Ordine di demolizione: quando si può convertire in sanzione pecuniaria
Quali sono i presupposti per la conversione dell’ordine di demolizione in fiscalizzazione dell’abuso?
Ordine di demolizione: esistono dei presupposti per trasformarlo in sanzione pecuniaria? Sì, ma sono applicabili solo in alcuni casi, come spiega il Consiglio di Stato, Sez. Sesta, con la sentenza n. 8334/2021.
Ordine di demolizione o sanzione pecuniaria? Cosa dice il Consiglio di Stato
Il caso riguarda la realizzazione di un manufatto in una zona soggetta a temporaneo vincolo di inedificabilità per rischio di dissesto idrogeologico, confermato da un’ordinanza comunale.
In particolare, si trattava di incrementi volumetrici realizzati in un laboratorio artigiano, in difformità dal permesso di costruire, con modifica dei prospetti e mutamento della destinazione d’uso. Successivamente per tali abusi edilizi è stata presentata istanza di sanatoria, ex artt. 36 del D.P.R. 6/6/2001, n. 380 e 5 e 6 bis della L.R. 28/12/2009, n. 19, oltre che la richiesta di autorizzazione unica ambientale.
A seguito dei fatti, l’amministrazione comunale:
- ha inibito l’esercizio dell’attività su tutto il territorio comunale;
- ha negato l’autorizzazione unica ambientale;
- ha negato la sanatoria;
- ha ingiunto la demolizione delle opere abusive.
I responsabili degli abusi hanno presentato ricorso al Tar e, dopo che questo è stato respinto, appello al Consiglio di Stato.
Vincolo di inedificabilità ambientale si applica anche solo su porzioni di edifici
In particolare, la difesa ha sottolineato che gli atti con cui è stata negata l’autorizzazione ambientale e con cui è stata respinta la domanda di accertamento di conformità, intesa a sanare sia gli incrementi volumetrici conseguibili in virtù della normativa sul c.d. piano casa regionale, sia il cambio di destinazione d’uso sono illegittimi, perché:
- solo una parte del fabbricato ricadeva nella zona soggetta a vincolo di inedificabilità per rischio ambientale;
- gli interventi di cui agli artt. 4 e seg. della L. R. n. 19/2009, “anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, in tanto sarebbero ammessi, in quanto, da un lato, non siano stati già (abusivamente) realizzati, ma siano previamente e ritualmente assentiti mediante idoneo titolo abilitativo, e in quanto, d’altro lato, l’edificio cui accedono sia stato realizzato legittimamente ovvero, ancorché realizzato abusivamente, sia stato previamente sanato”.
Palazzo Spada ha invece confermato la sentenza di primo grado, ricordando che ai sensi degli artt. 36 del D.P.R. n. 380/2001 e 12, comma 4 -bis, della L.R. n. 19/2009 gli interventi abusivamente realizzati possono ottenere la sanatoria purché rispondenti alla doppia conformità, quindi conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione, sia a quello della presentazione della domanda.
Nel caso in esame il requisito della doppia conformità era assente. Infatti, come è emerso dalla verifica, il fabbricato ricade, seppur in piccola parte, in zona con vincolo di inedificabilità assoluta e la norma dispone che “Nel caso in cui un edificio o manufatto edilizio, strutturalmente autonomo, ricada anche solo parzialmente in un’area a rischio, o sia interessata da diversi livelli di rischio, lo stesso deve essere considerato totalmente incluso nell’area a rischio e/o nella classe di rischio più gravosa”.
Ordine di demolizione commutato in sanzione pecuniaria
Le opere realizzate hanno comportato un consistente aumento di cubatura rispetto a quanto in precedenza autorizzato. Secondo il Collegio, dato che l’intervento non è sanabile, il Comune ne ha correttamente ordinato la demolizione ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, con la conseguente acquisizione gratuita al patrimonio comunale del bene e della relativa area di sedime per il caso di inottemperanza all’ingiunzione data.
Lo stesso ordine di demolizione sarebbe confermato anche qualora i lavori eseguiti configurassero una mera difformità parziale, come sostenuto dagli appellanti: l’art. 34 del citato D.P.R. n. 380/2001 dispone, infatti, che “Gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso….” (comma 1).
C’è solo un caso in cui è possibile prevedere la fiscalizzazione dell’abuso, come disposto dal comma 2 del menzionato art. 34, ossia quando in sede di esecuzione del provvedimento repressivo risulti che la demolizione non possa “avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità”.
Non si tratta del caso in esame, per cui il Consiglio ha respinto il ricorso e confermato, insieme alla sentenza di primo grado, la sanzione demolitoria.
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