Equo compenso, illegittimi gli incarichi con remunerazione bassa o inesistente
Tar Campania: il compenso va liquidato tenendo presenti i parametri del D.M. n. 55/2014, da cui non può essere completamente sganciato in peius
In attesa che il Parlamento torni a discutere sulla nuova legge sull’equo compenso, il lavoro della giustizia amministrativa prosegue nel valutare casi in cui le competenze professionali non siano sufficientemente valorizzate da un punto di vista economico.
Equo compenso: una nuova sentenza del TAR
E questa volta lo fa con la sentenza n. 7037/2022 del TAR Campania, che ha accolto il ricorso presentato contro un Avviso pubblico di un’Amministrazione comunale per la creazione di una short list di avvocati, ai quali conferire incarichi di assistenza legale dell'ente, comprendenti oltre la rappresentanza e difesa in giudizio, anche l'eventuale assistenza nelle procedure di mediazione e negoziazione assistita.
Secondo l’Ordine degli Avvocati ricorrente, la determinazione dell’onorario spettante per la propria opera professionale non avrebbe garantito il cd. equo compenso, con conseguente violazione dell’articolo 19-quaterdecies, comma 3, del D.L. n. 148/2017, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 172/2017 prevedendo un compenso professionale inferiore rispetto ai parametri stabiliti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, recentemente aggiornato dal D.M. 13 agosto 2022, n. 147. Per altro i compensi sono stabiliti accorpando attività giudiziarie del tutto diverse.
Inoltre sarebbero illegittime anche le pretese di fare rientrare nel compenso riconosciuto all’avvocato prestazioni ulteriori e diverse rispetto a quelle rientranti nel compenso come previsto dal D.M. n. 55/2014, in particolare l’attività di recupero crediti per spese e onorari cui la controparte sia stata condannata nei giudizi trattati dal professionista incaricato e la formulazione al termine del giudizio di primo grado di un parere scritto in ordine alla sussistenza o meno di motivi per proporre gravame o resistervi.
Equo compenso: le considerazioni della PA
Secondo l’Amministrazione comunale, il ricorso andava respinto in quanto l’Ente “ha chiesto ai professionisti concorrenti di partecipare ad una selezione per rendere prestazioni professionale, il cui oggetto è stato individuato insieme al compenso previsto per ciascuna attività, creando in tal modo un confronto concorrenziale finalizzato all'individuazione del compenso professionale. Per ogni possibile incarico l’Ente trasmette l’atto giudiziale ricevute e gli atti inerenti la vicenda e propone al singolo professionista inserito in lista di assumerne la difesa alle condizioni indicate nel bando di selezione che, a sua volta, da parte sua decide se declinare l’incarico – come spesso avviene – oppure accettarlo.
I professionisti vengono, pertanto, posti nella condizione di calcolare liberamente, secondo le dettagliate informazioni fornite dall'Amministrazione, la convenienza economica del compenso in relazione all'entità della prestazione professionale richiesta, senza subire condizionamenti, limitazioni o imposizioni da parte del cliente”; inoltre “imporre alle pubbliche amministrazioni l'applicazione di parametri minimi rigidi e inderogabili, anche in assenza della predisposizione unilaterale dei compensi e di un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista, comporterebbe un'irragionevole compressione della discrezionalità delle stesse nell'affidamento dei servizi legali, in assenza delle condizioni di non discriminazione, di necessità e di proporzionalità che giustificano l'introduzione di requisiti restrittivi della libera concorrenza”.
Conclude il Comune che recentemente il Consiglio di Stato (con una sentenza per altro abbastanza discussa, n.d.R.) ha ritenuto legittimo il bando che abbia a oggetto una consulenza gratuita, sostenendo che “il professionista nell’esercizio dei diritti di libertà costituzionalmente garantiti può ben decidere di lavorare in assenza di un corrispettivo, atteso che nell’ordinamento italiano non è rinvenibile alcuna disposizione che vieta, impedisce od ostacola l'individuo nella facoltà di compiere scelte libere in ordine al come, quando e quanto impiegare le proprie energie lavorative (materiali o intellettuali), pur in assenza di una controprestazione, un corrispettivo o una retribuzione anche latamente intesa”. Se quindi è possibile e legittimo il bando che preveda una prestazione a titolo gratuito a maggior ragione lo sarebbe un bando che preveda un compenso inferiore a quello risultante dall’applicazione delle tariffe professionali.
La violazione dei parametri per l'equo compenso
Il TAR ha accolto il ricorso dell’Ordine, ritenendo fondata la violazione dell’art. 19-quaterdecies, comma 3, del d.l. n. 148 del 2017. Tale disposizione infatti prevede che “la pubblica amministrazione, in attuazione dei princìpi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell'equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
Per equo compenso infatti deve intendersi – ai sensi del comma 2, dell’articolo 13-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247, come modificato dal comma 1 dello stesso articolo 19-quaterdecies del d.l. n 148 – un compenso “proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, tenuto conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell'articolo 13, comma 6”. Ciò non significa che l’ente pubblico debba determinare il compenso in base ai parametri del D.M. n. 55/2014, ma che esso debba necessariamente essere ragguagliato al contenuto della prestazione, e in particolare all’impegno quali-quantitativo che essa richiede e implica, tenuto conto che il riferimento a un criterio di proporzionalità rispetto a qualità e quantità del lavoro si ritrova anche nell’articolo 36 della Costituzione.
Ciò non significa che il compenso vada liquidato in base ai parametri del D.M. n. 55/2014, ma non può negarsi che questi parametri vadano tenuti in conto, potendo senz’altro ammettere compensi inferiori ma non compensi che risultino completamente sganciati in peius rispetto a quelli liquidabili in base al D.M. citato.
In definitiva gli atti impugnati sono anzitutto lesivi del principio dell’equo compenso, prevedendo corrispettivi per l’attività professionale completamente sganciati da una valutazione in concreto di qualità e quantità dell’impegno richiesto al professionista.
Il libero arbitrio nella scelta dell'incarico non è giustificabile
Per altro, assolutamente infondate le affermazioni del Comune per cui il singolo professionista resta libero di valutare la convenienza dell’incarico e che può rifiutarlo nel caso in cui ritenga non equo il compenso non rileva, dato che ciò non esclude la violazione dell’articolo 19-quaterdecies, comma 3, cioè la violazione dell’obbligo dell’amministrazione di garantire un compenso equo; in altri termini, spiega il TAR, la disposizione impone all’amministrazione di prevedere compensi equi e non consente la previsione di compensi non equi, anche se il singolo professionista non è certo obbligato, ove inserito nell’elenco, a accettare l’incarico e quindi di beneficiare di un compenso non equo.
Considerazioni analoghe valgono per il recupero delle spese legali poste a carico della controparte: sul punto, il TAR ha osservato che il recupero delle spese, potendo il debitore risultare incapiente costituisce una mera eventualità a fronte dello svolgimento dell’attività di esazione.
Documenti Allegati
SentenzaIL NOTIZIOMETRO