Opere minori in area vincolata: ok alla demolizione se modificano sagoma e prospetti
È necessaria una visione complessiva e non atomistica delle opere abusive, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio o al paesaggio deriva dall’insieme dei lavori
Le opere edilizie, seppure lievi, che determinino modifiche della sagoma e dei prospetti, non possono mai essere considerate come interventi esigui di minore entità. Pertanto, se vengono realizzate in aree sottoposte a vincoli paesaggistici, è sempre obbligatorio il previo ottenimento del titolo edilizio e dell’autorizzazione paesaggistica, in assenza dei quali risulta lecita la demolizione.
A tal proposito, la valutazione dell’impatto che le opere relative allo stesso immobile producono sull’assetto territoriale richiede sempre una considerazione complessiva e non atomistica.
Opere minori in area vincolata: quando è legittima la demolizione?
A spiegarlo è il Consiglio di Stato con la sentenza del 30 aprile 2024, n. 3930, con cui ha confermato il diniego dell’annullamento dell’ordinanza di demolizione per diverse opere edilizie realizzate su un immobile, all’interno di un’area sottoposta a vincoli paesaggistici.
Gli interventi in questione hanno riguardato in particolare:
- abbassamento parziale della quota interna del calpestio, con incremento volumetrico di 4,40 mc circa, e realizzazione di un servizio igienico, di un angolo cottura e di un soppalco sovrastante;
- modifica della scala esterna da un solo rampante di cinque scalini a due rampanti di tre o due scalini ed intermedio pianerottolo;
- installazione di staccionata in legno di oltre 4 m di lunghezza, 0,70 m circa di larghezza e 1,40 m circa di altezza;
- installazione di struttura in pali in legno, ancorata a piastre in ferro, di circa 4,50 mq di superficie coperta e altezza media pari a 2,55 mq circa;
- realizzazione di piccolo locale tecnico sottostante al terrazzino di pertinenza dell’alloggio, di superficie interna pari a circa 1,50 mq e volumetria pari 2,30 mc.
Opere del genere non possono essere considerate degli interventi minimali non necessitanti di titolo edilizio e autorizzazione paesaggistica, come sostenuto dal ricorrente; si tratta bensì di interventi che, seppur di minore entità, risultano comunque rilevanti perché hanno comportato incrementi della sagoma e della volumetria.
Si ritiene pertanto corretta la valutazione già operata in primo grado del TAR che - confermando in ogni caso la legittimità dell’ordine di demolizione - ha dedotto, al più, che le opere potessero essere oggetto di sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria (cd. fiscalizzazione dell’abuso), ai sensi dell’art. 33 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), essendo qualificabili come “Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità”.
Ricordiamo tuttavia che la fiscalizzazione dell’abuso è una misura eccezionale, concedibile solo nei casi in cui la demolizione non risulti possibile, e per la quale l’Amministrazione non è tenuta a verificare i presupposti di applicazione. Dev’essere il soggetto interessato, infatti, a richiederne l’applicazione e a dimostrare con prove concrete l’impossibilità a demolire.
Abusi edilizi: necessaria una visione unitaria degli illeciti
I giudici di Palazzo Spada ritengono, come già specificato dal TAR, che il ricorrente abbia condotto un’errata valutazione delle opere conseguite, che devono essere considerate mediante visione complessiva e non atomistica.
Viene ribadito infatti che “la valutazione degli abusi edilizi e/o paesaggistici richiede una visione complessiva e non atomistica delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio o al paesaggio deriva non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall’insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e paesistico e nelle reciproche interazioni.”
Le opere in questione, valutate correttamente mediante visione complessiva, hanno effettivamente determinato una modifica della sagoma e dei prospetti dell’immobile, e sono state realizzate in assenza sia di titolo edilizio che di autorizzazione paesaggistica, obbligatoria nell’area ai sensi della Legge n. 1497/1939 (Protezione delle bellezze naturali), oggi integrata al d.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).
Per completezza si precisa inoltre che, anche volendo considerare gli interventi singolarmente, non emerge quell’esiguità tale da escludere il rilascio del titolo e dell’autorizzazione paesaggistica. Con particolare riguardo all’autorizzazione, si fa presente che, per costante giurisprudenza, “in caso di vincolo paesaggistico sull'area, qualsiasi intervento edilizio che risulti idoneo ad alterare il pregresso stato dei luoghi deve essere preceduto da autorizzazione paesaggistica, in assenza della quale è soggetto a sanzione demolitoria”.
Per gli interventi in questione erano state presentate invece delle semplici CIL, che approvavano soli lavori di manutenzione ordinaria, e una SCIA commerciale per l’esercizio di attività commerciale.
Il certificato di agibilità non sana gli abusi edilizi
A nulla rileva poi il fatto che l’immobile fosse provvisto di certificato di agibilità. Questo infatti non produce alcun “effetto sanante” in relazione alle opere abusive, né può in alcun modo annullare l’illiceità sotto il profilo urbanistico-edilizio.
Il certificato di agibilità infatti serve a garantire che l’immobile e i suoi impianti siano stati realizzati rispettando le norme tecniche in materia di sicurezza, salubrità, igiene e risparmio energetico, mentre non ha alcun efficacia in merito alla conformità dell’intervento dal punto di vista delle norme edilizie e urbanistiche, per la quale è richiesto invece il titolo edilizio. Il ricorso è stato quindi respinto.
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