Distanze legali tra edifici: interviene il TAR
Il mancato rispetto delle distanze comporta una difformità che non consente il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, legittimando l'ordine di demolizione
Le distanze tra edifici predeterminate dalla normativa, hanno carattere cogente, in via generale ed astratta; considerando le esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, il loro mancato rispetto non può che comportare il diniego del permesso di costruire in sanatoria.
Distanze tra fabbricati: no alla sanatoria abusi se non sono rispettate
A spiegarlo è il TAR Lazio con la sentenza del 22 luglio 2024, n. 14860, che ha respinto il ricorso contro il diniego del permesso in sanatoria relativo ad opere costruite in parziale difformità dal titolo originariamente concesso, che hanno comportato il mancato rispetto delle distanze tra fabbricati previste dal DM n. 1444/1968 (Limiti inderogabili in materia urbanistica).
Per quanto riguarda in particolare le distanze tra le costruzioni, l’art. 9 del decreto dispone i limiti da rispettare in base alle diverse zone omogenee territoriali e - si precisa - tali limiti non possono essere in alcun modo elusi, in quanto la norma è finalizzata a garantire una specifica forma di tutela sotto il profilo igienico-sanitario, in modo da evitare, appunto, che si formino intercapedini nocivi tra i fabbricati.
Anche il Codice Civile impone specifiche regole in tal senso, prevedendo, all’art. 873, che “Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore.” In virtù di ciò, il mancato rispetto delle distanze imposte dalle norme comporta una difformità che non consente il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, e che legittima dunque l’emissione dell’ordine demolitorio.
Distanze tra costruzioni non rispettate: sono difformità insanabili
Nel caso in esame, sono stati inizialmente rilasciati al ricorrente il Permesso di Costruire e il nulla osta paesaggistico per la realizzazione di un parcheggio coperto privato e la manutenzione straordinaria di magazzini esistenti. I lavori sono stati realizzati però in parziale difformità da quanto autorizzato col titolo, con ampliamenti non assentiti che hanno comportato la violazione dei limiti di distanza previsti per i fabbricati; pertanto, il Comune ha provveduto ad emettere l’ordine di demolizione in riferimento alle parti conseguite in difformità.
Volumi tecnici: come escluderli dal computo della volumetria
Oltre all’ampliamento del magazzino, è stata inoltre realizzata una nuova costruzione in legno, impiegata come locale tecnico per la protezione dei contatori delle utenze, dove, anche in questo caso, le distanze dal confine non sono state rispettate.
Si fa presente che, in materia di limiti urbanistici, non sono rilevanti le caratteristiche del manufatto ma la tutela dell’interesse pubblico alla salubrità messa in discussione.
A tal proposito, la ricorrente non risulta aver specificato le esatte finalità del locale tecnico, pertanto, il TAR ricorda che i soli volumi tecnici che possono essere esclusi dal calcolo della volumetria ammissibile sono “i locali completamente privi di una autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinati a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa”.
Fiscalizzazione abusi: quando si può applicare
In virtù degli interventi realizzati, si conferma dunque la validità del diniego della sanatoria, oltre all’efficacia dell’ordine demolitorio, non essendo neanche possibile appellarsi alla mancata applicazione della cd. fiscalizzazione dell’abuso di cui allo stesso art. 34 del TUE, vigente nel presente giudizio e antecedente al Decreto Salva Casa (decreto legge 29 maggio 2024, n. 69, convertito in legge del 24 luglio 2024, n. 105).
Il TAR ribadisce infatti che la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria è una misura eccezionale e derogatoria, che dev’essere valutata dall’Amministrazione nella fase esecutiva del procedimento di demolizione - successiva e autonoma rispetto all’emissione stessa del provvedimento demolitorio - e solo in presenza di situazioni di pericolo che impediscano la demolizione in quanto minerebbe la stabilità del fabbricato.
Di conseguenza, tale valutazione non è rilevante ai fini della legittimità stessa dell’ordinanza di demolizione, in quanto, prima di emetterla, il Comune non è tenuto a verificare se sussistano i presupposti per la concessione della sanzione pecuniaria, essendo piuttosto in capo al soggetto interessato l’obbligo di dimostrare, in modo rigoroso e nella fase esecutiva, l’obiettiva impossibilità di demolire il manufatto senza arrecare pregiudizio alla parte realizzata in conformità. Il ricorso viene quindi respinto.
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