Parere sugli strumenti urbanistici: di chi è la competenza?
Il Consiglio di Stato si esprime sulla Legge regionale Umbra che assegna ai Comuni la competenza a rendere parere sugli strumenti urbanistici in zone sismiche
È legittima una norma regionale che assegna ai Comuni il compito di rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali e attuativi in zone sismiche?
Parere sugli strumenti urbanistici: interviene il Consiglio di Stato
Ha risposto a questa domanda la sentenza del Consiglio di Stato 2 luglio 2021, n. 5078 intervenuta sulla questione di legittimità costituzionale dell’articolo 29, comma 9, della Legge della Regione Umbria 25 febbraio 2005, n. 11. Un caso che riguarda, quindi, una Regione ma che può essere esteso a tutto il territorio nazionale.
Entrando nel dettaglio, il comma incriminato della Legge Umbra prevede che "Il comune, in sede di adozione del piano attuativo e tenuto conto della relazione geologica, idrogeologica e geotecnica, relativa alle aree interessate, nonché degli studi di microzonazione sismica di dettaglio nei casi previsti dalle normative vigenti, esprime parere ai fini dell'articolo 89 del D.P.R. n. 380/2001 ed ai fini idrogeologici e idraulici, sentito il parere della commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio”.
Disposizione che per il Consiglio di Stato sarebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Cosa prevede la Regione Umbria
La sentenza del Consiglio di Stato si riferisce ad un articolo (il 24, comma 9 delle L.R. n. 11/2005) che è stato abrogato dalla successiva legge regionale n. 11 del 2015 la quale, tuttavia, all’art. 28, comma 10, ha riprodotto lo stesso, identico contenuto della precedente disposizione. Sennonché, l’articolo 28, comma 10, della legge regionale dell’Umbria n. 1/2015 è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale con sentenza 5 aprile 2018, n. 68; più in particolare, il giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 28, comma 10, e 56, comma 3, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015, nella parte in cui stabiliscono che sono i Comuni, anziché l’ufficio tecnico regionale competente, a rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali e attuativi dei Comuni siti in zone sismiche.
La questione di costituzionalità involge, pertanto, una norma (articolo 24, c. 9, della legge della Regione Umbria 25 febbraio 2005, n .11) non più in vigore nell’ordinamento giuridico ma che, ciò nonostante, è stata applicata ratione temporis alla fattispecie che ha originato la controversia, assumendo così connotati della rilevanza in concreto in forza del principio tempus regit actum.
Differenza tra disposizione e norma
Il Consiglio di Stato chiarisce la differenza tra disposizione e norma, che riflette la dialettica tra legislazione e interpretazione:
- per disposizione si intende la proposizione normativa (o enunciato) contenuta in un testo;
- per norma ciò che risulta a seguito dell’attività interpretativa di una disposizione.
Ragion per cui, tra una disposizione e una norma non sussiste necessariamente un parallelismo perfetto potendo ad una norma corrispondere più disposizioni (il caso del “combinato disposto”) come anche ad una disposizione corrispondere, invece, norme diverse.
Nella fattispecie in esame, le proposizioni normative recate dall’art. 24, c. 9, della legge della Regione Umbria 25 febbraio 2005, n.11 (applicato ratione temporis alla fattispecie e tuttora vigente come enunciato) e dall’art. 28, comma 10, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015 (la cui disposizione è stata dichiarata incostituzionale) sono diverse.
Pur tuttavia, le norme – quale frutto di esegesi delle due disposizioni - s’appalesano identiche.
Per cui, alla controversia in esame andrebbe applicata una norma regionale (ovvero un “diritto concreto”) non più esistente nella corrente interpretazione che ne ha fornito la Corte costituzionale. Il che, espresso in altri termini, significherebbe applicare al rapporto tuttora ancora pendente una norma dichiarata incostituzionale eppur, tuttavia, presente nell’ordinamento giuridico come “diritto astratto”, in ragione della disposizione (testo legislativo) che la veicola.
E’ poiché l’oggetto del sindacato di legittimità costituzionale sono, non sempre le disposizioni quanto, piuttosto, proprio le norme (si pensi alle c.d. sentenze interpretative, di accoglimento e di rigetto, e tutte le nuove tipologie di sentenze: manipolative, additive, sostitutive; incidono per l’appunto, non sul testo delle disposizioni legislative, bensì sul loro significato), si potrebbe essere indotti a ritenere che la norma recata dall’art. 24, c. 9, della legge della Regione Umbria 25 febbraio 2005, n.11, non sia più cogente a seguito della sentenza 5 aprile 2018, n. 68 abrogativa della stessa norma riprodotta nel testo degli artt. 28, co. 10, della legge regionale Umbria n. 1 del 2015 e, dunque, inapplicabile alla controversia.
Un’attività interpretativa, questa, che finirebbe però per essere operata dal giudice a quo e sottratta alla Corte ma che potrebbe legittimarsi alla luce di altri principi costituzionali, anche di matrice eurounitaria, altrettanto rilevanti e immediatamente precettivi quali quelli di economia processuale, concentrazione dei giudizi nonché ragionevole durata del processo; opzione questa che, tuttavia, proprio perché di carattere interpretativo e proveniente dal giudice sfornito della competenza sull’annullamento delle leggi, non potrebbe sortire l’effetto espulsivo della norma dall’ordinamento giuridico la quale, pertanto, continuerebbe ad esistere nella gerarchia formale delle fonti potendo in tal modo generare incertezza negli operatori e nell’attività regolatrice dei rapporti amministrativi tuttora incisi temporalmente dalla norma in questione, finendo per compromettere altrettanti valori ordinamentali come l’effettività della tutela e la certezza del diritto.
Va soggiunto, ad ogni buon fine, che la legge regionale n. 11 del 2005 (e con essa l’articolo 24, co. 10) è stata abrogata dalla successiva legge regionale n. 1 del 2015 (art. 271), a decorrere dalla data di entrata in vigore del nuovo testo unico (29 gennaio 2015).
Deve ritenersi, quindi, che la norma in esame abbia prodotto effetti fino alla data del 29 gennaio 2015, regolando ratione temporis e tempus regit atum, il procedimento per cui è causa.
Anche per tal via, s’appalesa rilevante la questione di costituzionalità dell’articolo 24, co. 10, della legge regionale dell’Umbria n. 11 del 2005.
Sulla manifesta non infondatezza della questione.
Cosa prevede il Testo Unico Edilizia
L’articolo 89 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, così recita:
“1. Tutti i comuni nei quali sono applicabili le norme di
cui alla presente sezione e quelli di cui all’articolo 61, devono
richiedere il parere del competente ufficio tecnico regionale sugli
strumenti urbanistici generali e particolareggiati prima della
delibera di adozione nonché sulle lottizzazioni convenzionate prima
della delibera di approvazione, e loro varianti ai fini della
verifica della compatibilità delle rispettive previsioni con le
condizioni geomorfologiche del territorio.
2. Il competente ufficio tecnico regionale deve pronunciarsi entro
sessanta giorni dal ricevimento della richiesta
dell'amministrazione comunale.
3. In caso di mancato riscontro entro il termine di cui al comma 2
il parere deve intendersi reso in senso negativo”.
Muovendo dalle considerazioni più volte affermate e ribadite dalla Corte secondo cui l’art. 89 del d.P.R. n. 380/2001 è norma di principio in materia non solo di “governo del territorio”, ma anche di “protezione civile”, in quanto volta ad assicurare la tutela dell’incolumità pubblica, se ne deve inferire che detta norma (di rango legislativo) si impone al legislatore regionale nella parte in cui in cui prescrive a tutti i Comuni, per la realizzazione degli interventi edilizi in zone sismiche, di richiedere il parere del competente ufficio tecnico regionale sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati, nonché sulle loro varianti ai fini della verifica della compatibilità delle rispettive previsioni con le condizioni geomorfologiche del territorio (comma 1); disciplina le modalità e i tempi entro cui deve pronunciarsi detto ufficio (comma 2); infine prevede che, in caso di mancato riscontro, il parere deve intendersi reso in senso negativo (comma 3).
Tale norma, al pari di altre ritenute di principio dalla giurisprudenza della Corte (cfr. sentenze n. 167 del 2014, n. 300, n. 101 e n. 64 del 2013, n. 201 del 2012, n. 254 del 2010), anche in specifico riferimento a funzioni ascritte agli uffici tecnici della Regione analoghe a quella in esame (sentenze n. 64 del 2013 e n. 182 del 2006), “riveste una posizione ‘fondante’ […] attesa la rilevanza del bene protetto, che involge i valori di tutela dell’incolumità pubblica, i quali non tollerano alcuna differenziazione collegata ad ambiti territoriali” (sentenza n. 167 del 2014).
Le disposizioni regionali di cui all’art. 24, c. 9, pertanto, nella parte in cui assegnano ai Comuni – piuttosto che al competente ufficio tecnico regionale ‒ il compito di rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali e attuativi dei Comuni siti in zone sismiche, si pongono in contrasto con il principio fondamentale posto dall’art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di StatoIL NOTIZIOMETRO