Demo-ricostruzione e aumento unità abitative: il no del Consiglio di Stato
Ogni unità abitativa con caratteristiche di edificio unico e autonomo va qualificata come tale anche nel caso in cui disponga di elementi o servizi in comune con altre abitazioni
È da considerarsi come “edificio” ogni costruzione stabile (poggiata o infissa al suolo) provvista di copertura - isolata da strade o da aree libere, oppure separata da altre costruzioni mediante strutture verticali che si elevano dalle fondamenta al tetto senza soluzione di continuità - che sia funzionalmente indipendente, accessibile alle persone e destinata ad esigenze perduranti nel tempo.
In tale ottica, ogni unità abitativa alla quale siano attribuibili tali caratteristiche dev’essere qualificata come edificio unico e autonomo, anche nel caso in cui questa dovesse disporre di elementi o servizi in comune con altre abitazioni.
Edifici distinti e funzionalmente indipendenti: quali sono?
A spiegarlo è il Consiglio di Stato con la sentenza del 19 aprile 2024, n. 3549 che ha confermato la sentenza di primo grado ritenendo illegittima la concessione edilizia rilasciata dall’Amministrazione comunale per la realizzazione di un intervento di demo-ricostruzione in violazione dei requisiti di legge.
Secondo gli appellanti, il progetto prevedeva la costruzione di un unico edificio composto da due unità abitative aventi alcuni elementi tra loro in comune (un unico accesso al garage; un’unica rampa di accesso al garage; un unico garage in comune alle due abitazioni; un unico sistema di riscaldamento; un unico allaccio alla rete idrica e all’energia elettrica) e, di conseguenza, le due unità non sarebbero state indipendenti dal punto di vista strutturale e funzionale.
Inoltre, il progetto avrebbe previsto la demolizione di due edifici, di cui una legnaia annessa al maso principale, e il primo giudice avrebbe errato nel ritenere che la legnaia non potesse essere considerata quale singolo edificio esistente perché priva di “volume abitativo”.
La definizione di edificio
Sul punto ricorda il Consiglio che la definizione di “edificio” è rinvenibile alla voce 32 di cui all’Allegato A del DPCM citato, ed è la seguente:
“Costruzione stabile, dotata di copertura e comunque appoggiata o infissa al suolo, isolata da strade o da aree libere, oppure separata da altre costruzioni mediante strutture verticali che si elevano senza soluzione di continuità dalle fondamenta al tetto, funzionalmente indipendente, accessibile alle persone e destinata alla soddisfazione di esigenze perduranti nel tempo.”
Confermano i giudici che il progetto prevedeva la demolizione di un solo edificio, in quanto il manufatto adibito a legnaia annessa al maso principale non può essere considerata una costruzione distinta ma è a tutti gli effetti qualificabile come pertinenza, essendo priva di indipendenza funzionale.
No a demoricostruzione con aumento del numero degli edifici
In virtù di ciò, risulta incompatibile l’intervento prospettato di successiva ricostruzione, che non consiste, come ritenuto dal ricorrente, nella realizzazione di un unico edificio composto da due unità abitative che fruiscono di alcuni elementi in comune, bensì nella costruzione di due edifici differenti e distinti, intervento non consentito dalla normativa provinciale (art. 106, comma 16, L. p. n. 13/1997, volta a limitare il consumo di suolo e a consentire la demo-ricostruzione solo in casi eccezionali, che impone di interpretare in modo stringente il divieto di aumentare il numero di edifici).
Le due abitazioni da realizzare infatti risultavano in progetto separate tra loro da strutture verticali che si elevano dalle fondamenta al tetto senza soluzione di continuità, oltre ad avere entrambe ingressi e scale autonomi. Presentano quindi tutte le caratteristiche necessarie per essere considerate due edifici distinti e funzionalmente indipendenti.
In proposito, a nulla rileva il fatto che il progetto preveda per le due unità l’impiego di servizi in comune - quali l’utilizzo del garage e gli impianti idrico, elettrico e di riscaldamento - perché si tratta di servizi ancillari che non condizionano la possibilità di godimento autonomo delle abitazioni, e che quindi non bastano per escluderne l’indipendenza funzionale.
L’intervento peraltro, prima di essere approvato dall’Amministrazione doveva essere valutato dalla Commissione edilizia comunale, il cui parere invece non è mai stato richiesto. I giudici di Palazzo Spada pertanto confermano l’illegittimità del permesso di costruire.
Vicinitas: la legittimazione e l’interesse al ricorso
Altra interessante osservazione dei giudici, quella relativa alla sussistenza della vicinitas, in capo ai ricorrenti di primo grado, intesa quale stabile collegamento con il territorio tale da differenziare il ricorrente dal quisque de populo: spiega il Consiglio che il rispetto delle distanze di legge tra l’immobile oggetto del progetto di ricostruzione e l’immobile degli appellati non preclude la possibilità di tutelare la propria posizione di interesse legittimo facendo valere ulteriori vizi di illegittimità astrattamente idonei a comportare l’annullamento del provvedimento per loro lesivo.
Inoltre, l’impatto negativo dell’opera sulla visuale del panorama paesaggistico godibile dall’immobile degli odierni appellati, radica l’interesse al ricorso, anche considerato il conseguente deprezzamento del valore delle loro proprietà desumibile sulla base di massime di esperienza in ordine al funzionamento del mercato immobiliare.
Sussistono, quindi, nel caso in esame entrambe le condizioni dell’azione della legittimazione e dell’interesse al ricorso.
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