Eliminazione barriere architettoniche in parti comuni: obblighi ed edifici interessati
Il Consiglio di Stato ricorda condizioni e ambiti di applicazione di quanto previsto dal D.M. del 14 giugno 1989, n. 236 sull'eliminazione delle barriere architettoniche
L’eliminazione delle barriere architettoniche nelle parti comuni di un edificio è un intervento obbligatorio, qualora vengano fatti dei lavori di ristrutturazione. E l’obbligo vale anche se la costruzione dell’edificio è antecedente l’entrata in vigore del DM n. 236 del 1989. Attenzione però, perché tale obbligo non implica che un’attività commerciale, situata all’interno di un condominio in cui l’accesso ai disabili sia difficoltoso, debba chiudere, se i lavori di adeguamento riguardano appunto gli spazi comuni.
Eliminazione barriere archiettoniche in condominio: la sentenza del Consiglio di Stato
Sulla base di questi presuposti, il Consiglio di Stato ha accolto, con la sentenza n. 8370/2022 l’appello di un’attività di ristorazione, costretta a chiudere dopo che un’Amministrazione comunale ha annullato la SCIA per la somministrazione di cibo e bevande e contestato il mancato rispetto della normativa in materia di eliminazione delle barriere architettoniche in quanto, in seguito ad un sopralluogo del tecnico comunale, sarebbe emerso che: “l’unità commerciale è conforme in materia di abbattimento delle barriere architettoniche, ma risulta inaccessibile dall’ingresso al piano terra in quanto l’esistente ascensore non è di adeguate dimensioni e la scala non è dotata di alcun dispositivo idoneo al superamento delle barriere architettoniche”. Da qui la decadenza della SCIA per lo svolgimento dell’attività di ristorazione.
Secondo l’appellante, il locale era stato adeguato alla normativa di abbattimento delle barriere architettoniche, ma sulle parti comuni dell’edificio, costruito in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.M. n. 236 del 1989, non erano mai effettuati interventi edilizi di ristrutturazione.
Nel valutare il caso, il Consiglio non ha condividiso la tesi del TAR secondo cui il Decreto si applicherebbe anche laddove il locale commerciale insiste in edificio risalente a epoca anteriore all’entrata in vigore del citato decreto e sulle cui parti comuni mai sono stati effettuati interventi edilizi di ristrutturazione.
Ambiti di applicazione del D.M. n. 236 del 1989
Sul punto Palazzo Spada ha ricordato che il D.M. n. 236 del 1989 si applica:
- agli edifici privati di nuova costruzione, residenziali e non, ivi compresi quelli di edilizia residenziale convenzionata;
- agli edifici di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata ed agevolata, di nuova costruzione;
- alla ristrutturazione degli edifici privati di cui ai precedenti punti 1) e 2), anche se preesistenti alla entrata in vigore del decreto.
Il decreto contiene sì delle prescrizioni tecniche necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati, residenziali e non, e di edilizia residenziale pubblica ai fini del superamento delle barriere architettoniche, ma circoscrive espressamente l’ambito della sua applicazione alle sole ipotesi di nuova costruzione (ossia a edifici costruiti dopo il 14 giugno 1989) oppure alla “ristrutturazione” dei suddetti edifici, soltanto in quest’ultimo caso “anche se preesistenti alla entrata in vigore del presente decreto”.
La norma è quindi funzionale a garantire il graduale adeguamento di tutti gli immobili (anche di quelli preesistenti all’entrata in vigore del D.M.), non appena sia effettuata una ristrutturazione dell’edificio.
In questo caso si tratta di un edificio preesistente al 1989 ma che non è mai stato oggetto di ristrutturazione come definita dall’articolo 3 lettera d) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico Edilizia), essendo state soltanto eseguite, all’interno del locale condotto in locazione dalla società appellante e destinato ad attività di ristorazione, opere di manutenzione straordinaria ai sensi dell’articolo 3 lettera b) del medesimo Testo Unico.
L’adeguamento prescritto dalle norme richiamate in materia di accessibilità dell’edificio ha, dunque, interessato l’unità immobiliare funzionalmente autonoma, in quanto destinata ad attività di pubblico esercizio, anche se preesistente all’entrata in vigore della citata normativa, nell’ambito delle opere di manutenzione straordinaria del locale commerciale autorizzate ed eseguite.
Non poteva però imputarsi all’appellante, al punto da determinare la decadenza della S.C.I.A. e la cessazione dell’attività esercitata, il mancato adeguamento delle parti comuni, in assenza di un intervento di ristrutturazione delle stesse mai deliberato dall’assemblea condominiale, secondo le norme civilistiche disciplinanti il condominio degli edifici: l’appello è stato quindi accolto, annullando i provvedimenti di decadenza della SCIA e di chiusura dell’attività.
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