Decreto Salva Casa e repressione degli abusi edilizi: una nuova complicazione?

Dal Decreto Salva Casa una importante modifica all’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) relativo alla demolizione degli interventi in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali

di Vito Antonio Bonanno - 27/05/2024

Lo schema di decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri il 23 maggio scorso contenente “disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica”, ribattezzato dallo stesso Ministero delle Infrastrutture “Decreto Salva-Casa”, contiene anche una disposizione in materia di procedimento di repressione dell’abusivismo edilizio, intervenendo sul comma 5 dell’art. 31 del DPR n. 380/2001 che disciplina la fase finale del procedimento sanzionatorio e, segnatamente, quella della demolizione d’ufficio dell’immobile ormai acquisito al patrimonio comunale, come conseguenza dell’inottemperanza da parte dell’autore dell’abuso all’ingiunzione di demolizione entro il termine di 90 giorni.

Il procedimento sanzionatorio degli abusi edilizi

Recentemente, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di stato, con sentenza 11 ottobre 2023, n. 16, ha fornito una ricostruzione sistematica del complesso procedimento sanzionatorio, che risulta strutturato in quattro fasi:

  1. la prima fase si apre con l’accertamento istruttorio sull’esistenza dell’illecito urbanistico e si conclude con una ordinanza dirigenziale che ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la demolizione entro 90 giorni dalla notifica, indicando anche l’area che viene acquisita di diritto in caso di inottemperanza;
  2. la seconda fase che si attiva una volta trascorso il termine di 90 giorni o quello maggiore oggetto di proroga che il destinatario dell’ordinanza di demolizione può chiedere sussistendo ragioni oggettive che rendano impossibile il completamento della demolizione nel termine assegnato. Tale fase si sostanzia in un sopralluogo, del quale viene redatto un verbale alla presenza della polizia municipale, con cui si accerta l’avvenuta esecuzione o meno dell’ordinanza di demolizione. In caso positivo, il procedimento si chiude; in caso negativo, l’amministrazione prende atto che si è attuata l’acquisizione ope legis al patrimonio comunale del bene abusivo descritto nell’ordinanza ed eventualmente delle aree meglio specificate nel verbale di accertamento; scaduto il termine di 90 giorni (o quello prorogato), l’autore dell’abuso non può più presentare l’istanza di accertamento di conformità, non essendo più proprietario del bene;
  3. la terza fase, si apre con la notifica all’interessato dell’accertamento dell’inottemperanza che costituisce titolo sia per l’immissione nel possesso del bene che per la trascrizione dell’acquisto a titolo originario nei registri immobiliari. Nonostante si tratti di una fattispecie di acquisto che opera di diritto come conseguenza della mancata demolizione nei termini, la giurisprudenza più recente ha ritenuto necessario per il completamento della fattispecie - sia pure con effetto dichiarativo - la notifica dell’accertamento dell’inottemperanza anche al fine di consentire al destinatario di tale sanzione afflittiva di poter far valere la non imputabilità della mancata ottemperanza nei termini; l’adozione di tale atto è, inoltre, fondamentale per poter procedere alla trascrizione dell’acquisizione del bene al patrimonio comunale, anche al fine di rendere pubblico nei rapporti con i terzi l’avvenuto trasferimento del diritto di proprietà e consolidarne gli effetti: è per tale ragione che il ritardo o l’omissione di tali adempimenti debbono ritenersi rilevanti sul piano della valutazione della performance del dirigente o funzionario responsabile, nonché sul piano disciplinare e della responsabilità amministrativo-contabile, alla stessa stregua dell’omissione dell’irrogazione - una volta accertata l’inottemperanza - della sanzione pecuniaria di cui al comma 4 bis dell’art. 31 del DPR 380/2001;
  4. infine, la quarta fase riguarda la gestione del bene entrato a far parte del patrimonio comunale (1). La scelta fondamentale del legislatore statale di fronte a illeciti urbanistici gravi è quella di procedere alla demolizione; la Corte costituzionale con la sentenza n. 140 del 2018 ha, infatti, affermato che rientra tra i principi fondamentali in materia di “governo del territorio” la regola della demolizione dei beni abusivi acquisiti al patrimonio comunale; in coerenza con tale assetto normativo e giurisprudenziale, la Corte di cassazione afferma che “l’esito finale ordinario dell’abuso edilizio è costituito dalla demolizione del manufatto abusivo” (Cfr. Cass. pe., III, 4.9.2023, n.36579), salvo il caso eccezionale in cui l’amministrazione ritenga di evitare la demolizione dell’immobile ormai entrato nel suo patrimonio per soddisfare interessi pubblici.

La novella normativa riguarda proprio questa parte eventuale ed eccezionale del procedimento sanzionatorio, che vede come protagonista il consiglio comunale.

La demolizione d’ufficio dell’abuso edilizio

Secondo l’ordinario iter del procedimento sanzionatorio, l’ufficio una volta acquisito il bene abusivo al patrimonio comunale deve procedere a demolirlo d’ufficio (2), anticipando le spese che poi debbono essere recuperate in capo al responsabile dell’abuso; l’acquisizione del bene non è finalizzata, infatti, nel disegno del legislatore, ad accrescere il patrimonio comunale ma a rimuovere un ostacolo alla sua demolizione, in vista della quale il comune deve immettersi nel possesso del bene (3). La giurisprudenza ritiene che anche dopo l’acquisizione del bene al patrimonio comunale l’autore dell’abuso possa ancora procedere a demolire a proprie spese il bene abusivo: ma, essendo ormai quest’ultimo transitato nel patrimonio comunale, deve ottenere la preventiva autorizzazione da parte del comune.

Alla demolizione si provvede, tuttavia, “salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico” (art. 31, comma 5, DPR 380/2001). Secondo la giurisprudenza, il legislatore ha attribuito al consiglio comunale un potere eccezionale di ingerirsi nella gestione del procedimento sanzionatorio finalizzato alla demolizione dei beni abusivi, per sottrarre alla demolizione un bene in funzione della tutela di prevalenti interessi pubblici. Stante la natura eccezionale della previsione normativa, la giurisprudenza della Corte di Cassazione (4) ha evidenziato che deve fornirsi una interpretazione piuttosto restrittiva circa la sussistenza in concreto dei presupposti che legittimano la deliberazione consiliare, in particolare:

  1. non può trattarsi di un mero atto di indirizzo che deleghi all’ufficio l’accertamento dei presupposti concreti previsti dalla legge;
  2. deve trattarsi di una decisione non generica riferita ad un gruppo o categoria di beni abusivi, ma , ma deve dare conto delle specifiche esigenze che giustificano la scelta di conservazione del singolo manufatto, specificamente individuato, motivando sulla esistenza di un interesse pubblico prevalente sul ripristino dell’assetto urbanistico violato ( non costituisce idonea motivazione il costo della demolizione, essendo necessario individuare un bisogno o interesse pubblico da soddisfare tramite l’utilizzo/destinazione del bene abusivo);
  3. il bene abusivo non deve contrastare con interessi urbanistici ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico; in presenza di vincoli, ovviamente non di inedificabilità assoluta, il parere dell’autorità preposta alla relativa tutela deve essere acquisito preventivamente.

La novella normativa si inserisce proprio su tale assetto normativo, modificando in modo sostanziale con l’art. 1, comma 1, lett. d) del decreto in corso di pubblicazione il richiamato comma 5 dell’art. 31.

TESTO VIGENTE

TESTO MODIFICATO DAL D.L. SALVA CASA

L'opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico

L'opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico, previo parere delle amministrazioni competenti ai sensi dell’articolo 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Nei casi in cui l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico, il Comune, previo parere delle amministrazioni competenti ai sensi dell’articolo 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, può, altresì, provvedere all’alienazione del bene e dell’area di sedime determinata ai sensi del comma 3, nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 12, comma 2 della legge 15 maggio 1997, n. 127, condizionando sospensivamente il contratto alla effettiva rimozione da parte dell’acquirente delle opere abusive. È preclusa la partecipazione del responsabile dell’abuso alla procedura di alienazione. Il valore venale dell’immobile è determinato dall’agenzia del territorio tenendo conto dei costi per la rimozione delle opere abusive

In pratica, il legislatore emergenziale, da un lato, inserisce tra gli interessi da ponderare al fine di poter ritenere prevalente quello al mantenimento del bene abusivo anche gli interessi culturali e paesaggistici, in coerenza con il novellato testo dell’art. 9 della Costituzione che ha rimarcato la specificità dell’interesse ambientale (che ha acquisito una valenza antropocentrica, nell’ottica della tutela della salute) rispetto ai beni culturali e al paesaggio, così aggravando l’onere motivazionale in capo al consiglio comunale nell’esercizio dell’eccezionale potere in esame; dall’altro, codifica l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale in presenza di vincoli, il parere deve essere richiesto preventivamente all’esercizio del potere, richiamando il silenzio assenso orizzontale.

Tuttavia, la parte maggiormente innovativa della norma, è quella che consente al consiglio comunale, in aggiunta alla facoltà di destinare il bene a specifiche finalità pubblicistiche, trasferendolo al patrimonio indisponibile del comune (5), anche di poter “provvedere all’alienazione del bene e dell’area di sedime condizionando sospensivamente il contratto alla effettiva rimozione da parte dell’acquirente delle opere abusive”.

Ad una prima lettura la norma appare conforme alla giurisprudenza costituzionale la quale, rimarcando la natura di principio fondamentale in materia di governo del territorio dell’obbligo di demolizione dell’immobile abusivo, ha dichiarato l’incostituzionalità di una legge regionale che prevedeva la possibilità di non demolire i beni abusivi acquisiti al patrimonio comunale, destinandoli alla locazione o alla alienazione anche a favore degli occupanti responsabili dell’abuso.

Con la novella, il legislatore esclude dal novero dei soggetti che possono partecipare alle procedure di evidenza pubblica per l’alienazione del bene e dell’area di sedime il responsabile dell’abuso, e condiziona sospensivamente la vendita alla demolizione del bene abusivo da parte dell’aggiudicatario acquirente, rendendo oggetto della vendita esclusivamente l’area di sedime e non già il bene abusivo, la cui effettiva demolizione costituisce il presupposto per il perfezionamento della fattispecie. Il legislatore, infatti, al fine di tutelare l’interesse pubblico di cui è portatore l’ente locale proprietario del bene abusivo ha previsto di subordinare l’efficacia dell’alienazione alla demolizione da parte dell’acquirente del bene abusivo edificato sull’area di sedime che costituisce il vero oggetto della compravendita: gli effetti giuridici del contratto di compravendita sono posticipati all’effettiva demolizione del bene abusivo.

La natura dell’operazione negoziale finalizzata ad alienare solo l’area di sedime emerge anche dall’ultima parte della norma in cui è previsto che il valore venale dell’immobile è determinato “tenendo conto dei costi per la rimozione del bene abusivo”, che debbono essere scomputati dal prezzo di vendita, in quanto se ne fa carico direttamente il privato acquirente. Il rischio è che il già complesso procedimento di demolizione degli immobili abusivi, nell’ambito del quale si moltiplicano le posizioni giustiziabili e si annidano difficoltà e complessità operative che ne inficiano l’efficienza (6), possa ulteriormente avvitarsi su adempimenti burocratici che, anche a prescindere dalle intenzioni degli operatori, favoriscano - a causa della povertà della regulatory quality che insidia la rule of law- la corruzione oggettiva, cioè il fenomeno del pervasive red tape, la burocrazia ingombrante le cui decisioni risultano maggiormente esposte al rischio di condizionamenti e pressioni, a tutto discapito dall’interesse pubblico al ripristino della legalità urbanistica e della tutela dell’ambiente, del paesaggio e dei beni culturali.

Note

1 - È degno di attenzione quanto evidenziato dall’Adunanza Plenaria, secondo la quale a seguito dell’acquisizione ipso iure del bene abusivo non demolito al patrimonio comunale chi lo possiede perde il titolo ed “è tenuto a corrispondere all’amministrazione proprietaria un importo per la sua disponibilità che avviene sine titulo”.

2 - È opportuno segnalare che l’art. 10 bis del decreto-legge n. 76 del 2020, convertito nella legge n. 120 del 2020 attribuisce al Prefetto il compito di intervenire nel caso in cui il comune non provveda a demolire il bene abusivo entro 180 giorni dall’avvio del procedimento repressivo; si tratta di una norma che concentra in capo al Prefetto il compito di curare le procedure di demolizione in un’ottica di semplificazione e di effettività delle sanzioni, in deroga alle competenze istituzionalmente devolute dagli artt. 27 ess del DPR 380/2001 ai comuni; tuttavia, la giurisprudenza amministrativa ha fornito della nuova norma una interpretazione costituzionalmente orientata, in coerenza con il principio di sussidiarietà verticale, evidenziando che il potere del prefetto ha natura meramente propulsivo-suppletiva, nel senso che lo spirare del termine di 180 giorni non consuma il potere sanzionatorio in capo al Comune che, invece, fintanto che l’Autorità statale non sia intervenuta, è obbligato a portare avanti il procedimento sanzionatorio (cfr. TAR Campania, Napoli, 11.12.2023, n.6836; TAR Lazio, Roma, 1.8.2023, n.12981; TAR Campania, Salerno, 17.4.2023, n.861). Secondo il Ministero dell’interno, che ha emanato una apposita circolare il 16.2.2021, la novella legislativa può applicarsi solo alle ordinanze di demolizione adottate dopo il 15.9.2020, data dell’ entrata in vigore della novella (il TAR Campania con sentenza 6836/2023 cit. ha, però, annullato la circolare ritenendo che la novella introduce “una disposizione meramente attributiva di competenza che non tocca alcun aspetto sanzionatorio perché interviene a valle dell’adozione della misura ripristinatoria da parte del Comune”, non ponendosi quindi alcuna questione di retroattività).

3 - La giurisprudenza più recente ha opportunamente chiarito che gli atti di sgombero dell’immobile non sono espressione del potere di autotutela esecutiva, in quanto tali esercitabili solo nei confronti di beni del patrimonio indisponibile, ma rientrano nel potere autoritativo di repressione dell’illecito edilizio in quanto strumentali alla demolizione del bene (cfr. CdS, V, 9.2.2024, n.1337; CGAS, 20.3.2020, n.194).

4 - Cfr. ex multis Cass. pen., III, 14.1.2022, n. 12529.

5 - A seguito dell’adozione di deliberazioni in tal senso, occorre aggiornare l’inventario dei beni immobili e implementare lo stato patrimoniale sulla base della stima relativa al valore del bene sottratto alla demolizione e destinato a finalità pubbliche.

6 - M. D’ALBERTI, Corruzione, Treccani, 2020, pp.100 e ss., sostiene che “la corruzione è una risposta razionale data dagli individui in un determinato contesto e, quindi, è il risultato di decisioni individuali supportate (o scoraggiate) dalle caratteristiche dell’ordinamento”.

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