Equo compenso: le osservazioni degli Avvocati
Dall'Ufficio studi del Consiglio Nazionale Forense le osservazioni a prima lettura sulla Legge 21 aprile 2023, n. 49 che disciplina l'equo compenso
È entrata in vigore lo scorso 20 maggio (15 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale) la Legge 21 Aprile 2023, n. 49 recante "Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali" ma servirà molto più tempo per comprendere al meglio gli effetti reali nei rapporti tutelati da questa nuova disposizione normativa.
Equo compenso: per chi si applica
La norma definisce infatti "equo" il compenso che sia proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente:
- per gli avvocati, dal decreto del Ministro della giustizia emanato ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247;
- per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27;
- per i professionisti di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 2013, n. 4, dal decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge n. 49/2023 e, successivamente, con cadenza biennale, sentite le associazioni iscritte nell’elenco di cui al comma 7 dell’articolo 2 della medesima legge n. 4 del 2013.
Un compenso equo che non si applicherà "urbi ed orbi" ma solo
- ai rapporti professionali aventi ad oggetto la prestazione d’opera intellettuale regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali svolte in favore di imprese bancarie e assicurative nonché delle loro società controllate, delle loro mandatarie e delle imprese che nell’anno precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di cinquanta lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro;
- ad ogni tipo di accordo preparatorio o definitivo, purché vincolante per il professionista, le cui clausole sono comunque utilizzate dalle imprese indicate nel precedente punto;
- alle prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione e delle società disciplinate dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175.
La disciplina dell'equo compenso, invece, non si applica, in ogni caso, alle prestazioni rese dai professionisti in favore di società veicolo di cartolarizzazione né a quelle rese in favore degli agenti della riscossione. In questo caso è previsto che gli agenti della riscossione garantiscano, all’atto del conferimento dell’incarico professionale, la pattuizione di compensi adeguati all’importanza dell’opera, tenendo conto, in ogni caso, dell’eventuale ripetitività della prestazione richiesta.
Le osservazioni del Consiglio Nazionale Forense
Arrivano dall'Ufficio studi del Consiglio Nazionale Forense le prime osservazioni a prima lettura sulla nuova legge che disciplina l'equo compenso. La scheda, redatta da G. Colavitti, con la collaborazione di G. Di Iacovo, è strutturata nei seguenti paragrafi:
- Premessa: come si è arrivati alla nuova legge sull’equo compenso.
- Il contesto socio economico.
- L’equo compenso “anticipato” dalla giurisprudenza: l’avvocato come “parte debole”.
- Equo compenso e tariffe: le differenze.
- La riforma dell’equo compenso nella legge del 2023: le misure più significative.
Interessante la parte 4 che parla delle differenze tra l'equo compenso e le tariffe professionali. Viene evidenziato che il principio dell’equo compenso costituisce una netta inversione di tendenza rispetto alle liberalizzazioni che hanno investito il mercato dei servizi professionali ma anche che il richiamo all’istituto tariffario non risulta essere appropriato.
Equo compenso e tariffe: le differenze
Mentre le tariffe limitavano la volontà delle parti sempre e comunque, ponendo minimi inderogabili che si sostituivano imperativamente alle clausole difformi eventualmente concordate tra le parti, i meccanismi previsti dalle disposizioni sull’equo compenso si limitano invece ad impedire condotte di abuso contrattuale, recuperando istituti di protezione del contraente debole già conosciuti dall’ordinamento, come ad esempio la nullità di protezione prevista dall’articolo 36 del codice del consumo, e la disciplina civilistica delle clausole vessatorie (artt. 1341 e 1342 c.c.).
Mentre le tariffe comportavano restrizioni del mercato applicabili a qualunque rapporto contrattuale, la normativa sull’equo compenso conosce invece una significativa limitazione soggettiva fin dall’origine, in quanto può riguardare unicamente imprese bancarie ed assicurative, o comunque imprese di dimensioni non piccole: sono infatti escluse le microimprese e le piccole e medie imprese come individuate dalla raccomandazione 2003/361 della Commissione europea.
In altre parole, secondo il CNF, l’avvocato può invocare il diritto all’equo compenso solo nei confronti di contraenti effettivamente collocati su di una posizione economica di forza, che abbiano concretamente abusato di tale potere per imporre condizioni vessatorie, e, appunto, un compenso non “proporzionato alla quantità ed alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto ed alle caratteristiche della prestazione”.
Le nuove previsioni si rivolgono anche al settore pubblico, imponendo alle pubbliche amministrazioni di garantire quantomeno il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti. E questo perché non sono mancati casi invero paradossali di abusi anche da parte di enti pubblici, purtroppo a volte anche avallati dalla giurisprudenza amministrativa.
In allegato la scheda messa a punto dal Consiglio Nazionale Forense.
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