Minimi tariffari per architetti e ingegneri: cosa dice la Corte Europea
Nonostante i possibili contrasti con la direttiva "servizi", in caso di contratto tra privati, il giudice non può disapplicare la normativa nazionale
L'utilizzo delle tariffe minime per le prestazioni di architetti e ingegneri previsto dalle singole normative nazionali, sebbene sia contrario alla direttiva «servizi» dell’Unione Europea, non può essere disapplicato da un giudice nazionale nel caso di controversie tra privati.
Tariffari minimi ingegneri e archietti: la sentenza della Corte di Giustizia Europea
Così ha stabilito la Corte di Giustizia Europea, con la sentenza del 18 gennaio 2022, relativa alla causa n. C-261/20 sulla controversia fra una società immobiliare e un ingegnere, dibattuta nell’ambito del diritto tedesco.
Questi i fatti: nel 2016 la società immobiliare ha stipulato con l’ingegnere un contratto di studi; il professionista si è impegnato a eseguire alcune prestazioni previste dall’HOAI, il regolamento che disciplina gli onorari per servizi di architetti e ingegneri, dietro pagamento di onorari forfettari.
Un anno dopo, il professionista ha recesso il contratto e ha emesso una fattura a saldo per le prestazioni eseguite. Basandosi su una disposizione della HOAI, ai sensi della quale il prestatore ha diritto ad un compenso almeno pari all’importo minimo fissato dal diritto nazionale, e tenendo conto dell’importo dei versamenti già effettuati, il professionista ha proposto ricorso giurisdizionale per chiedere il pagamento dell’importo rimanente dovuto, superiore a quello concordato dalle parti del contratto.
Dopo la soccombenza nei primi due gradi, la società immobiliare ha presentao ricorso per cassazione (Revision) dinanzi al Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania). Sul merito, il giudice di legittimità ha fatto presente che la Corte di giustizia ha già dichiarato in precedenza l’incompatibilità della disposizione della HOAI con la disposizione della direttiva europea 2006/123 che vieta agli Stati membri di mantenere requisiti che subordinano l’esercizio di un’attività al rispetto, da parte del prestatore, di tariffe minime e/o massime se tali requisiti non rispettano le condizioni cumulative di non discriminazione, necessità e proporzionalità.
Da qui il ricorso alla Corte di Giustizia Europea: un giudice nazionale può disapplicare la disposizione nazionale quando contraria a una direttiva europea?
Disapplicazione norme nazionali su tariffari minimi: Il giudizio della Corte europea
Secondo la Grande Sezione della Corte di Giustizia Europea, un giudice nazionale, chiamato a pronunciarsi su una controversia intercorrente esclusivamente tra privati, non è tenuto, sulla sola base del diritto dell’Unione, a disapplicare una normativa nazionale che fissa, in violazione dell’articolo 15, paragrafo 1, paragrafo 2, lettera g), e paragrafo 3, della direttiva «servizi», tariffe minime per le prestazioni di architetti e ingegneri e che stabilisce la nullità dei contratti che derogano a tale normativa.
Al contempo la Corte ha ricordato che:
- il principio del primato del diritto dell’Unione impone a tutte le istituzioni degli Stati membri di garantire piena efficacia alle varie norme dell’Unione europea;
- ove non sia possibile procedere a un’interpretazione della normativa nazionale conforme al diritto dell’Unione, il medesimo principio impone che il giudice nazionale possa disapplicare all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale.
Efficacia diretta delle disposizioni comunitarie
Attenzione però: un giudice nazionale non è tenuto, sulla sola base del diritto dell’Unione, a disapplicare una disposizione del suo diritto nazionale contraria a una disposizione del diritto dell’Unione, se quest’ultima non ha efficacia diretta. Ciò non pregiudica tuttavia la possibilità, per tale giudice, nonché per qualsiasi autorità amministrativa nazionale competente, di disapplicare, sulla base del diritto interno, qualsiasi disposizione del diritto nazionale contraria a una disposizione del diritto dell’Unione priva di tale efficacia.
Nel caso in esame, la Corte ha ricordato che, secondo la propria giurisprudenza, l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva «servizi» potrebbe avere efficacia diretta poiché tale disposizione è sufficientemente precisa, chiara e incondizionata. Ciò però implicherebbe che il professionista verrebbe privato del suo diritto di richiedere un importo di onorari corrispondente al minimo previsto dalla normativa nazionale.
Da questo punto di vista, trattandosi di una controversia tra privati, la Corte ha escluso la possibilità di applicazione della disposizione. Infatti, ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 1, TFUE, quando la Corte riconosce l’inadempimento di uno Stato membro, quest'ultimo è tenuto a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta, quindi in caso di inosservanza dei prorpi obblighi e non per conferire diritti ai privati. Questo significa che i giudici nazionali competenti non sono tenuti, sulla sola base di tali sentenze, a disapplicare, nell’ambito di una controversia tra privati, una normativa nazionale contraria ad una disposizione di una direttiva europea.
Dall’altra parte invece, la parte lesa dalla non conformità del diritto nazionale al diritto dell’Unione, potrebbe far valere la giurisprudenza della Corte per ottenere, se del caso, il risarcimento del danno causato da detta non conformità.
Considerato quindi che la normativa nazionale in questo caso non è compatibile con il diritto dell’Unione:
- il giudice nazionale non può disapplicarla trattandosi di una controversia tra privati;
- allo stesso tempo, si riconosce che il suo mantenimento costituisce un inadempimento da parte dello Stato membro, su cui viene riconosciuta una responsabilità extracontrattuale per violazione del diritto dell’Unione e contro cui può presentare ricorso la parte lesa.
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