Fiscalizzazione abusi edilizi: obblighi e requisiti per l’applicazione
L'Amministrazione è tenuta solo ad accertare la situazione antigiuridica e non a valutare la possibile applicazione della sanzione alternativa
La fiscalizzazione dell’abuso prevede, in presenza di specifiche condizioni, la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella solo pecuniaria, per i casi nei quali risulti impossibile demolire il manufatto abusivo senza arrecare danni alla parte regolarmente realizzata.
A tal fine, incombe sempre sul soggetto responsabile l’onere di dimostrare che il ripristino dei luoghi comporterebbe pregiudizio alle parti conformi. Non si può infatti attribuire all'Amministrazione la valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, posto che in questi casi il Comune è tenuto esclusivamente a provvedere all’accertamento della situazione antigiuridica.
Fiscalizzazione abusi edilizi: quali obblighi in capo al Comune?
A ribadirlo è il TAR Lazio con la sentenza del 21 agosto 2024, n. 15908, che rigetta il ricorso proposto contro il diniego dell’istanza di applicazione della fiscalizzazione dell’abuso in luogo della sanzione demolitoria richiesta ai sensi dell’art. 33 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), per un manufatto realizzato in assenza di permesso di costruire.
L’art. 33, comma 2 del TUE dispone in particolare che:
“Qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell'ufficio irroga una sanzione pecunaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile […]”.
Affinché la cd. fiscalizzazione sia applicabile, è necessario che l’intervento di ripristino sia effettivamente ritenuto e accertato come pregiudizievole per le parti dell’immobile costruite in conformità, non essendo sufficiente la denuncia in via ipotetica di potenziali danni che potrebbero essere causati.
La normativa infatti richiede che l’impossibilità di provvedere al ripristino sia sancita mediante motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale; accertamento che dev’essere condotto in seguito ad una valida richiesta di applicazione della fiscalizzazione da parte del responsabile dell’abuso, che deve contenere prove, parametri ed elementi tecnici e concreti che siano in grado di supportare l’asserita impossibilità di rimozione delle opere abusive senza inficiare la staticità di quelle regolarmente eseguite.
L’Amministrazione infatti non è tenuta a dimostrare che la demolizione potrebbe arrecare pregiudizio alle parti conformi, ma solo a valutare, ed eventualmente accertare, l’impatto della rimozione delle opere sulla base di specifiche prove presentate dal responsabile.
Ipotesi di pregiudizio non bastano per la fiscalizzazione
Il caso in esame, in particolare, riguarda la realizzazione di diverse opere di ampliamento conseguite in assenza di titolo edilizio, che, dopo essere state oggetto di due ordinanze di demolizione, sono state interessate da sentenza del Tribunale Ordinario, divenuta irrevocabile, e pertanto, già per questo, l’istanza di applicazione della fiscalizzazione non può trovare accoglimento.
Il ricorso tuttavia è infondato anche nel merito, posto che l’istante non ha fornito alcuna prova concreta in relazione all’effettiva pericolosità che il ripristino delle opere abusive causerebbe alla parte conforme.
Egli si è limitato infatti a formulare delle mere affermazioni, prospettando in maniera ipotetica delle potenziali compromissioni che la demolizione potrebbe comportare alla staticità dell’edificio, non menzionando però alcun parametro meccanico o elemento tecnico valido a supportare tali tesi.
Si ritiene dunque che l’Amministrazione abbia correttamente disposto il diniego dell’istanza di applicazione della fiscalizzazione, non essendo appunto imputabile alla stessa alcuna mancata istruttoria circa l’impatto della rimozione delle opere abusive, in quanto tenuta esclusivamente all’accertamento degli elementi validi presentati.
In virtù di ciò, risulta peraltro irrilevante il mancato preavviso di rigetto dell’istanza denunciato dal ricorrente, in quanto la partecipazione dello stesso al procedimento non avrebbe potuto condurre ad esiti diversi da quelli consolidatisi a seguito della sopravvenuta irrevocabilità della sentenza penale.
Secondo una consolidata giurisprudenza, infatti, in materia di partecipazione non sussistono automatismi sotto il profilo applicativo, in quanto il mancato preavviso di rigetto non è sufficiente ad annullare l’efficacia del provvedimento finale nei casi per i quali risulti evidente che il coinvolgimento dell’interessato non avrebbe potuto portare ad un esito differente da quello disposto.
Il TAR respinge quindi il ricorso, specificando peraltro che: “l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce in generale manifestazione di attività amministrativa doverosa, con la conseguenza che i relativi provvedimenti costituiscono atti vincolati per la cui adozione non vi è spazio per momenti ‘partecipativi’ del destinatario”.
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