Frazionamento immobile con condono pendente: quando è possibile

L'intervento di frazionamento eseguito senza opere e per mero scorporo catastale non necessita di titolo abilitativo e non costituisce prosecuzione dell'abuso

di Redazione tecnica - 31/10/2024

In presenza di una domanda di condono pendente, l’intervento di frazionamento dell’immobile - che viene eseguito senza opere e per mero scorporo catastale - non necessita della previa richiesta del Permesso di Costruire e non costituisce un ulteriore abuso idoneo a precludere la sanatoria.

Difatti, il frazionamento che avviene senza opere e non comporta modifiche a volumetria, sagoma e superficie, non solo può essere consentito anche con condono pendente, ma necessita inoltre di essere valutato in merito alla compatibilità paesaggistica qualora i lavori venissero realizzati in un’area vincolata.

Condono pendente: possibile frazionamento senza incrementi

A chiarirlo è il TAR Sicilia con la sentenza del 16 ottobre 2024, n. 2876 che ha accolto il ricorso per l’annullamento del diniego di rilascio della compatibilità paesaggistica per opere di frazionamento avvenute in presenza di una domanda di condono pendente, richiesta ai sensi della Legge n. 47/1985 (Primo Condono Edilizio).

In proposito, si precisa che nessuna disposizione normativa impedisce l’esecuzione del frazionamento di un immobile interessato da istanza di condono, se l’intervento avviene senza apportare modifiche a volumetria e sagoma e senza alterare la preesistente morfologia.

Il frazionamento senza opere, eseguito quindi per mero scorporo catastale, non richiede il Permesso di Costruire, e non può dunque essere considerato come una prosecuzione indebita dei lavori abusivi. In sostanza, non costituisce un intervento idoneo a precludere il rilascio del condono.

Opere in pendenza di condono: i limiti di legge

Si spiega infatti che la presentazione di un’istanza di condono non impedisce in assoluto la possibilità di intervenire sull’immobile, essendo consentiti ulteriori specifici lavori, svolti nei limiti e nel rispetto delle procedure di legge.

Ebbene, l’art. 32 della Legge che disciplina il Primo Condono prevede che il rilascio della sanatoria - per opere che, come in questo caso, si trovano all’interno di aree sottoposte a vincoli paesaggistici ai sensi del D.lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) - debba essere subordinato al parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.

Si dispone inoltre, all’art. 32, comma 4, che: “Il motivato dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, ivi inclusa la soprintendenza competente, alla tutela del patrimonio storico artistico o alla tutela della salute preclude il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria.

Compatibilità paesaggistica postuma: quando è ammessa la deroga

Nel caso in esame è stato realizzato il frazionamento, senza opere e senza incrementi, di un fabbricato oggetto di condono pendente all’interno di un’area sottoposta a vincoli paesaggistici.

In virtù di ciò, la Soprintendenza ha disposto il diniego del rilascio dell’autorizzazione, senza però compiere sull’immobile alcuna valutazione in merito ai requisiti di compatibilità paesaggistica di cui all’art. 167 del Codice dei beni culturali.

L’art. 167, al comma 4, dispone in particolare che l’autorità competente sia tenuta ad accertare la compatibilità paesaggistica postuma all’esecuzione degli interventi, nei casi in cui siano eseguiti:

  1. lavori in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi né aumenti di quelli legittimamente realizzati;
  2. interventi mediante impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;
  3. lavori comunque configurabili come interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria, ai sensi delle categorie di interventi di cui all’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).

In proposito, i giudici del TAR riconoscono che una parte della giurisprudenza amministrativa ritiene che la nozione di “superficie utile” menzionata dall’art. 167 del Codice non debba essere intesa come limitata agli spazi chiusi o agli interventi che comportano incrementi urbanistici, ma, piuttosto, considerando l’impatto dell’intervento sul territorio e, quindi, le stabili alterazioni e modifiche che la nuova superficie comporta alla vincolata conformazione originaria dell’assetto territoriale.

In tal senso, si deve parlare di superficie utile in presenza di qualsiasi opera edilizia calpestabile o che può essere sfruttata per qualunque uso, essendo che il concetto di utilità espresso nella normativa di tutela paesaggistica è differente rispetto a come viene inteso dalla disciplina edilizia.

Il concetto di superficie utile

Si fa presente, tuttavia, che tale orientamento può dirsi superato alla luce di quanto disposto più recentemente dal Consiglio di Stato, che ha sancito invece come:

il rinvio ai concetti di volumetria e superficie utile, di cui all’art. 167, comma 4, D.lgs. n. 42/2004, per cui l’autorità preposta […] accerta la compatibilità paesaggistica, deve interpretarsi nel senso di un rinvio, in via primaria, al significato tecnico - giuridico che tali concetti hanno in materia urbanistico - edilizia, in quanto si tratta di nozioni tecniche non specificate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, bensì dalla normativa urbanistico - edilizia.

In altre parole, secondo l’orientamento attuale, non può ritenersi ammissibile che il concetto di superficie utile in tema di verifica della compatibilità paesaggistica abbia un significato diverso da quello inteso in ambito urbanistico-edilizio.

Ciò posto, si chiarisce, il caso in esame rientra tra le eccezioni di cui all’art. 167, comma 4 del Codice, per le quali è prevista la deroga al divieto generale di sanatoria postuma, in caso di lavori di entità minima e senza incrementi di superfici o volumi.

Si condividono pertanto le ragioni mosse dal ricorrente, posto che la Soprintendenza avrebbe dovuto valutare l’accertamento ed esprimersi in ordine alla compatibilità paesaggistica. Il ricorso viene dunque respinto, con ordine per l’Amministrazione di provvedere alla verifica della compatibilità e, successivamente, all’esamina dell’istanza di condono.

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