La fiscalizzazione dell'abuso condiziona l'ordine di demolizione?
Consiglio di Stato: "... la c.d. “fiscalizzazione” dell’abuso non condiziona la legittimità della ordinanza di demolizione, trattandosi di sub-procedimento che assume rilievo nella successiva fase di esecuzione della stessa"
L'ordine di demolizione, come tutti gli atti di repressione degli abusi edilizi, ha natura di atto vincolato, non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento e per la sua adozione è necessaria esclusivamente la verifica dell’abusività dell'opera edilizia.
L'alternativa alla demolizione: in quali casi?
Questi sono principi chiave su cui non ci dovrebbero essere particolari discussioni: l'abuso edilizio va, dunque, demolito. Un'alternativa, però, è prevista all'interno dello stesso d.P.R. n. 380 del 2001, (il Testo Unico dell'Edilizia) che contempla alcune casistiche per cui è possibile sostituire alla demolizione una sanzione pecuniaria. Possibilità definita "fiscalizzazione dell'abuso edilizio" o "sanzione alternativa alla demolizione" su cui si è espressa la giurisprudenza di ogni ordine e grado.
L'argomento è l'oggetto principale della sentenza del Consiglio di Stato 14 luglio 2023, n. 6894 che ci consente di arricchire le nostre conoscenze sulle possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con una pecuniaria. In questo caso, i giudici di Palazzo Spada chiarisce il corretto rapporto tra l'ordinanza di demolizione e la sanzione alternativa.
Preliminarmente, prima di addentrarci all'interno della decisione dei giudici di secondo grado, occorre ricordare che la sanzione alternativa alla demolizione è contemplata all'interno del Testo Unico Edilizia nei seguenti articoli:
- l'art. 33, comma 2 che consente l'applicazione della sanzione alternativa nel caso di interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità per i quali il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile;
- l'art. 34, comma 2 che applica la fiscalizzazione degli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità;
- l'art. 38, commi 1 e 2 che consente la fiscalizzazione nel caso di interventi eseguiti in base a permesso annullato.
Le 3 possibilità offerte dalla normativa edilizia portano, però, effetti molto differenti. Mentre, infatti, la corresponsione della sanzione pecuniaria prevista all'art. 38 produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all'art. 36 (accertamento di conformità), negli altri due casi l'abuso diventa tollerato ma l'immobile perde la sua condizione di legittimità (con tutte le conseguenze del caso).
Per quanto concerne, invece, gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, a meno che non sia presente la c.d. doppia conformità e quindi l'intervento risulti conforme ai sensi della normativa vigente sia al momento della sua realizzazione che a quella dell'istanza di sanatoria (procedura comunque attivabile solo dall'interessato e non dalla pubblica amministrazione che non ha alcun dovere in tal senso), la demolizione è l'unica possibilità offerta dalla normativa. Concetto ampiamente chiarito dalla giurisprudenza, come nel caso della sentenza 4 luglio 2023, n. 30050 resa dalla Corte di Cassazione.
Sanzione alternativa e ordine di demolizione
È interessante la sentenza del Consiglio di Stato n. 6894/2023 che risponde al rilievo della parte ricorrente secondo cui avrebbe errato il TAR ad escludere l’applicabilità, nel caso di specie, della sanzione alternativa di cui all’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001 affermando che detta norma “si riferisce ad interventi ed opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire” nel mentre “Nella fattispecie in esame, l’abuso dei ricorrenti, consistente nella sopraelevazione, è totalmente privo di titolo edilizio”.
Secondo l'appellante, il TAR avrebbe pretermesso qualsiasi valutazione circa l'entità della difformità delle parti del manufatto da demolire, dell'incidenza delle stesse sulle parti non abusive e, conseguentemente, della possibilità della sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria meno afflittiva. Secondo questo assunto, il ricorrente avrebbe contestato la legittimità stessa dell'ordine di demolizione.
Il Consiglio di Stato ha, però, ricordato un altro principio consolidato della giurisprudenza che ha da tempo chiarito che la fiscalizzazione dell’abuso non condiziona la legittimità della ordinanza di demolizione, trattandosi di sub-procedimento che assume rilievo nella successiva fase di esecuzione della stessa.
L'applicabilità della sanzione pecuniaria può essere decisa dall'Amministrazione solo nella fase esecutiva dell'ordine di demolizione e non prima, sulla base di un motivato accertamento tecnico. La valutazione, cioè, circa la possibilità di dare corso alla applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva alla ingiunzione a demolire. Con la conseguenza che la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell'ordine di demolizione ma, al più, della successiva fase riguardante l'accertamento delle conseguenze derivanti dall'omesso adempimento al predetto ordine di demolizione e della verifica dell'incidenza della demolizione sulle opere non abusive.
La natura dell'ordine di demolizione
Relativamente alla demolizione dell'abuso edilizio, il Consiglio di Stato ha nuovamente confermato che l'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con la conseguenza che essa è dotata di un'adeguata e sufficiente motivazione se contiene la descrizione delle opere abusive e le ragioni della loro abusività.
Ne consegue che non è necessario che l’amministrazione individui un interesse pubblico – diverso dalle mere esigenze di rispristino della legalità violata – idoneo a giustificare l’ordine di demolizione.
Di seguito due principi pacifici della giurisprudenza:
- l'ordine di demolizione di manufatti abusivi non richiede una specifica motivazione sulla ricorrenza del concreto interesse pubblico alla loro rimozione, essendo la relativa ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato già compiuta, a monte, dal legislatore;
- l'ordine di demolizione è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione;
- l'ordine di demolizione è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione; né vi è un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non sana, e l'interessato non può dolersi del fatto che l'amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi.
Principi che valgono anche nel caso in cui l’ordine di demolizione viene adottato a notevole distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, atteso che, a fronte della realizzazione di un immobile abusivo, non è configurabile alcun affidamento del privato meritevole di tutela.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha, infatti, chiarito che “Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso neanche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino”.
L'avvio del procedimento
Considerata la natura dell'ordine di demolizione, è privo di giuridico pregio l’ultimo profilo di doglianza relativo all’omessa comunicazione di avvio del procedimento. L’ordinanza di demolizione costituisce, infatti, espressione di un potere tout court vincolato e doveroso in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, rispetto al quale non è richiesto alcun apporto partecipativo del privato.
Anche in questo caso si possono riassumere i seguenti principio della giurisprudenza:
- l'attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l'ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell'art. 7 l. n. 241/1990, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso;
- al sussistere di opere abusive la pubblica amministrazione ha il dovere di adottare l'ordine di demolizione; per questo motivo, avendo tale provvedimento natura vincolata, non è neanche necessario che venga preceduto da comunicazione di avvio del procedimento.
In definitiva l’appello è stato respinto e la demolizione confermata.
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 14 luglio 2023, n. 6894IL NOTIZIOMETRO