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Impianto fotovoltaico in area vincolata: il diniego va adeguatamente motivato

La produzione di energia pulita è incentivata dalla legge, per cui le motivazioni del diniego di autorizzazione paesaggistica devono essere particolarmente stringenti

di Redazione tecnica - 18/06/2024

Pur essendo titolare di un’ampia discrezionalità in materia, l’autorità preposta alla tutela di un vincolo, ad esempio la Soprintendenza, ha l’onere di corredare un provvedimento di diniego di ammissibilità paesaggistica per l’installazione di un impianto fotovoltaico di un’adeguata motivazione, riferita al concreto, alla realtà dei fatti e alle ragioni ambientali ed estetiche che impongono di escludere un determinato intervento o di limitarlo mediante prescrizione.

Una motivazione che si riferisca genericamente a «localizzazioni, dimensioni, caratteristiche morfologiche, materiche e cromatiche» dell’opera è infatti stereotipata, perché potrebbe astrattamente attagliarsi a interventi eterogenei, anche diversi da quello in esame; al contrario, l’Amministrazione è tenuta a specificare quali delle concrete caratteristiche i pannelli fotovoltaici installati comportino un pregiudizio per i valori paesaggistici tutelati.

Impianti fotovoltaici: no a diniego generico di autorizzazione paesaggistica 

Sono questi i presupposti sui quali, con la sentenza del 5 giugno 2024, n. 5046, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso in appello sul diniego definitivo di installazione di un impianto fotovoltaico, dipeso dal parere negativo reso dalla Soprintendenza sull’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi degli artt. 167 e 181 del d.lgs. n. 42 del 2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio).

La Commissione comunale per il paesaggio si era pronunciata esprimendo parere contrario «alla porzione di fotovoltaico con andamento non rettangolare per la quale si ritiene più idonea la composizione precedentemente autorizzata» e anche la Soprintendenza aveva espresso parere negativo, da cui il diniego definitivo di accertamento della compatibilità paesaggistica.

Secondo l’appellante, il parere negativo reso dalla Soprintendenza non era sufficientemente motivato in relazione alla tutela del vincolo apposto sull’area, sostenendo che mancasse l’indicazione degli elementi e delle ragioni di pregiudizio per i valori tutelati, anche in considerazione del favore che l’ordinamento accorderebbe alla produzione di energia da fonti rinnovabili.

Preliminarmente, il Consiglio ha rilevato che con il “preavviso di rigetto” la Soprintendenza aveva prefigurato l’emissione del parere negativo osservando che «l’intervento realizzato, introducendo una significativa alterazione della pregevole qualità del contesto paesaggistico caratterizzato da un’armonica integrazione tra paesaggio antropico e insediamenti abitativi, come riportato nel D.M. 3.6.1966, per localizzazione, dimensioni, caratteristiche morfologiche, materiche e cromatiche, non sia compatibile paesaggisticamente con il suddetto contesto e non risulti conforme alle disposizioni contenute nel piano paesaggistico della regione Toscana, e che in considerazione del rilevante impatto, la realizzazione del progetto comporta una sostanziale compromissione dei valori paesaggistici costituenti la ragion d’essere del provvedimento di tutela».

Nel provvedimento definitivo, la stessa Amministrazione ha confermato l’esistenza di motivi ostativi all’accertamento della compatibilità paesaggistica dell’intervento «per localizzazioni, dimensioni, caratteristiche morfologiche, materiche e cromatiche», esprimendo quindi parere negativo «in quanto le opere non risultano compatibili paesaggisticamente con il contesto di inserimento e non risultano conformi alle disposizioni contenute nel Piano Paesaggistico della Regione Toscana e che, in considerazione del rilevante impatto le opere eseguite comportano una sostanziale alterazione dei valori paesaggistici costituenti la ragion d’essere del provvedimento di tutela».

Parere di compatibilità paesaggistica: il diniego va puntualmente motivato

Mentre in primo grado il TAR aveva specificato che la Soprintendenza «ha compiuto una puntuale istruttoria e, ancora, ha indicato e motivato il contrasto tra l’opera di cui si tratta e le ragioni di tutela dell’area interessata dall’apposizione del vincolo [e] ha ricostruito l’iter logico seguito nel percorso valutativo che si è poi concluso nel giudizio finale di incompatibilità», circostanza che, alla luce dell’ampia discrezionalità tecnico-specialistica sottesa all’adozione di questi provvedimenti, renderebbe il parere negativo immune dai vizi dedotti dalla ricorrente, la tesi non è stata condivisa dal Consiglio di Stato.

Palazzo Spada ha infatti sottolineato come, per giurisprudenza consolidata:

  • «l’accertamento di compatibilità dell’intervento col contesto paesaggistico nel quale esso s’inserisce è il frutto di un giudizio sulla coerenza dell’opera rispetto al complesso degli elementi che compongono quel contesto e rispetto al quale il valore tutelato impone che essa non sia percepita come dissonante, con apprezzamento che si connota per la sua intrinseca opinabilità»;
  • «una motivazione succinta può ben ritenersi legittima se rileva gli estremi logici dell’incompatibilità di un manufatto con il contesto tutelato;
  • comunque, affinché il diniego di compatibilità paesaggistica postuma o di sanatoria di opere realizzate in zone vincolate possa ritenersi sufficientemente motivato, è necessaria «l’indicazione delle ragioni assunte a fondamento della valutazione di incompatibilità dell’intervento con le esigenze di tutela paesistica poste a base del relativo vincolo» e, in particolare, la Soprintendenza, «pur essendo titolare di un’ampia discrezionalità in materia, ha l’onere di corredare il provvedimento di diniego di ammissibilità paesaggistica di un’adeguata motivazione, riferita al concreto, alla realtà dei fatti e alle ragioni ambientali ed estetiche che impongono di escludere un determinato intervento o di limitarlo mediante prescrizioni».

In questo caso, tanto il parere negativo, quanto il “preavviso di rigetto” si sono limitati a richiamare i vincoli insistenti sull’area e le disposizioni del Piano paesaggistico regionale, senza tuttavia spiegare in ragione di quali elementi l’intervento in esame, circoscritto alla sola copertura della casa dell’appellante e limitato a una superficie di circa 116 mq integrata con il tetto, non sia compatibile con i valori paesaggistici della zona (anzi, risulti addirittura di «rilevante impatto»).

Per i giudici d’appello, la motivazione, nel riferirsi genericamente a «localizzazioni, dimensioni, caratteristiche morfologiche, materiche e cromatiche» dell’opera, è invero stereotipata, perché potrebbe astrattamente attagliarsi a interventi eterogenei, anche diversi da quello in esame; al contrario, l’Amministrazione avrebbe dovuto specificare quali delle concrete caratteristiche dei pannelli fotovoltaici installati – peraltro, solo su parte del tetto dell’edificio – comportino un pregiudizio per i valori paesaggistici tutelati.

La carenza è tanto più significativa se si considera che la Commissione comunale per il paesaggio aveva invece espresso un parere contrario solo per una “porzione” dell’intervento, così implicitamente avallando la parte restante.

La tutela del paesaggio vs l'incoraggiamento dell'uso di fonti rinnovabili

Per altro, non è condivisibile la tesi secondo cui la Soprintendenza non sarebbe tenuta a considerare i vantaggi per l’ambiente derivanti dall’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.

Come osservato in giurisprudenza, la produzione di energia pulita è incentivata dalla legge in vista del perseguimento di preminenti finalità pubblicistiche correlate alla difesa dell’ambiente e dell’eco-sistema, con la conseguenza che le motivazioni di un diniego di autorizzazione paesaggistica alla realizzazione di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili devono essere particolarmente stringenti, «non potendo a tal fine ritenersi sufficiente che l’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico rilevi una generica minor fruibilità del paesaggio sotto il profilo del decremento della sua dimensione estetica» e occorre quindi «una più severa comparazione tra i diversi interessi coinvolti nel rilascio dei titoli abilitativi - ivi compreso quello paesaggistico - alla realizzazione di un impianto di energia elettrica da fonte rinnovabile (nella specie da fonte solare)», ricordando anche che «la produzione di energia elettrica da fonte solare è essa stessa attività che contribuisce, sia pur indirettamente, alla salvaguardia dei valori paesaggistici» .

Questo orientamento merita di essere confermato anche alla luce del fatto che, come ricordato in più occasioni dalla Corte costituzionale, la tutela dei diritti e dei valori riconosciuti e garantiti dalla Costituzione deve essere “sistemica e non frazionata”, evitando che uno di essi si erga a “tiranno” nei confronti degli altri specialmente quando, come nella specie, si tratta di beni – l’ambiente e il paesaggio – aventi entrambi il medesimo rango di principi fondamentali, ai sensi dell’art. 9 della Costituzione come integrato dalla legge costituzionale n. 1 del 2022, rilievo dal quale consegue che la Soprintendenza, nel perseguire la missione attribuitale dalla legge, non può esprimere una posizione “totalizzante” che sacrifichi interamente l’interesse ambientale indifferibile alla transizione ecologica.

Il ricorso è stato quindi accolto, confermando l’illegittimità del parere negativo della Soprintendenza, non adeguatamente motivato per potere giustificare una presunta incompatibilità dell’impianto con il contesto circostante.

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