inizio attività di cui all’articolo 34, nonché alle ipotesi di assenza o difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività di cui all’articolo 37.

Nel merito, si prevede che in caso di interventi realizzati nelle ipotesi dianzi elencate, fino alla scadenza dei termini previsti per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire (di cui all’articolo 34, comma 1 - termine fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell'ufficio) e comunque fino all'irrogazione delle relative sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, può ottenere il permesso di costruire e presentare la segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria se l'intervento risulti conforme:

  • alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda, disciplina che meglio può rappresentare gli interessi attuali del territorio; e
  • ai requisiti prescritti dalla disciplina edilizia vigente al momento della realizzazione dell’intervento.

Si prevede – al comma 2 del nuovo articolo 36-bis - che il permesso di costruire possa essere rilasciato dallo Sportello unico edilizia. In tale procedura si prevede che in sede di esame delle richieste di permesso, lo Sportello unico edilizia possa condizionare il rilascio del provvedimento alla realizzazione, da parte del richiedente, degli interventi edilizi necessari ad assicurare l'osservanza della normativa tecnica di settore relativa ai requisiti di sicurezza, igiene, salubrità, efficienza energetica degli edifici e degli impianti negli stessi installati, superamento delle barriere architettoniche e la rimozione delle opere che non possono essere sanate. A tal fine, lo Sportello unico edilizia individua tra gli interventi citati le misure da prescrivere, le quali costituiscono condizioni per la formazione del titolo.

Con particolare riferimento agli interventi con segnalazione certificata di inizio attività, lo Sportello unico edilizia individua le misure da prescrivere ai sensi dell’articolo 19, comma 3, secondo, terzo e quarto periodo della legge 7 agosto 1990, n. 241, che costituiscono condizioni per la formazione del titolo.

La disposizione precisa, inoltre, che la richiesta del permesso di costruire o la segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria sono accompagnate dalla dichiarazione del professionista abilitato che attesti le necessarie conformità (per la conformità edilizia, la dichiarazione è resa con riferimento alle norme tecniche vigenti al momento della realizzazione dell’intervento).

Sul punto, si precisa che l’epoca di realizzazione dell’intervento è provata mediante la documentazione di cui all’articolo 9-bis, comma 1-bis, secondo e terzo periodo, introdotti dal presente decreto-legge. Nei casi in cui sia impossibile accertare l’epoca di realizzazione dell’intervento mediante la documentazione, il tecnico incaricato attesta la data di realizzazione con propria dichiarazione e sotto la sua responsabilità. Al riguardo, si precisa che, in caso di dichiarazione falsa o mendace, si applicano le sanzioni penali, comprese quelle previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

Con particolare riferimento ai profili procedurali, il comma 6 del nuovo articolo 36-bis stabilisce che:

  • sulla richiesta di permesso in sanatoria, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con provvedimento motivato entro quarantacinque giorni, decorsi i quali la richiesta si intende accolta;
  • per le segnalazioni di inizio attività, si applica il termine di trenta giorni di cui all’articolo 19, comma 6-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241;
  • in caso di immobili soggetti a vincolo paesaggistico, i predetti termini sono sospesi fino alla definizione del procedimento di compatibilità paesaggistica di seguito illustrato.

Decorsi i predetti termini, eventuali successive determinazioni del competente ufficio comunale sono inefficaci. Tali termini sono interrotti qualora l’ufficio rappresenti esigenze istruttorie, motivate e formulate in modo puntuale nei termini stessi, e ricomincia a decorrere dalla ricezione degli elementi istruttori.

In caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti per la sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica le sanzioni del TUE.

In relazione agli interventi eseguiti su immobili soggetti a vincolo paesaggistico, il dirigente o il responsabile dell’ufficio richiede all’autorità preposta alla gestione del vincolo apposito parere vincolante in merito all'accertamento della compatibilità paesaggistica dell’intervento. L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. Se i pareri non sono resi entro i termini di cui al secondo periodo, il dirigente o responsabile dell’ufficio provvede autonomamente.

Infine, si prevede che il rilascio del permesso e la segnalazione certificata di inizio attività, in sanatoria sono subordinati al pagamento di una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione degli interventi, e comunque in misura compresa tra 1.032 euro e 30.987 euro.

Al riguardo, appare opportuno specificare che tale range sanzionatorio è stato determinato sulla base dei parametri minimi (516 euro) e massimi (5.164) previsti per la sanatoria di cui all’articolo 37, comma 4, che si applica agli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività che risultino conformi alla disciplina edilizia e urbanistica vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento, sia al momento della presentazione della domanda.

Tenuto conto dei caratteri distintivi dell’accertamento di conformità di cui all’articolo 36-bis (superamento della doppia conforme e applicazione anche alle parziali difformità da permesso di costruire), il limite minimo è stato raddoppiato e il limite massimo è stato incrementato di sei volte.

Ciò posto, la disposizione precisa che nelle ipotesi di cui al comma 4 (difformità dall’autorizzazione paesaggistica), si applica altresì una sanzione equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L'importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima e in caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui all’art. 167, comma 1, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. 

Alla lettera h), in coordinamento con le modifiche apportate in materia di accertamento della conformità si provvede ad apportare alcune modifiche all’articolo 37. Le modifiche riguardano la rubrica, dove è soppresso il riferimento all’accertamento in conformità, e la soppressione del comma 4 ove è prevista la disciplina di regolarizzazione degli interventi che risultino conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione degli stessi, sia al momento della presentazione della domanda (doppia conformità). In forza della disposizione di cui al comma 6, la nuova disciplina dell’articolo 36-bis si applicherà anche alle ipotesi regolate dall’articolo 37.

Infine, il comma 2 dell’articolo in esame detta disposizioni in merito alla destinazione di una quota pari ad un terzo delle entrate derivanti dall’applicazione delle sanzioni di cui al nuovo 31, comma, 5, ultimo periodo, dall’articolo 36-bis, comma 5, primo periodo del TUE, come modificato dal presente decreto. Tale quota di entrate dovrà essere destinata dai Comuni ad interventi di rimozione delle opere abusive presenti sul territorio comunale ovvero ad interventi di rigenerazione urbana, di riqualificazione di aree urbane degradate, di recupero e valorizzazione di immobili e spazi urbani dismessi o in via di dismissione e per iniziative economiche, sociali, culturali o di recupero ambientale.

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