Impianti fotovoltaici: il TAR interviene sulla definizione di aree idonee e non idonee
Le aree non comprese tra quelle idonee all’installazione di impianti FER non possono essere considerate in automatico come aree non idonee nei singoli procedimenti
Le aree non incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee all'installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale oppure nell'ambito di singoli procedimenti, solo perché non sono state incluse nel novero delle aree idonee.
Non solo: un eventuale parere negativo della Soprintendenza alla realizzazione di un impianto fotovoltaico su una simile area non può essere giustificato con un generico richiamo al vincolo sull'area, ma va supportato dalla proposta di possibili soluzioni edificatorie assentibili.
Questo in un'ottica di interpretazione della normativa di riferimento che valorizzi l’interesse pubblico prevalente alla massima diffusione degli impianti di produzione di energia rinnovabile: un'impostazione che pone l’accento sul favor per la massima diffusione delle fonti energetiche rinnovabili del diritto euro-unitario e nazionale, e sull’inesistenza di una primazia dell’interesse a protezione degli interessi paesaggistici.
Impianti fotovoltaici, aree idonee e parere della Soprintendenza: importanti chiarimenti dal TAR
Sulla base di questi principi, il TAR Sicilia, con la sentenza del 26 agosto 2024, n. 2475, ha accolto il ricorso, proposto “in via prudenziale” contro il parere apparentemente favorevole, ma in realtà ostativo, per l'installazione di un impianto agrivoltaico in un'area non rientrante tra quelle idonee. ai sensi dell’art. 20, comma 8 lett. c-quater, del d.Lgs. n. 199/2021.
Secondo la Soprintendenza, il fatto che l'impianto non rientrasse fra le c.d. Aree idonee imponeva che l'installazione dell'impianto fosse effettuata al di fuori della fascia di rispetto di 500 metri di un'area tutelata ex art. 136 d. lgs n. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio).
Il TAR ha dato ragione alla tesi dell'impresa, secondo cui non sussiste un divieto generalizzato per la così detta fascia di rispetto di 500 metri dal limite di aree vincolate. Come spiega il tribunale amministrativo, l’art. 20, comma 8 lett. c-quater, del D. Lgs. 199/2021 definisce le aree “idonee” richiamando il parametro dei 500 metri dalle aree vincolate, senza per questo introdurre previsioni automaticamente ostative per le aree “non idonee”, per le quali viceversa il comma 7 espressamente statuisce che “Le aree non incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee all'installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero nell'ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee”.
Nel caso in esame, invece, la Soprintendenza ha fondato il proprio parere anche sul rilievo che l’area interessata dalla realizzazione dell’impianto non rientrasse per l’intera estensione tra le aree idonee all’istallazione di impianti fotovoltaici, essendo ricompresa nella fascia dei 500 metri di un’area tutelata, operando così una lettura non appropriata della disposizione.
La mancata indicazione di un'area tra quelle idonee non implica che essa sia non idonea
La norma è chiara nello stabilire che la mancata inclusione tra le aree idonee non implica l’automatica qualificazione dell’area di sedime dell’impianto quale non idonea, occorrendo a tal fine una specifica motivazione per la salvaguardia di interessi opposti all’installazione dell’impianto FER.
Si tratta di un'impostazione:
- coerente con la considerazione per cui in materia di autorizzazione alla installazione di impianti solo la riserva di procedimento amministrativo consente di operare un bilanciamento in concreto degli interessi, strettamente aderente alla specificità dei luoghi, in modo tale da garantire la migliore valorizzazione di tutti gli interessi pubblici implicati pur nel rispetto del principio, conforme alla normativa dell'Unione europea, della massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili;
- che pone l’accento sul favor per la massima diffusione delle fonti energetiche rinnovabili del diritto euro-unitario e nazionale, e sull’inesistenza di una primazia dell’interesse a protezione degli interessi paesaggistici.
In particolare il Consiglio di Stato, in una recente sentenza ha rammentato che il D. Lgs. n. 199/2021 attua “la direttiva UE 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, che, all'art. 3, rubricato "Obiettivo vincolante complessivo dell'Unione per il 2030", impone uno specifico obbligo di risultato in capo agli Stati membri, prescrivendo, al comma 1, che "Gli Stati membri provvedono collettivamente a far sì che la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia dell'Unione nel 2030 sia almeno pari al 32 %....." e precisando, al comma 4, che "A decorrere dal 1 gennaio 2021, la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia di ciascuno Stato membro non è inferiore alla quota base di riferimento indicata nella terza colonna della tabella riportata nell'allegato I, parte A, della presente direttiva. Gli Stati membri adottano le misure necessarie a garantire il rispetto di tale quota base di riferimento. Se uno Stato membro non mantiene la sua quota base di riferimento misurata su un periodo di un anno, si applica l'articolo 32, paragrafo 4, primo e secondo comma, del regolamento 2018/1999”.
Orientamento confermato già da tempo dalla giurisprudenza costituzionale in materia, secondo cui:
- i principi fondamentali fissati dalla legislazione dello Stato costituiscono attuazione delle direttive europee che manifestano un favor per le fonti energetiche rinnovabili, ponendo le condizioni per un'adeguata diffusione dei relativi impianti;
- il sistema delineato nell'art. 12 del D. Lgs. n. 387 del 2003 (e nello specifico nel comma 10, fondato sulla approvazione in Conferenza unificata delle linee guida e sul riconoscimento alle Regioni del potere di procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti) è espressivo di una norma fondamentale di principio nella materia “energia”, vincolante anche per le Regioni a statuto speciale; e, nel contempo, costituisce un punto di equilibrio rispettoso di tutte le competenze, statali e regionali, che confluiscono nella disciplina della localizzazione degli impianti eolici;
- lo stesso art. 12 – nel prevedere che l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sia rilasciata nell'ambito di un procedimento unico, cui partecipano tutte le amministrazioni interessate – esprime parimenti un principio fondamentale della materia. Esso è “funzionale al raggiungimento degli obiettivi di massima diffusione delle fonti energetiche rinnovabili sancito dalla normativa europea” ed è volto a bilanciare l'esigenza di potenziare le fonti rinnovabili con quella di tutelare il territorio nella dimensione paesaggistica, storico-culturale e della biodiversità;
- il procedimento unico è l'unica sede in cui “può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l'interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei principi costituzionali la loro previsione e tutela. La struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibili l'emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione”.
Impianti fotovoltaici e compatibilità paesaggistica: il parere negativo va motivato puntualmente
Inoltre, come sottolineato in un'altra recente pronuncia del Consiglio di Stato, l'eventuale parere negativo della Soprintendenza in merito all'aspetto paesaggistico dell'intervento soggiace alle specifiche norme che regolano i lavori della Conferenza, costituendo non già l'espressione di un potere di veto, bensì un “dissenso” qualificato che in base alla disciplina recata dagli articoli 14 - ter e 14 - quinquies della L. n. 241 del 1990, forma unicamente oggetto della valutazione ponderale delle posizioni prevalenti espresse dalle Amministrazioni partecipanti tramite i rispettivi rappresentanti, preordinata all'adozione della determinazione conclusiva.
Sarà poi quest'ultima che, eventualmente, potrà formare oggetto di opposizione dinanzi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri da parte dell'Autorità dissenziente preposta alla tutela di interessi sensibili. Per altro, in quel caso, Palazzo Spada ha stigmatizzato l’assenza di un’adeguata istruttoria: “non è sufficiente una generale valorizzazione della valenza culturale dell'intero comparto senza una puntuale motivazione in ordine alla specifica relazione dell'impianto all'interno del contesto in cui esso è collocato”.
Le soluzioni alternative
Infine, non è possibile emettere un diniego all’intervento edilizio, senza indicare al proponente le possibili soluzioni edificatorie assentibili. Un simile diniego si pone, conclude il TAR, in contrasto con il principio di leale collaborazione, il quale impone alla Soprintendenza di esprimere un dissenso costruttivo, evidenziando le modifiche o le prescrizioni in ragione delle quali il progetto possa eventualmente superare il vaglio, indicando quale tipo di accorgimento tecnico o, al limite, di modifica progettuale potrebbe far conseguire all'interessato l'autorizzazione paesaggistica, in quanto la tutela del preminente valore del paesaggio non deve necessariamente coincidere con la sua statica salvaguardia, ma richiede interventi improntati a fattiva collaborazione delle autorità preposte alla tutela paesaggistica, funzionali a conformare le iniziative edilizie al rispetto dei valori estetici e naturalistici del bene paesaggio.
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