Primo condono edilizio: il Consiglio di Stato dice no a interventi aggiuntivi
La presentazione della domanda di condono non autorizza l'interessato a completare né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta
La presentazione di un'istanza di condono non rappresenta un'autorizzazione a realizzare ulteriori interventi sul manufatto abusivo sul quale la sanatoria non è stata perfezionata. Lo conferma la sentenza n. 3599/2023 del Consiglio di Stato, con la quale ha respinto il ricorso contro il provvedimento di diniego di condono di opere edilizie e la contestuale ingiunzione al ripristino dello stato dei luoghi, confermate già in primo grado dal TAR.
Interventi edilizi in pendenza di condono: la sentenza del Consiglio di Stato
La questione riguarda la presentazione di un'istanza di condono effettuata nel 1986, ai sensi della legge n. 47/1985, per la sanatoria di un fabbricato. Nello stesso periodo, il propreiatrio ha realizzato un altro edificio senza richiedere il titolo edilizio
Come specificato dall'Amministrazione comunale, il diniego era stato adottato in quanto l’edificio da condonare era diverso da quello per cui era stata presentata la domanda: la consistenza delle unità immobiliari, le superfici utili, la volumetria dei fabbricati non corrispondevano a quelle riportate nell’istanza. Per altro l’immobile era stato modificato dopo l'1 ottobre 1983, termine previsto per l’ultimazione delle opere dalla legge n. 47/1985 (cd. "Primo Condono Edilizio") e dopo la presentazione dell’istanza di condono.
Il Consiglio di Stato ha confermato la scelta dell'Amministrazione e la sentenza del TAR su tutti i fronti, evidenziando il generale divieto di intervenire su un’opera abusiva oggetto di richiesta di condono, fatta salva la possibilità di attivare il procedimento di cui all’art. 35 della legge n. 47/1985, a tenore del quale l’autore dell’abuso può completare (sotto la propria responsabilità) le opere sanabili previa notifica al comune del proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi ed iniziando i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione.
Abusi edilizi: no a ulteriori interventi senza che il condono sia stato perfezionato
Nel caso in esame, la ricorrente non ha seguito questa procedura. Per concorde giurisprudenza, la presentazione della domanda di condono non autorizza l'interessato a completare né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta i quali, fino al momento dell'eventuale concessione della sanatoria, restano comunque abusivi. Qualora ciò dovesse accadere, il Comune non può pronunciarsi sulla domanda di condono ma è tenuto a sanzionare le opere con l'ordinanza di demolizione.
In presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (anche quelli riconducibili alle categorie della manutenzione straordinaria del restauro e/o del risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione.
Spiegano i giudici di Palazzo Spasa che ciò non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende l’istanza di condono ma solo affermare che, a pena di assoggettamento alla medesima sanzione prevista per l'immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge, ovvero segnatamente dell'art. 35, legge n. 47 del 1985, ancora applicabile per effetto dei rinvii operati dalla successiva legislazione condonistica.
Condono edilizio e autorizzazione paesaggistica: i doveri dell'istante
Alla stessa conclusione si giunge in relazione a edifici in aree sottoposte a vincolo paesaggistico: osserva il Collegio che l’art. 146 del d.lgs. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) prevede che i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, hanno l'obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione ed astenersi dall'avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l'autorizzazione, disponendo al comma 4 che: “L'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio. Fuori dai casi di cui all'articolo 167, commi 4 e 5, l'autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi". Da ciò discende che l’opera era stata realizzata non solo in assenza di permesso di costruire, ma anche senza il parere della competente Soprintendenza relativamente alla compatibilità fra interesse paesaggistico tutelato ed intervento progettato.
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