Immobili ante ’67: niente conformità se c’è il vincolo paesaggistico
No alla sanatoria per lavori su immobili costruiti prima del 1967 su cui sono stati eseguiti interventi di ristrutturazione in assenza di autorizzazione paesaggistica
Non è possibile ottenere l’accertamento di conformità in riferimento ad un immobile ante ‘67, situato in area sottoposta a vincoli paesaggistici, oggetto di lavori di incremento della volumetria e con cambio di destinazione d’uso del manufatto in residenziale, all’interno di un terreno qualificato come agricolo.
Tantomeno risulterà possibile l’approvazione della sanatoria se i lavori in questione sono stati realizzati senza richiedere alcun titolo edilizio o autorizzazione paesaggistica, ove obbligatori e a prescindere da quando gli interventi siano stati conseguiti.
Ante '67, cambio di destinazione d'uso e vincolo paesaggistico: il no del Consiglio di Stato
A spiegarlo è il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1637 del 19 febbraio 2024, con la quale è stato respinto il ricorso presentato per il rigetto dell’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) da parte dell’Amministrazione comunale, che ha ordinato tra l’altro la demolizione delle opere, ritenute abusive.
Palazzo Spada ha evidenziato che l’accertamento di conformità non può essere approvato in relazione ad un’opera oggetto di lavori che hanno comportato il mutamento della destinazione d’uso - nel caso in esame, da box/garage ad unità abitativa - se tali interventi non siano stati preventivamente autorizzati, a maggior ragione se si tratta di un’area soggetta a vincoli paesaggistico-ambientali.
Cambio di destinazione d'uso: occorre il permesso di costruire
È dunque ragionevolmente motivata la decisione del Comune che ha ordinato la demolizione delle opere abusive, perché i lavori sono stati realizzati senza titoli edilizi, e all’interno di un area qualificata secondo il piano comunale come a destinazione agricola.
Gli interventi che comportano la modifica della destinazione d’uso di un immobile, si sottolinea inoltre, rientrano nella categoria della ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), non in quella del risanamento conservativo come sostenuto dalla ricorrente, e sono obbligati pertanto al rilascio del permesso di costruire.
In particolare, anche se il manufatto oggetto dell’ordinanza di demolizione è ante ’67, ovvero realizzato prima dell’introduzione dell’obbligo del titolo edilizio previsto dalla Legge del 1 settembre 1967, n. 765, questo non giustifica le inadempienze commesse dal privato in quanto il territorio in questione è oggetto di vincolo paesaggistico-ambientale sin dal 1961, il che rendeva obbligatorio richiedere un’autorizzazione paesaggistica per poter procedere con i lavori.
Il tempo non estingue l'abuso edilizio
Si tratta di violazioni che, peraltro, prescindono dal fatto che possa essere trascorso un ingente lasso di tempo, in quanto rimangono tali o, come in questo caso, portano all’aggravamento del reato.
Non è rilevante per l’appunto il fatto che siano trascorsi ben 45 anni dalla realizzazione degli abusi all’emissione dell’ordinanza di demolizione, né ci si può appellare al principio del legittimo affidamento perché il fatto che siano trascorsi molti anni non può essere un fattore che favoreggia il soggetto abusivo. Piuttosto, è un elemento che rafforza il carattere abusivo dell’intervento.
A questo proposito, i giudici hanno ribadito che il provvedimento di demolizione è un atto a carattere vincolato, che non può tenere conto di quelli che sono gli interessi del privato a mantenere intatto il manufatto abusivo, neanche nel caso in cui dovesse essere trascorso un lasso di tempo considerevole.
Le tutele disposte in relazione al legittimo affidamento, difatti, sono finalizzate a coloro che versano in una situazione antigiuridica a carattere incolpevole, ipotesi che non può corrispondere ad un soggetto che realizza opere abusive che, invece, decide volontariamente di costruire andando contra legem.
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